-  Occasione Anna Maria  -  02/09/2015

DISERBANTI ED ERBICIDI: INTOLLERABILE QUANDO VIOLA IL DIRITTO ALLA SALUTE – TRIB. PISTOIA 26/08/2014 - Anna Maria OCCASIONE

La sentenza del Tribunale di Pistoia fornisce spunto per alcune interessanti riflessioni sull"applicazione dell"art. 844 c.c. che contiene una serie di regole in tema di immissioni tra un fondo e l"altro.

In particolare, l"art. 844 c.c. al suo prima comma dispone che "il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi.". Nel suo secondo comma (che è quello applicato dalla sentenza in oggetto) afferma che "nell"applicare questa norma l"autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.".

Questo il fatto che si evince dalla decisione del Giudice di Pistoia: parte reclamante è proprietaria di un"abitazione con circostante terreno agricolo (in parte adibito ad orto) confinante con terreni coltivati a vigneto con filari distanti tre metri dal confine e venticinque dalla sua abitazione; l"impresa agricola proprietaria dei filari di vigna irrora a mezzo nebulizzatrice meccanica diserbanti e pesticidi da cui consegue la diffusione dei prodotti così atomizzati sul terreno ed all"interno dell"abitazione. Parte reclamante chiede quindi l"accertamento della nocività delle immissioni e della loro intollerabilità nonché la loro immediata cessazione ed il risarcimento del danno.

In corso di causa, l"azione viene rafforzata da un ricorso in via d"urgenza ai sensi dell"art. 700 c.p.c., in esito al quale tramite consulenza tecnica d"ufficio veniva confermata (rispetto alle preliminari analisi effettuate dal parte attrice) la pericolosità per la salute dei prodotti antiparassitari usati e l"effettiva contaminazione dei luoghi.

Sempre in corso di causa, parte resistente modificava le modalità di irrogazione dei fitofarmaci che, in esito a successivo accertamento d"ufficio, venivano ritenute idonee ad evitare l""effetto deriva" nocivo per la proprietà finitima.

Il Tribunale accertava quindi l"intollerabilità delle immissioni di sostanze tossiche lamentate ed ordinava all"impresa agricola di eseguire i trattamenti antiparassitari con certune modalità descritte nel dispositivo atte ad evitare un"irrorazione nociva a danno del vicino.

Il giudice toscano respingeva invece la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali, escludendo la ricorrenza di un danno in re ipsa e in applicazione delle sentenze c.d. di San Martino (Cassazione Sezioni Unite 26972/2008 e 26973 del 2008) assumeva che la condotta pur illecita di parte resistente non aveva provocato lesioni personali e che non essendo state dedotte altre lesioni di diritti aventi copertura costituzionale (con ciò escludendo lo stato d"ansia, la compromissione delle proprie abitudini, il non aver potuto curare il giardino o invitare amici a casa) non vi era dunque spazio per una tutela risarcitoria.

Significativa la condanna alle spese: l"impresa agricola è stata infatti condannata a pagare alla parte reclamante compensi professionali per 14 mila euro (oltre il 15% per spese generali, IVA e CPA) oltre all"accollo integrale dei costi delle due consulenze tecniche d"ufficio espletate in corso di causa.

Veniamo alle possibili riflessioni.

Il Tribunale di Pistoia ha ritenuto – con riferimento al caso di specie - che il punto di confine individuato dall"art. 844 c.c. nella "normale tolleranza" delle immissioni si situi nella violazione o meno del diritto alla salute.

Tale orientamento poggia su talune decisioni della Corte di Cassazione, tra cui di recente, Cass. 12828/2013, che ha ricordato come fin dall"arresto delle Sezioni Unite n. 10186/1998, siano stati precisati gli stretti rapporti intercorrenti tra l"azione a tutela della proprietà in conseguenza di immissioni e l"azione a tutela delle lesioni al diritto alla salute.

Il Giudice toscano, riportando le motivazioni che condussero all"accoglimento del ricorso d"urgenza depositato in corso di causa, ha infatti affermato che a fronte dell"accertamento peritale di pericolosità per la salute dei prodotti antiparassitari erogati (nella specie, soprattutto quelli a base di rame) non resta alcun margine di discrezionalità: "ciò posto – dice il giudice – non occorre compiere alcuna valutazione sulla "normale tollerabilità" ex art. 844 c.c. dovendosi considerare illecita, perché in violazione del diritto alla salute, l"immissione di prodotti nocivi nella proprietà abitata dal ricorrente".

Non urta al raggiungimento di tale conclusione neppure il fatto – pur dedotto da parte dell"impresa agricola resistente – che la quantità di prodotto effettivamente utilizzato non fosse stato erogato in misura superiore ai limiti imposti dalle normative in vigore, aderendo in questo alle conclusioni della consulenza tecnica d"ufficio secondo cui un conto sono le quantità di antiparassitario presente sul prodotto finito in termini di "quantità massima digeribile" dal consumatore, altro è la quantità di antiparassitario immesso nella proprietà confinante comportante ineluttabilmente l"inalazione da parte delle persone che vi si trovino con i conseguenti rischi per la salute.

La decisione sotto questo profilo si colloca quindi nell"alveo della giurisprudenza di legittimità e ribadisce un principio pacifico, seppur non altrettanto sentito nel comune pensare.

Già ad esempio negli anni Settanta, si riteneva che le immissioni provenienti dal fondo del vicino recanti anche pregiudizio alla salute delle persone, costituiscono in ogni caso ed indipendentemente dal giudizio di tollerabilità, violazione del principio del neminem laedere, con conseguente diritto ad ottenere l"ordine di cessazione dell"attività pregiudizievole e la condanna al risarcimento dei danni (così Corte di Appello di Milano, 17/12/1971 in Foro It. 1972,I, 1779 riportata in Rassegna di giurisprudenza sul Codice Civile, Nicolò – Richter, Giuffrè, 1975, artt. 1-1172, pag. 585 ove era stata accertata la concreta possibilità di diffusione di miasmi e microrganismi pregiudizievoli all"igiene ed alla salute, provenienti dalla massa di rifiuti ed escrementi di un allevamento avicolo).

Più delicato, l"altro aspetto, concernente la risarcibilità dei danni richiesti da parte reclamante, qui in termini di danno non patrimoniale.

Il Giudice non affronta l"ammissibilità del cumulo di azione ex art. 844 c.c. con l"azione di risarcimento del pregiudizio derivatone. Ma si tratta di questione ormai pacifica e decisa in senso positivo, infatti "le propagazioni nel fondo del vicino che oltrepassino il limite della normale tollerabilità costituiscono un fatto illecito perseguibile, in via cumulativa, con l"azione diretta a farle cessare (avente carattere reale e natura negatoria) e con quella intesa ad ottenere il risarcimento del pregiudizio che ne sia derivato (di natura personale), a prescindere dalla circostanza che il pregiudizio medesimo abbia assunto i connotati della temporaneità e non della definitività" (ex plurimis, Cass. n. 7420/2000).

Il Tribunale di Pistoia, respinge tuttavia nel merito la domanda risarcitoria, ritenendo così di interpretare i principi espressi dalle sentenze gemelle delle Sezioni Unite 26972 e 26973 del 2008 visti quali superamento del precedente orientamento sempre della Corte di Cassazione che aveva dato ingresso in questa materia al riconoscimento del danno non patrimoniale in res ipsa (Cass. 5844/2007; 17281/2005; 1156/1995.

Per vero, Cass. 7048/2012 (anteriore alla decisione del giudice di Pistoia e successiva alle due sentenze "gemelle" del 2008) aveva fatto applicazione proprio dei principi di cui alla sentenza Cass.5844/2007 richiamata dal giudice toscano e della sentenza Cass. 20668/2010, affermando che "l"accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilità di cui all"art. 844 cod. civ., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente in re ipsa, l"esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorità dell"uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l"illiceità del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell"azione generale di risarcimento danni di cui all"art. 2043 del codice civile e specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, del danno non patrimoniale risarcibile ai sensi dell"art. 2059 cod. civ.", danno che nella specie venne liquidato in via equitativa (si trattava di immissione di odori ed esalazioni maleodoranti sprigionantesi da un deposito di vendita di prodotti chimici ad uso agricolo).

Dalla sentenza in commento, è ben vero che non emergono lesioni alla persona, ma è dubbio invece che non sia stato dedotte "altre lesioni aventi copertura costituzionale".

A parere di scrive, tuttavia, è arduo ritenere conforme al sistema, ammettere da un lato l"esistenza di un comportamento illecito "perché in violazione del diritto alla salute" e quindi dell"art. 32 Cost. ("La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell"individuo e interesse della collettività..") e dall"altro negare riconoscimento del danno che tale violazione comporti.

La medesima sentenza del Tribunale di Pistoia dà atto della sussistenza di elementi più che probanti per dar corso ad una pronuncia di condanna risarcitoria anche non patrimoniale.

E" stato infatti accertato che "i trattamenti parassitari eseguiti dalla convenuta comportano l"utilizzo di sostanze la cui tossicità per la salute, oltre a costituire fatto notorio, risulta chiaramente dalle schede tecniche dei singoli prodotti utilizzate, allegate alla relazione tecnica del C.T.U. dott. O. dove si fa riferimento ai gravi rischi derivanti dalla inalazione e dal contatto con la pelle e con gli occhi. L"immissione dei prodotti antiparassitari nella proprietà del signor M. comporta, pertanto, un evidente rischio per la salute di quest"ultimo quale conseguenza della inalazione o del contatto con sostanze tossiche".

Nel caso di specie, parte reclamante aveva diligentemente fatto accertare ante causam la sussistenza di pesticidi nel proprio orto (su un campione di insalata risultava una concentrazione di rame pari a 4,23 mg/kg) ed aveva diffidato l"impresa agricola confinante dal continuare ad irrogare prodotti nocivi.

Per quattro anni, almeno, dunque chi ha agito in giudizio ha vissuto nella propria abitazione con le finestre chiuse, ha smesso di coltivare l"orto e curare il giardino non potendo toccare le piante e tantomeno ingerirle rischiando una contaminazione ulteriore rispetto all"inalazione, ha limitato i passaggi dentro e fuori casa e così via, ha vissuto comunque per almeno quattro anni, inalando un "areosol" ritenuto tossico e nocivo per la salute e con la paura di ammalarsi.

Assumere che occorra provare la "lesione" per avere diritto al risarcimento non patrimoniale, sarebbe come aspettare il male o non evitarlo piuttosto che prevenirlo.

Se il reclamante non avesse adottato comportamenti di astensione come quelli sopra descritti (risultanti e deducibili dalla sentenza stessa) il grave rischio alla salute paventato dal giudice avrebbe potuto tradursi in dolorosa realtà con compromissione delle funzioni quanto meno visive e respiratorie.

Non può quindi non riconoscersi un danno non patrimoniale conseguente al peggioramento della qualità della vita dovuto proprio all"adozione di quei comportamenti di diligenza e di prudenza che se non adottati avrebbero potuto fondare una corresponsabilità ai sensi dell"art. 1127 c.c. applicabile alla fattispecie in forza del richiamo di cui all"art. 2056 c.c. (si veda ad esempio, Cass. Sez. Un. 21/11/2011 n. 24406)?

La sussistenza di un grave rischio alla salute e la violazione del diritto alla salute, non possono in conclusione prescindere dal riconoscimento del pregiudizio che tale rischio ha di fatto comportato al danneggiato per il suo peggioramento della qualità della vita rispetto a quella vissuta prima e comunque tipica dell"uomo medio, provato in corso di causa anche ai sensi degli artt. 115 c.p.c. e per di più necessitato a sua volta dall"evitare diligentemente "la lesione" o l"aggravarsi della stessa con risparmio di costi non solo personali ma anche sociali (ricordiamo l"art. 32 Cost. che menziona anche l"interesse della collettività).

In questo senso, del resto, si sono già pronunciare altre decisioni (pur successive alle sentenza "gemelle" più volte menzionate della Corte di Cassazione).

Ad esempio, per la Corte di Appello di Torino, 09-07-2012 (in Foro It. 2012, I 3170) è risarcibile il pregiudizio non patrimoniale asseritamente derivante dall"esposizione ad immissioni acustiche intollerabili, anche nel caso in cui la lesione ad un diritto inviolabile della persona costituzionalmente garantito, quale il diritto alla salute, sia rappresentata dal disagio psico-fisico e dalla paura di ammalarsi.

Il danno in re ipsa non è quindi un danno immaginario o astratto o avulso dalla realtà fattuale e/o processuale e tanto meno può essere considerato come "pena privata per un comportamento lesivo" (vedi ad esempio, Cass. 17427/2011): è piuttosto quel danno che secondo logica, buona fede e trasparenza dei rapporti civili, sulla base delle deduzioni, prove, presunzioni, fatti notori e di esperienza forniti in corso causa o comunque da essa deducibili, con certezza scaturisce dal comportamento illecito del danneggiante e che come tale va riconosciuto e liquidato in via equitativa per riparare il pregiudizio anche solo non patrimoniale patito dal danneggiato.




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