-  Gasparre Annalisa  -  19/09/2012

DNP ANCHE PER GLI ANIMALI. LIQUIDABILE ANCHE ALLA PERSONA GIURIDICA - Trib. Milano 1440/2012 - Annalisa GASPARRE

Con la sentenza 1440/2012 il Tribunale di Milano, sezione III penale, giudicava colpevoli del reato di maltrattamento di animali aggravato dall'evento morte gli operatori di un sushi bar milanese che avevano ucciso le anatre da destinare alla cucina del locale.

Su questo sito ne abbiamo dato notizia qui "Maltrattamento animali: anatra (torturata) per cena? No, grazie" - Trib. Milano 10.2.2012 http://www.personaedanno.it/index.php?option=com_content&view=article&id=37866&catid=188, mentre qui "Quando macellare un animale è un crimine" http://sito.dirittoambiente.net/file/news_2685.pdf può leggersi la sentenza per esteso, al termine di un commento che accompagna il lettore nella ricostruzione della dinamica dei fatti e dell'esito processuale, soprattutto in chiave di legislazione sostanziale del delitto contestato.

In questa sede, passata in giudicato la sentenza, vogliamo proporre nuove riflessioni nate dal caso affrontato e, in particolare, la prima di natura ibrida civile/penale, cioè il risarcimento del danno morale alla persona giuridica e la seconda di matrice squisitamente penale, vale a dire la legge extrapenale integratrice di legge penale e specificamente l'errore sulla legge extrapenale, nonchè lo sconfinamento con la tematica del reato culturale.

Data l'eterogeneità degli argomenti, il commento sarà diviso in due parti.

Passiamo alla prima.

Commesso un reato appartenente al titolo IX bis del codice penale che tutela il sentimento di pietà verso gli animali, secondo un'interpretazione letterale (tra gli interpreti c'è chi - come la scrivente - parla di pluralità di beni giuridici tutelati, e quindi anche di tutela dell'animale in sè, in questo confortati da legislazione europea e sentenze di merito), si costituiva parte civile un'associazione che sostiene su più fronti e in più ambiti i diritti animali.

Come noto, la condanna degli imputati quali responsabili di aver commesso un reato portà con sè la condanna degli stessi al risarcimento del danno lamentato dalla parte civile costituita. Come noto, il risarcimento del danno da reato può comporsi delle ordinarie "voci" di danno patrimoniale e non. Quest'ultimo è ontologicamente connesso alla commissione di un reato, perchè può ravvisarsi sempre nei casi in cui si dimostri un collegamento tra i fatti ascritti come reato e il danneggiato legittimato a costituirsi parte civile. Nessun ostacolo in proposito relativo al fatto che l'oggetto su cui è caduta l'azione delittuosa sia della specie "animali", entità che le sentenze di San Martino hanno ritenuto indegne di risarcimento in sede civile. Non vi è alcun problema perchè si è nell'ambito del fatto di reato, previsto - in linea generale - come risarcibile dal combinato disposto degli artt. 185 c.p. e 2059 c.c. In quest'ambito, non c'è alcun tentativo di affermare la non risarcibilità del danneggiato che lamenti quelle condizioni "morali", conseguenti al fatto dannoso. Sotto questo profilo, è senz'altro da segnalare un poco coerente assetto giurisprudenziale che discrimina circa la risarcibilità del danno non patrimoniale nel caso di animale ucciso con condotta omissiva, nel caso di sussistenza di una posizione di garanzia (si pensi al proprietario che lascia il cane in macchina a temperature notevoli, provocandone la morte) e la non risarcibilità del danno non patrimoniale nel caso di animale ucciso a causa di malpractise medico-veterinaria (laddove, ad esempio, il veterinario sia stato negligente, imprudente o imperito). Certo, l'obiezione potrebbe essere che il reato va punito più severamente dell'illecito civile, ma si omette di considerare che il reato è già più severamente punito: è la sanzione penale che assolve a tale scopo! E allora, quale sarebbe la discriminazione in punto risarcimento del danno? Se sono "banali" i sentimenti del proprietario dell'animale ucciso, questi dovrebbero esserlo sempre, a prescindere da ulteriori profili soggettivi che riguardano l'agente. A meno che - in violazione del principio di legalità - si voglia attribuire al risarcimento della parte civile una connotazione ulteriormente sanzionatoria sotto il profilo penale (e qui, altra discriminazione rispetto ai casi e/o ai reati che non hanno una parte civile costituita!).

Ciò detto, nel caso che ci occupa, a costituirsi parte civile era un'associazione, dotata di personalità giuridica che chiedeva la condanna al ristoro dei danni patrimoniali e non, da effettuarsi in via equitativa. Infatti, come non mancava di rappresentare la parte civile, anche al fine di non fornire materiale per l'eccezione di genericità, il danno non patrimoniale ha funzione compensativa e non reintegratrice, di talché l'unica forma di liquidazione è quella equitativa. Consapevole di dover giustificare le proprie pretese, il difensore di parte civile indicava la fonte della richiesta, che è primariamente la fonte legislativa (artt. 185 c.p. e 2059 c.c.), corredata dalla documentazione - già fornita in sede di giudizio di legittimazione alla costituzione di p.c. - che identificava nella stessa quel soggetto passivo del danno ingiusto ex art. 2059 c.c.

La parte civile pretendeva dunque il danno non patrimoniale (generamente inclusivo del danno morale, consistente in turbamenti, sofferenze, menomazioni dell'ambito psichico) che afferiva alla compromissione di posizioni soggettive, quali i diritti immateriali della personalità (Cass. 11592/2002). Come affermato dalla Corte Suprema, la persona giuridica, seppure - data la sua natura - non può subire dolori, turbamenti o altri similari alterazioni, è comunque portatrice di quei diritti della personalità compatibili con l'assenza di fisicità e, dunque, dei diritti all'esistenza, all'identità, al nome, all'immagine e alla reputazione.

E fuori di dubbio era il danno - che potremmo chiamare "all'immagine" - derivante dalle ripercussioni negative che episodi quali quello di cui al capo di imputazione procurano nei consociati e negli associati, attesa la frustrazione degli interessi associativi e visto il ruolo di "formazione sociale" ex artt. 2-18 Cost. rivestito dall'associazione, "luogo" in cui il singolo svolte e sviluppa la propria personalità e caratteristico della parte civile costituita. Tali ripercussioni non possono certo essere provate, ma si rintracciano dall'incrocio tra le caratteristiche e le finalità statutarie dell'ente costituito e i beni giuridici tutelati dalla norma incriminatrice.

La richiesta trovava placet del Giudice che equitativamente liquidava la somma di Euro 12.000,00, affermando che "quanto accertato costituisce una grave violazione delle norme a tutela degli animali e dunque rappresenta senza dubbio una compromissione dei diritti e degli interessi dei consociati e degli associati di un ente che ha come fine primario e statutario la protezione dei diritti degli animali".

La seconda questione verrà proposta a breve su questo sito.

 

 

 




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