-  Sassano Francesca  -  03/11/2014

DOLORE E DETENZIONE: IL PROGETTO LE CARCERI TERRITORIO SENZA DOLORE - Francesca SASSANO

 

 

"DOLORE E DETENZIONE: IL PROGETTO "LE CARCERI TERRITORIO SENZA DOLORE" " - Francesca SASSANO

 

Sommario : Premessa metodologica. – 1. La legge 38 del 15 marzo 2010.- 1.2. Gli aspetti più rilevanti del testo legislativo. - 1.3. La Commissione Nazionale.- 1.4. Relazione al Parlamento.- 2. L'esecuzione della pena detentiva.- 3. La funzione rieducativa della pena. - 3.1. Cenni storici.- 3.2. La situazione attuale carceraria. 4. Il progetto: "Le carceri territorio senza dolore ".-

 

 

Premessa metodologica.

Il presente lavoro nasce dalla convinzione che non sono solo le difficili condizioni strutturali delle carceri a determinare l"ingiustizia del percorso e a vanificarne sostanzialmente la finalità rieducativa, bensì più gravi conseguenze derivano dal disumano trattamento dei detenuti, in attesa di giudizio e non , tali provocare vere e proprie patologie .

Questa affermazione non è empatica , bensì è determinata dall"esame della normativa, dall"ausilio offerto della ricerca medica e del contributo costante della rilevazione dei dati all"interno delle carceri.

 

 

1. La legge 38 del 15 marzo 2010

 

La legge 38 del 15 marzo 2010 ( Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore. (10G0056) (GU n.65 del 19-3-2010 ) Entrata in vigore del provvedimento: 03/04/2010 ) - approvata all"unanimità da tutte le parti politiche- sancisce il diritto del cittadino ad essere curato, per la malattia dolore con adeguta terapia del dolore, ed è rivolta agli oltre 16 milioni d"italiani che oggi soffrono di un dolore cronico, fondamentalmente di natura non oncologica.

Essa definisce il dolore come il V parametro vitale da valutare e monitorare giornalmente e soprattutto lo definisce come patologia a sè stante.

Nel 2010 il primo "International Summit of Pain" (ISP) getta le basi di quello che sarà definito Il trattato di Montreal (2011), dove 250 rappresentanti di 84 Paesi sanciscono il diritto universale all'accesso alle terapie del dolore.

Il trattato, pubblicato come dichiarazione di intenti, definisce nei suoi articoli fondanti l'obbligo dei Governi e delle Istituzioni sanitarie a garantire politiche di accesso alle cure e ribadisce l'obbligo etico di tutti i medici a trattare il dolore del proprio paziente, in quanto suo diritto inalienabile

" La prima definizione ufficiale di dolore risale al 1986 quando la IASP (International Association for the Study of Pain - 1986)[1] lo defini come "un"esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata adanno tissutale,in atto o potenziale, o descritta in termini di danno". In base all"etiologia e alla fisiopatologia il dolore si classifica in:

•      dolore nocicettivo: causato da lesione tessutale reale o potenziale che provoca una stimolazione dei neuroni sensitivi;

•      dolore neuropatico: causato da lesioni o alterazioni croniche a carico dei nervi, piuttosto che da una loro stimolazione;

•      dolore idiopatico o psicogeno: non è giustificato da un danno fisico. È determinato da fattori psicologici soggettivi.

A sua volta il dolore nocicettivo può essere suddiviso in:

•      dolore somatico: causato da lesione tessutale a carico del soma ( pelle, muscoli, articolazioni) ;

•      dolore viscerale: causato da lesioni o alterazioni a carico degli organi interni come cuore, intestino, pancreas.

Sulla base, invece, dell"andamento nel tempo il dolore può essere:

•      dolore acuto: insorgenza improvvisa, temporaneo, recede spontaneamente o dopo trattamento efficace, spesso intenso. Esempi di dolore acuto possono essere le fratture, il dolore post partum, post chirurgico;

•      dolore cronico: insorgenza lenta, persistente, ricorrente, spesso gravativo, bruciante.

Se il dolore perdura oltre la malattia che lo ha generato e si protrae nel tempo per un periodo superiore ai 3 mesi, esso perde il suo valore di "allarme" e assume una connotazione di vera e propria malattia.

Il dolore cronico è una condizione patologica che accompagna il paziente in maniera continuativa per un lungo periodo; con alcuni momenti di acutizzazioni che possono essere legati a condizioni particolari. Si parla di breakthrough pain (BTP), definibile come dolore episodico intenso (DEI), quando rispetto al dolore di base, si presentano delle acutizzazioni improvvise di dolore, non legate a fatti specifici. È stato pubblicato recentemente un articolo inerente una survey[2] condotta tra pazienti di 13 Paesi europei (tra i quali anche l"Italia) affetti da dolore non oncologico e seguiti dal gruppo di ricerca per un anno.

I dati emersi evidenziano come il 95% dei pazienti coinvolti nell"indagine avesse, dopo 3 mesi di osservazione, un dolore ancora d"intensità a partire da moderata; di questi il 47% attribuiva al dolore un"intensità severa con una durata superiore ai 2 anni.

I pazienti coinvolti nello studio hanno inoltre dichiarato che il dolore da loro provato si ripercuoteva in maniera negativa sulla loro capacità di condurre una vita normale: nel 73% dei casi avevano difficoltà a svolgere le attività di tutti i giorni, come i lavori domestici o le occupazioni familiari e ricreative, nel 68% il dolore influiva sulla capacità lavorativa, nel 46% alterava i rapporti familiari e sociali, nel 60% alterava la qualità del sonno e nel 41% le relazioni sessuali.

Non solo, il dolore è risultato abbia influito anche sul- lo stato emotivo delle persone colpite: il 44% di loro si è sentito solo nella propria malattia, 2/3 si sono sentiti ansiosi e depressi e per il 28% di loro il dolore era così forte che avrebbero preferito morire".

La definizione stessa di "dolore cronico" è stata oggetto di un processo evolutivo enorme.

Per decenni si è considerato il dolore cronico esclusivamente come il sintomo di un'altra patologia.

Dal 2010 non è più così, questa legge non è solo un insieme di righi scritti, ma intorno ad essa vi è , in ambito medico , un dibattito fervente .

Garantisce l"accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato, nell"ambito dei livelli essenziali di assistenza, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell"autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l"equità nell"accesso all"assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze.

La legge, tra le prime in Europa, tutela all"art. 1 "il diritto del cittadino ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore", ed individua tre reti di assistenza dedicate alle cure palliative, alla terapia del dolore e al paziente pediatrico. Per quest"ultimo, inoltre riconosce una particolare tutela ed attenzione come soggetto portatore di specifici bisogni ai quali offrire risposte indirizzate ed adeguate alle sue esigenze e a quella della famiglia che insieme deve affrontare il percorso della malattia.

Le strutture sanitarie che erogano cure palliative e terapia del dolore devono assicurare un programma di cura individuale per il malato e per la sua famiglia, nel rispetto dei princìpi fondamentali della tutela della dignità e dell"autonomia del malato, senza alcuna discriminazione; della tutela e promozione della qualità della vita in ogni fase della malattia, in particolare in quella terminale, e di un adeguato sostegno sanitario e socio-assistenziale della persona malata e della famiglia.

 

 

 

1.2. Gli aspetti più rilevanti del testo legislativo.

 

 

Gli aspetti più rilevanti del testo legislativo riguardano:

 

a) Rilevazione del dolore all"interno della cartella clinica.

All"interno della cartella clinica, nelle sezioni medica ed infermieristica, in uso presso tutte le strutture sanitarie, devono essere riportati le caratteristiche del dolore rilevato e della sua evoluzione nel corso del ricovero, nonché la tecnica antalgica e i farmaci utilizzati, i relativi dosaggi e il risultato antalgico conseguito.

 

b) Le reti della terapia del dolore

 

Il Ministero promuove l"attivazione e l"integrazione di due reti della terapia del dolore e delle cure palliative che garantiscono ai pazienti risposte assistenziali su base regionale e in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.

L"Accordo della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano del 16 dicembre 2010 sulle "linee guida per la promozione, lo sviluppo e il coordinamento degli interventi regionali nell"ambito della rete di cure palliative e della rete di terapia del dolore", stabilisce che venga costituito, con appositi provvedimenti regionali e aziendali, una struttura specificatamente dedicata al coordinamento della rete di cure palliative e di terapia del dolore.

 

c) Le modifiche sulla disciplina in materia di stupefacenti

 

La legge modifica il Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza (DPR 309 del 1990) semplificando la prescrizione dei farmaci oppiacei non iniettabili: ai medici del Servizio sanitario nazionale sarà consentito prescrivere tale classe di farmaci non più su ricettari speciali, ma utilizzando il semplice ricettario del Servizio sanitario nazionale (non più quello in triplice copia).

 

d) I percorsi formativi

 

Con decreti del Ministro dell"istruzione, dell"università e della ricerca, di concerto con il Ministro della salute, verranno individuati specifici percorsi formativi in materia di cure palliative e di terapia del dolore connesso alle malattie neoplastiche e a patologie croniche e degenerative; verranno inoltre individuati i criteri per l"istituzione di master in cure palliative e nella terapia del dolore.

La legge prescrive che in sede di Conferenza Stato-Regioni, su proposta del Ministro, vengano individuate le figure professionali con specifiche competenze ed esperienza nel campo delle cure palliative e della terapia del dolore.

1.3. La Commissione Nazionale.

 

Il monitoraggio per le cure palliative e per la terapia del dolore è attivato presso il Ministero della salute attraverso l'istituzione di una commissione nazionale, che si avvale delle risorse umane disponibili (comma 1 dell"art. 9 della legge 38 del 15 marzo 2010).

La Commissione Nazionale è stata istituita con Decreto ministeriale del 13 maggio 2010 presso la Direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della Salute ed è costituita da esperti nelle tre aree tematiche: cure palliative, terapia del dolore e rete pediatrica.

La Commissione è composta da 19 membri di comprovata esperienza e professionalità nei temi affrontati e rappresentativi del mondo scientifico, della medicina generale e delle associazioni no profit che da anni lavorano attivamente accanto ai pazienti; inoltre, su designazione della Conferenza delle regioni e delle province autonome, sono stati designati quattro esperti regionali rispettivamente per le regioni: Abruzzo, Liguria, Sicilia e Veneto.

La Commissione nazionale si è avvalsa della collaborazione di tre gruppi di esperti a supporto dello sviluppo delle tre aree tematiche i quali hanno contribuito all"elaborazione dei documenti tecnici successivamente approvati nella discussione plenaria.

E' coordinata dal Prof. Guido Fanelli e si propone di studiare le tematiche connesse all'attuazione dei principi contenuti della legge n. 38 del 15 marzo 2010 "Disposizioni per garantire l'accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore".

1.4. Relazione al Parlamento.

 

Il Ministro della salute, entro il 31 dicembre di ogni anno, presenta una relazione al Parlamento sullo stato di attuazione della legge 38 del 2010, riferendo anche in merito alle informazioni e ai dati raccolti con il monitoraggio (art. 11 legge 38 del 2010).

A tal fine le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano trasmettono al Ministro della salute, entro il 31 ottobre di ciascun anno, tutti i dati relativi agli interventi di loro competenza disciplinati dalla presente legge.

I dati confluiscono nel portale "Cruscotto NSIS" che costituisce il punto d"accesso unico ed integrato ai servizi di analisi e supporto alle decisioni che il sistema informativo, sulla base dei dati raccolti e dei modelli di analisi sviluppati, mette progressivamente a disposizione degli operatori istituzionali coinvolti nel progetto.

In questo contesto si inserisce il Cruscotto "Cure Palliative e Terapia del dolore" che è stato sviluppato per rispondere ai dettami previsti dall"art. 9 della Legge 38 del 15 marzo 2010.

La nuova Area Funzionale all"interno del Cruscotto NSIS, finalizzata al monitoraggio ministeriale di cui alla legge 38/2010, è strutturata nelle sezioni tematiche:

-        Area farmaceutica

-        Area palliativa residenziale

-        Area palliativa domiciliare

-        Area palliativa ospedaliera

-        Area palliativa e terapia del dolore ambulatoriale

-        Area terapia del dolore ospedaliera

Ciascuna area è stata strutturata in modo da rendere disponibile un ambiente dedicato alle analisi dei dati, alcuni report già definiti e benchmark di riferimento.

Di seguito e in dettaglio, le caratteristiche di ciascuna area:

 

Area Farmaceutica

 

Le informazioni disponibili sono quelle relative al consumo di farmaci per la terapia del dolore (analgesici sia oppiacei che non oppiacei) erogati dalle farmacie convenzionate.

La fonte dati utilizzata è quella riconducibile all"articolo 50 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326.

Gli indicatori calcolati sono riferiti alle quantità erogate, alla spesa sostenuta e alle giornate di terapia dei farmaci oggetto di monitoraggio analizzati per dimensioni temporali (anno, mese di erogazione) e spaziali (regione/ASL di residenza ed erogazione) per caratteristiche del paziente (sesso, età, esenzioni) e per specifiche classi terapeutiche di farmaci ( ATC) e principi attivi.

 

 

Area Palliativa residenziale

 

Le informazioni disponibili sono riferite alla distribuzione, sul territorio nazionale, di strutture Hospice sia pubbliche che private accreditate e relativi posti letto.

La fonte informativa utilizzata è quella della "Rilevazione delle attività gestionali ed economiche delle Aziende unità sanitarie locali", disciplinata dal DM del 23 dicembre 1996 e successive modifiche ( modelli HSP11,HSP12, HSP13, STS11 e STS24).

Gli indicatori calcolati sono relativi al numero degli Hospice (localizzati sia in strutture ospedaliere che territoriali) e al numero dei posti letto disponibili analizzati per anno e per regione.

Dalla fine del 2012 è attivo il "Sistema informativo per il monitoraggio dell"assistenza erogata in Hospice" che raccoglierà informazioni relative agli interventi sanitari e socio-sanitari erogati presso le strutture Hospice. Il flusso è strutturato in moda da prevedere un record per ciascun paziente preso in carico da una struttura residenziale di cure palliative – hospice.

 

 

Area palliativa domiciliare

 

Le informazioni disponibili sono riferite all"attività di assistenza domiciliare erogata a pazienti terminali oncologici e non oncologici.

La fonte informativa utilizzata è quella raccolta in base al Decreto del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali del 17 dicembre 2008 "Sistema informativo per il monitoraggio dell"assistenza domiciliare - SIAD".

Gli indicatori calcolati sono il numero di pazienti, il numero di accessi, le giornate di effettiva assistenza (GEA) e la durata della presa in carico, analizzati per dimensioni temporali (anno, mese di erogazione) e spaziali (regione/ASL di residenza ed erogazione) per caratteristiche del paziente (sesso, età, patologia) e per singola figura professionale che eroga le prestazioni al domicilio del paziente.

 

 

Area palliativa ospedaliera

 

Le informazioni disponibili sono quelle riferite alle prestazioni di cure palliative erogate presso gli istituti di cura pubblici e privati e al numero dei deceduti per patologie tumorali ricoverati in reparti per acuti.

La fonte dati utilizzata è quella riconducibile al flusso della " Scheda di Dimissione Ospedaliera – SDO" disciplinata dal DM del 27 ottobre 2000 n.380 e successive modifiche.

Gli indicatori calcolati sono relativi al numero di prestazioni erogate nell"ambito delle cure palliative analizzate per anno, regione e per caratteristiche del paziente (sesso, età) e al numero di deceduti, alle giornate di degenza e alla degenza media dei dimessi da reparti per acuti con diagnosi di tumore analizzati per anno, regione e caratteristiche del paziente (sesso, età).

 

 

 

Area palliativa e terapia del dolore ambulatoriale

 

Le informazioni disponibili sono riferite all"erogazione, in regime ambulatoriale, delle prestazioni di terapia del dolore.

La fonte dati utilizzata è quella riconducibile all"articolo 50 del decreto legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326.

Gli indicatori calcolati sono relativi alle quantità e al valore delle prestazioni oggetto di monitoraggio analizzati per dimensioni temporali (anno, mese di erogazione) e spaziali (regione/ASL di residenza ed erogazione) per caratteristiche del paziente (sesso, età).

 

 

 

Area terapia del dolore ospedaliera

Le informazioni disponibili sono riferite all"erogazione, in regime di ricovero ordinario e diurno, delle procedure di terapia del dolore.

La fonte dati utilizzata è quella riconducibile al flusso della " Scheda di Dimissione Ospedaliera – SDO" disciplinata dal DM del 27 ottobre 2000 n.380 e successive modifiche.

Gli indicatori calcolati sono relativi al numero degli interventi, al numero dei dimessi e alle giornate di degenza per le procedure oggetto di monitoraggio analizzati per dimensioni temporali (anno, mese di erogazione) e spaziali (regione/ASL di residenza ed erogazione) per caratteristiche del paziente (sesso, età).

Sono ad oggi depositate e agli atti del Ministero numero tre Relazioni al Parlamento (Anno 2012- 2011- 2010), quella dell"anno in corso verrà depositata entro il 31 dicembre 2014.[3] Appare già qui significativo evidenziare come la rilevazione del dolore quale patologia medica e la terapia dello stesso siano oggetto per lo Stato Nazionale di studio e di impiego di risorse.

Quindi si impone conseguenziale una riflessione: la popolazione detenuta in carcere, sia definitiva che in attesa di giudizio e cautelare, varca la soglia della struttura penitenziaria , sana o malata, e può chiedere allo Stato l"applicazione della legge 38 del 2010.

Inoltre ha diritto ad esigere dallo Stato che all"esito della completa esecuzione di pena, riprenda la sua vita libera in piena salute.

 

2. L'esecuzione della pena detentiva.

 

L'esecuzione della pena detentiva trova la sua fonte di disciplina sostanziale negli artt. 145 - 149 del cp e quella processuale negli artt. 648 - 694 del cpp.

I principi che informano l'esecuzione della pena detentiva sono:

a) la vigilanza del Magistrato di Sorveglianza e del Tribunale di Sorveglianza

b) il trattamento penitenziario improntato alla tutela della dignità e della personalità del condannato

c) la remunerazione del lavoro prestato detratte le spese di mantenimento e processuali;

d) l'obbligo di istruzione e addestramento professi.

Le pene detentive sono:

 

a) l"ergastolo

 

E' la più grave delle pene detentive, è prevista dall'art. 22 cp e consiste nella privazione della libertà scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno.

Il condannato all'ergastolo può essere ammesso al godimento del regime di semilibertà dopo aver scontato 20 anni di pena e, ai fini del detto computo, valgono le riduzioni di 45 giorni per ogni semestre di pena scontata previste dall'art. 54 della L. n. 354 del 1975.

Dette riduzioni sono efficaci anche al fine del computo del termine necessario per accedere la beneficio della liberazione condizionale.

L'art. 22 cp è stato dichiarato, peraltro, incostituzionale nella parte in cui non esclude l'applicabilità nei riguardi del minore imputabile.

La possibilità di godere della liberazione condizionale e del regime di semilibertà concorrere a rendere la pena dell'ergastolo compatibile con il principio della tendenziale funzione rieducativa della pena.

 

b) la reclusione

 

La reclusione consiste nella privazione della libertà personale con l'obbligo del lavoro e con l'isolamento notturno per un periodo che va da un minimo di quindici giorni ad un massimo di ventiquattro annni.

Tale secondo limite può, peraltro, essere valicato sino a raggiungere quello di trenta anni allorchè vi sia il concorso di più circostanze aggravanti ovvero allorchè concorso di reati o per particolari reati (ad es. il sequestro di persona a scopo di estorsione di cui all'art. 630 cp).

 

c) l'arresto

 

L'arresto è la pena detentiva prevista per le contravvenzioni, essa consiste nella privazione della libertà da un minimo di cinque giorni ad un massimo di tre anni (limite innalzabile sino a cinque anni nel caso di concorso di circostanze e sino a sei anni in caso di concorso di reati).

 

 

 

3. La funzione rieducativa della pena.

 

3.1. Cenni storici.

 

Chi commette un certo tipo di reato deve scontare la pena rinchiuso per un periodo determinato dentro uno spazio istituzionale definito "carcere".

Nel medioevo la prigione era solo un luogo dove veniva custodito l'imputato in attesa del processo.[4]

Nella società feudale esisteva il carcere preventivo e per debiti, ma la pena vera e propria era rappresentata da una somma di denaro, da una sofferenza fisica, dall'esilio, dalla gogna, dalla morte.

Dal seicento queste punizioni cominciano ad essere sostituite dal carcere come l'unica pena.

Tra la fine del settecento e i primi dell'ottocento, sotto la spinta del pensiero illuminista, si affaccia il concetto di umanizzazione della pena e nell'esecuzione penale la detenzione si sostituisce delle pene corporali.

Con l'avvio del processo di accumulazione capitalistico si modifica anche il concetto di pena, in relazione al alcune categorie di individui, appartenenti alla classe dei "non occupati": vagabondi, mendicanti e prostitute poiché all'inizio del XVI secolo si era sviluppata una legislazione fortemente repressiva caratterizzata da durissime pene corporali.

E solo anni dopo in Inghilterra, nasce la prima house of correction con la finalità di detenere questi "poveri" e rieducarli.

L'esempio inglese sarà adottato anche in altre parti d'Europa portando alla comparsa di esperienze simili come l'hopital in Francia o le rasp-huis in Belgio.

La componente punitiva resta sempre la caratteristica principale della pena: lo dimostrano le pessime condizioni di vita all'interno di questi istituti e i principi su cui si basavano la disciplina e il lavoro.

Nel XVIII secolo, vi è una inversione di tendenza : il carcere concentra la ua finalità sul carattere afflittivo, attraverso la segregazione cellulare e la reintroduzione delle pene corporali.

A partire dal XIX secolo, in Europa le prigioni fondano l'impronta rieducativa sull'isolamento e sul lavoro forzato.

Originariamente mero strumento di custodia dell'imputato, il carcere ha visto modificata nel tempo la sua funzione.

Le posizioni a proposito della funzione della pena carceraria sono spesso fra loro discordanti.

Per alcuni la pena presenta il carattere della afflittività: il castigo inflitto a colui che ha violato la legge [5]. Per altri essa assume un diverso significato a seconda della funzione della pena.

Queste teorie sulla funzione della pena vengono a loro volta distinte in assolute e relative. Le prime sono conosciute come dottrine retributivistiche, (si punisce quia peccatum est ).

Le teorie relative sono note come dottrine utilitaristiche (si punisce ne peccetur) .

Sono tre le principali correnti di pensiero, a riguardo e rispettivamente : le funzioni retributiva (ndr: il male va retribuito con il male ) , preventiva ( ndr : prevenire i delitti mediante l"intimidazione) , rieducativa ( ndr : provvedere al ravvedimento del reo)

Lo Stato di diritto apre la strada al concetto di internamento istituzionalizzato, in ossequio alla certezza del diritto e della pena.

La sanzione penale diventa una sofferenza legale per un periodo proporzionato alla gravità del delitto commesso.

Nel 1890 entra in vigore il Codice Zanardelli del Regno d'Italia che abolisce la pena di morte. A un anno di distanza, nel 1891 viene approvato il "Regolamento generale degli stabilimenti carcerari e dei riformatori governativi", documento fondamentale delle istituzioni penitenziarie dell'Italia post-unitaria.

Il nuovo cardine della politica penitenziaria poneva in primo piano la realtà umana e sociale del condannato.

Con l'avvento del fascismo si ha una netta involuzione sul piano del trattamento carcerario [6]: il diritto di punire è un diritto di conservazione e di difesa dello Stato, indispensabile per la vita in comune. Viene reintrodotta la pena di morte.

Nel 1931 viene approvato il "Nuovo Regolamento per gli Istituti di prevenzione e pena" che attribuiva carattere emendativo della pena afflittiva ed intimidatoria econsidera il lavoro, l'istruzione e la religione gli unici mezzi attraverso i quali rieducare e risanare i condannati.

La situazione di disagio degli istituti penitenziari peggiora nel dopoguerra per effetto degli elevati indici di sovraffollamento.[7]

È solo con la Costituzione che la rieducazione diventa principio: l'esecuzione della pena detentiva deve consentire i trattamenti che appaiono più idonei al recupero sociale del condannato.

La Costituzione detta in materia di pene alcuni principi fondamentali:

a) il principio di legalità sancito dall'art. 25, ovvero il divieto di irrogare una sanzione penale diversa da quella espressamente prevista dalla legge per un determinato reato e in un'entità diversa rispetto ai minimi e ai massimi edittali.

b) il principio di irretroattività previsto dal secondo comma dell'art. 25, per cui non si può applicare una pena che, in relazione ad un fatto, non era prevista nel momento in cui il fatto è stato commesso, salvo il temperamento della legge più favorevole.

c) il principio della responsabilità personale con l'art. 27 Cost., che ha statuito non solo la "personalità dell'illecito penale", ma anche la "personalità della sanzione penale".[8]

Lo stesso articolo 27 della Costituzione, al terzo comma, fissa il principio di umanizzazione della pena: "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità". La Costituzione con questo articolo ha inteso bandire ogni trattamento disumano e crudele che non sia inscindibilmente connesso alla restrizione della libertà personale. Come corollario del principio di umanizzazione, nello stesso art. 27 della Costituzione è espressamente escluso il ricorso alla pena di morte.

d) il principio di proporzionalità della pena è stabilito dagli articoli 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione

e) il principio dell'azione rieducatrice della pena. L'articolo 27 della Costituzione enunciando "Le pene (...) devono tendere alla rieducazione del condannato" essa non può essere identificata con il pentimento interiore, l'emenda morale, spirituale, astrattamente possibile con qualsiasi pena ed in qualsiasi condizione carceraria ma come relazione che presuppone un ritorno del soggetto nella comunità.

Nella sua dizione attuale l'articolo 27, terzo comma, della Costituzione recita: "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

La pena può essere afflittiva soltanto nei limiti in cui essa deve essere irrogata e si segnano i limiti della necessità della sua afflizione.

Nel 1950, infatti, il Congresso internazionale di diritto penale dell'Aja, afferma l'esigenza dell'analisi della personalità del recluso, al fine della messa a punto di una strategia differenziata e in funzione dell'opzione di sanzioni congrue al suo reinserimento. Nel 1954 ad Anversa si tiene un congresso che attribuisce il carattere di scientificità all'osservazione della personalità del detenuto; nel Congresso di Ginevra del 1955 si riafferma la finalità rieducativa della sanzione penale. Infine, nel Congresso di Milano del 1956 si auspica un sistema penitenziario funzionalizzato alla prevenzione dei delitti.

L'esecuzione delle pene sulla base del principio costituzionale della rieducazione costituisce per lo Stato un dovere di carattere etico, la cui violazione implicherebbe la negazione di un imperativo categorico che legittimerebbe l'inosservanza dei precetti.

Solo con l'Ordinamento penitenziario del 1975 si chiarì il significato e la portata del principio rieducativo, introdotto con la Legge 26 luglio 1975 n. 354, che all'art. 1, ultimo comma, recita: "nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi".

Subito dopo l'approvazione del nuovo ordinamento penitenziario, è stato emanato, con il DPR 431/76 il regolamento di esecuzione con il compito di dare attuazione nella pratica alle norme dettate dalla legge n. 354.

Con questa normativa il legislatore italiano ha recepito le indicazioni fornite dall'ONU e dal Consiglio d'Europa[9]: il carcere non è più inteso come luogo di segregazione e separazione dalla società, ma momento necessario di rieducazione e di reinserimento del detenuto. Viene sancita la regola della individualizzazione del trattamento in considerazione della personalità del detenuto.

È comunemente dato per acquisito che le pene non devono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e la formazione del programma di trattamento deve accertare le "carenze fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento" ( art.13 O.P.)

L'articolo 80 della Legge 354 del 1975 ha previsto che "per lo svolgimento delle attività di osservazione e trattamento, l'amministrazione penitenziaria può avvalersi di professionisti esperti in psicologia, servizio sociale, pedagogia, psichiatria e criminologia clinica".

Infine si riconosce al condannato il diritto di verificare se, nel caso concreto, la quantità di pena espiata abbia o meno assolto al fine rieducativo.

La Legge 24 novembre 1981, n. 689 con le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi è tesa ad evitare gli effetti più desocializzanti che rieducativi, della realtà carceraria.

Negli anni successivi all'emanazione dell' ordinamento penitenziario, il terrorismo e l" forte allarme sociale inducono lo Stato ad un'azione repressiva. Con decreto interministeriale si istituiscono le carceri di "massima sicurezza", sottoposte ad una disciplina di speciale rigore.

Solo verso la metà degli anni ottanta ,la legge 10 ottobre 1986 n. 663, (c.d "Legge Gozzini") recante "Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà", ha modificato sia le misure alternative, sia le ulteriori leggi che hanno istituito le sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi.

Nella Legge 663/1986 i due nuovi istituti del "regime di sorveglianza particolare" (art. 1-3) e dei "permessi premio" (art. 9) costituiscono gli strumenti complementari nel processo della diversificazione esecutiva .[10]

È la legge della "massima individualizzazione" del trattamento esecutivo, della fiduciosa valorizzazione delle prospettive di recupero (53) e di reinserimento del condannato, di un favor libertatis che tende ad attenuare o interrompere appena possibile lo stato di restrizione della persona.

La Legge Gozzini ha il merito di aver cercato di razionalizzare il principio della flessibilità della pena, non ancora presente nella legge di riforma del '75. Cambia il ruolo svolto dalla magistratura di sorveglianza che diventa anche giudice dell'esecuzione (54), ad essa viene affidato un potere discrezionale che va dal premio al castigo. Alessandro Margara, magistrato di sorveglianza, attualmente in pensione, sensibile ai problemi del carcere e dei detenuti, afferma: "La pena inflitta con la sentenza di condanna non è un dato assoluto, affidato per così dire alla mano esecutiva, ma la base di partenza di un percorso esecutivo, che dipende in gran parte dalla capacità di responsabilizzazione del condannato e dalla efficacia degli interventi penitenziari nei suoi confronti. La sede in cui viene definita la pena in concreto è l'esecuzione (...) nel senso che sono organi giurisdizionali che gestiscono la pena con il potere di modificarne radicalmente la qualità e la quantità".

All'inizio degli anni novanta si ebbe un atteggiamento critico nei confronti della Legge Gozzini e vi furono alcuni atti legislativi approvati nel biennio 1991-1992.

Il d.l. 152/91 che sancisce di fatto dell'abrogazione della "Legge Gozzini" per alcuni reati al fine di differenziare il trattamento penitenziario dei condannati per determinati delitti legati alla criminalità organizzata, con diversificazione del trattamento dei condannati in ragione del grado di pericolosità sociale.

Essa non è andata esente da qualche eccesso, cui ha posto rimedio la Corte Costituzionale con la sentenza n. 306 del 1993 in tema di revoca delle misure alternative già disposte, proprio per salvaguardare il principio rieducativo. Con

la Legge 27 maggio 1998 n. 165, più comunemente conosciuta come "Legge Simeone-Saraceni" [11], sono state apportate "Modifiche all'art. 656 del codice di procedura pena le ed alla Legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni" per garantire l'eguaglianza dei soggetti in sede di esecuzione pena, concedendo a tutti la possibilità di ottenere la sospensione automatica dell'esecuzione, perché vi è l'obbligo di avviso per il condannato della possibilità di presentare istanza al Tribunale di sorveglianza per la concessione di una misura alternativa.

Le Leggi Gozzini e Simeone sono state ripetutamente oggetto di modifiche. Ciò ha condotto alla presentazione, nel febbraio del 2000 e, conseguentemente, all'approvazione[12] di una proposta di legge, c.d "pacchetto sicurezza", che riguarda essenzialmente il reato di furto in abitazione e lo scippo, le cui pene sono aggravate; nonché la disciplina della sospensione condizionale della pena, con l'ipotesi di revoca in sede di esecuzione, quando emerga che il beneficio sia stato concesso senza che la persona condannata ne avesse diritto; inoltre, è stata istituita una commissione ad hoc che consente tempi più rapidi per l'ammissibilità dei ricorsi in Cassazione e sono stati dati maggiori poteri d'indagine alla polizia giudiziaria.

Con l'emanazione del D.P.R. 30 giugno 2000 n. 230 è stato integralmente abrogato il regolamento d'attuazione della riforma del 1975 che era costituito dal D.P.R. 29 aprile 1976, n. 431.

Il regolamento privilegia un trattamento ed un'esecuzione penale orientati sul versante extramurario.

Oggi, nel declino delle strutture istituzionali , anche il carcere da necessario strumento di controllo e di recupero di soggetti pericolosi, è solo la pena per eccellenza e in esso il condannato viene abbandonato.

Ci si chiede quali siano oggi le sue reali finalità penali, quali effetti fisici e psichici produca sui detenuti e quale sia il dolore che esso produca , ovvero se lo stesso sia compatibile con la finalità di recupero e se la carenza delle strutture non sia invece causa di una autonoma patologia.

 

3.2. La situazione attuale carceraria.

"Gli stabilimenti carcerari, salvo qualche rara eccezione, sono in condizioni disastrose (…). I detenuti vivono abbandonati alla rinfusa in indecenti, asfissianti cameroni o costretti in parecchi in celle infelicissime. Tutti gli istituti ospitano un numero superiore di individui a quello previsto dalla capienza massima. È quello che scrive nel 1944 la Commissione visitatrice e di assistenza ai detenuti nella sua relazione, dopo aver visitato le carceri dell"Italia liberata. La situazione da allora non è affatto migliorata. Il 31 dicembre 2012 le persone detenute nei 206 istituti di pena italiani erano 65.701, a fronte di una capienza regolamentare complessiva dichiarata di 47.040 posti. Il tasso di affollamento delle carceri italiane è dunque del 140%, ciò vuol dire che per ogni 100 posti disponibili sono detenute in cella 140 persone: per un detenuto su tre non c"è posto. Questo in media, perché ci sono case circondariali in cui le persone detenute sono ben più del doppio rispetto alla capienza regolamentare. Una situazione insopportabile che ha portato nel 2009 la Corte europea dei diritti dell"uomo a condannare l"Italia perché la detenzione in queste condizioni rappresenta un trattamento "inumano e degradante". Nel 2011 anche un magistrato di sorveglianza del Tribunale di Lecce ha accolto i ricorsi di alcuni detenuti, considerando che le condizioni della detenzione che subivano fossero tali da ledere la loro dignità. Nei primi giorni del 2013 la Corte di Strasburgo ha nuovamente condannato l"Italia per violazione dell"articolo 3 della Convezione dei Diritti dell"Uomo, quello che proibisce la tortura e i trattamenti inumani o degradanti, a risarcire sette persone che avevano presentato ricorso per le condizioni di sovraffollamento: alcune di esse erano detenute nel carcere di Busto Arsizio all"epoca dei fatti. Si tratta questa volta di una sentenza pilota che definisce la situazione italiana come "strutturale" e impone all"Italia di intervenire per risolverla entro un anno. Presso la stessa corte ci sono ancora molte cause pendenti di ricorsi presentati da cittadini detenuti in Italia, è dunque probabile che verranno pronunciate nei prossimi mesi altre condanne per le condizioni inaccettabili in cui versa il sistema penitenziario italiano. A questi dati occorre aggiungere quello che, più di ogni altro, segnala la drammaticità della situazione carceraria italiana: nel corso del 2012 hanno deciso di togliersi la vita in carcere 60 persone. Sono complessivamente più di 750 le persone che si sono tolte la vita in carcere dal 2000 a oggi (fonte: Osservatorio permanente sulle morti in carcere / Ristretti Orizzonti / www.ristretti.it) [13]

 

 

4. Progetto : " Le carceri territorio senza dolore "

" L"emanazione della Legge n. 38 del 15 marzo 2010, ha rappresentato un traguardo importante nel panorama sanitario italiano ed europeo. La Legge 38/2010, tra le prime in Europa a fornire risposte ai bisogni della popolazione in tema di cure palliative e di dolore cronico, stabilisce la presenza di due reti di assistenza che devono rispondere alle esigenze e ai bisogni sia del paziente che necessita di cure palliative sia del paziente affetto da dolore cronico. Inoltre dedica una particolare attenzione al paziente pediatrico, definendo una rete per la quale la presa in carico e l"assistenza è indirizzata al bambino e alla sua famiglia, riconoscendolo come paziente con specifici bisogni ed esigenze.

La legge, approvata dal Parlamento Italiano nell"anno 2010, trova la sua piena applicazione solo grazie al costante impegno delle istituzioni (centrali, regionali e locali), dei professionisti e del terzo settore mediante il quale si riescono a superare le criticità che si presentano e si individuano i percorsi attuativi.

Il concetto di rete, espresso così chiaramente nella normativa, rimane il punto cardine nello sviluppo di un"assistenza adeguata e, coerentemente con questo concetto, la presente relazione vuole offrire un panorama esaustivo del percorso delle reti di cure palliative e della terapia del dolore nel nostro Paese. A tale riguardo, come nel precedente anno, è stato chiesto il contributo delle istituzioni, dei professionisti che operano nelle reti assistenziali e del terzo settore affinché il concetto di rete, mutuato dalla normativa, possa essere realizzato, non solo territorialmente, ma tra i molteplici soggetti coinvolti, ognuno con le proprie competenze, nel garantire un diritto stabilito dalla Legge 38 del 15 marzo 2010. "[14]

Tuttavia questa legge, sino ad oggi , non ha avuto accesso nelle carceri italiane.

Eppure lo stato di detenzione , priva il soggetto anche delle autonome determinazioni in ordine alle cure mediche e l"ingresso delle medicine è gestito necessariamente dall"interno della struttura con limitate e autorizzate diverse possibilità di visite specialistiche e di prescrizioni.

Se ciò è conforme allo stato di detenzione, ne consegue però un affidamento ed una responsabilità , sicuramente ampia , per quegli accertamenti necessari alla salute del detenuto e soprattutto una attività di prevenzione per le patologie conseguenti alla detenzione.

Il detenuto ha diritto alla conservazione del suo stato di salute, al monitoraggio sulla compatibilità dello stato di detenzione con il suo stato di salute e alla prevenzione nei confronti di insorgenti e possibili patologie , se contratte durante lo stato di carcerazione.

Lo Stato deve, quindi, assicurare che all"interno della cartella clinica del detenuto, se già affetto da patologie, venga effettuata la rilevazione , secondo gli standars medici, della soglia di dolore dello stesso e venga assicurata adeguata terapia.

Anche per il detenuto sano, la rilevazione va effettuata, al fine di mantenere costante l"attenzione sui livelli .

Ancora maggiore attenzione va posta nei confronti, per specifico tema, dei detenuti in attesa di giudizio e quelli sottoposti a misura custodiale, per i quali l"allocazione nel medesimo istituto di esecuzione di pena definitiva ( quindi di espiazione di sentenza definitiva ) è essa stessa una aberrazione e come tale un evento che può provocare un dolore cronico.

"La definizione stessa di "dolore cronico" è stata oggetto di un processo evolutivo enorme. Per decenni si è considerato il dolore cronico esclusivamente come il sintomo di un'altra patologia. Oggi sappiamo che il dolore moderato o grave è qualcosa che va oltre questa nozione: il dolore cronico e di per sé una malattia. Anche il concetto medico comune di "cronicità" assume un'accezione peculiare, quando si parla di dolore: il dolore è cronico non perché perdura da un lasso di tempo importante, bensì perché la causa che lo genera non è risolvibile". [15]

E non si tratta di una concezione soggettiva e puramente descrittiva , poiché "Da diverso tempo, lo studio sulle aree di percezione dei dolore non si pone più l'obiettivo di individuare le zone del cervello strettamente deputate all'elaborazione del dolore; da alcuni anni, infatti, si è iniziato a parlare di "neuromatrice" del dolore.Alcuni studi di risonanza magnetica funzionale hanno mostrato l'attivazione di zone corticali ma anche di zone più rostrali deputate alla componente affettiva (amigdala) e di memorizzazione (talamo) ( …….)La prevenzione, la corretta diagnosi e il trattamento adeguato del dolore cronico non sono quindi soltanto un imperativo deontologico e un dovere morale, da parte del medico, nonché un problema economico socio-sanitario, ma sono un obbligo legale."[16]

Infatti la salute del cittadino, in uno Stato di diritto , va tutelata non solo come bene soggettivo ma anche come risorsa collettiva.

Il costo della malattia sulla collettività ha una ricaduta che non deve essere provocata dalle istituzioni.

Infatti "Dall'analisi della letteratura sul dolore cronico emerge che esso genera un aumento del ricorso aile prestazioni dei sistemi sanitari, anche se molti studi evidenziano che una parte di coloro che ne soffrono risulta essere non trattata, o trattata In modo non adeguato al suo stato. Emerge anche che II dolore interferisce negativamente sulle attività quotidiane del paziente e in particolare sulle sue capacità lavorative. Chi ne è affetto si assenta con maggiore frequenza dal lavoro ed è anche costretto ad abbandonarlo più precocemente rispetto agli altri lavoratori. Numerosi sono anche gli studi che si sono occupati delle conseguenze del dolore cronico sulla qualità della vita dei pazienti, evidenziando come esso sia significativa- inente associato con gli stati d'ansia e depressione" [17]

La «terapia del dolore» è l"insieme d"interventi diagnostici e terapeutici volti a individuare e applicare alle forme morbose croniche idonee e appropriate terapie farmacologiche, chirurgiche, strumentali, psicologiche e riabilitative, tra loro variamente integrate, allo scopo di elaborare idonei percorsi diagnostico-terapeutici per la soppressione e il controllo del dolore.

Appare evidente come una tale rilevazione possa utilmente incidere anche sull"incremento dei suicidi in carcere.

Il presente studio oltre a sensibilizzare sulla materia e ad incentivare il dibattito scientifico e legislativo sulla questione dell"applicabilità della legge 38/2010 all"interno della struttura carceraria, si pone anche la finalità di stilare un progetto che attraverso il monitoraggio e la terapia del dolore realizzi questi obiettivi

  • favorire e cercare maggiormente un approccio multidisciplinare;
  • implementare la formazione e l"aggiornamento del personale medico presso la struttura carceraria;
  • rendere il più omogenei possibili, su tutta la popolazione carceraria nazionale, la rilevazione e il trattamento del dolore;
  • rendere il sintomo dolore come parte integrante dell'iter diagnostico e terapeutico del personale medico presso la struttura carceraria;
  • definire un"organizzazione di percorsi e di processi assistenziali che vedano coinvolti con specifiche collaborazione le strutture carcerarie e quelle del servizio sanitario nazionale;
  • giungere ad una presa in carico totale del detenuto con patologie anche differenti, che tenga conto anche di tutto quanto concerne l"aspetto relativo al dolore.
  • verificare costantemente la compatibilità della detenzione carceraria con la terapia del dolore
  • certificare e diagnosticare per i soggetti non definitivi la compatibilità della detenzione carceraria considerando la diversa natura della loro detenzione e il maggiore impatto della stessa stessa;

Alla luce di tutti questi intenti realizzare un progetto formativo che prevede la formazione/abilitazione di formatori attraverso un corso da effettuare in maniera itinerante nelle varie regioni italiane e presso le strutture carcerarie , avendo come scopo quello di formare tutti medici e psicologici.

Il ruolo degli psicologi, nell'ambito della palliazione, risulta molto ben definito già nelle finalità della Legge 38 del 2010: fra i principi fondamentali enunciati esistono la tutela della dignità e dell'autonomia del malato, la tutela e promozione della qualità di vita fino al suo termine, la necessità di fornire un adeguato sostegno alla persona malata. In tal senso la legge prevede programmi di supporto psicologico anche all'équipe curante e di supporto al lutto.

I detenuti presentano con estrema frequenza elevati livelli di di stress psicologico che, come conseguenza, comportano una ridotta capacità volitiva, una diminuita qualità di vita, una amplificazione dei sintomi fisici, una minore capacità relazionale, una incrementata angoscia nei familiari, la presenza di pensieri suicidari.

La carcerazione è afflittiva per sua natura , sia essa intesa come sanzione pura che come rieducazione prospettica .

La soglia della rilevazione del dolore è un obbligo primario dello Stato che detiene il cittadino , ancora di più della adeguatezza di spazio, poiché è la stessa detenzione che provoca questa patologia.

Quindi è onere dello Stato restituire alla libertà un cittadino sano e non malato, di qui la necessità di rilevazione della soglia del dolore per ogni soggetto detenuto attraverso la istituzione del diario personale.

Ancora maggiori e più ampie riflessioni sarebbero da evidenziarsi sulla detenzione cautelare , con ricadute legislative più forti ed incidenti sulla esistenza e compatibilità di una misura che non essendo afflittiva ha esigenze e finalità diverse dallo sconto della pena.

E" oggi evidente l"inadeguatezza del sistema repressivo punitivo e soprattutto cautelare, tuttavia la legge 38/2010 offre un ambito privilegiato di applicazione e di riflessione.

E" di questi giorni la notizia, anche queste interessante per il mio progetto, di un Protocollo d"intesa, volto a garantire la piena operatività della Carta dei servizi sanitari, firmato dal Garante dei detenuti Angiolo Marroni, dal Direttore Generale della Asl Rm A Camillo Riccioni e dalla direttrice di Regina Coeli Silvana Sergi. Nella Carta dei servizi sanitari (approvata dalla Asl con Delibera nr. 235/2013) sono riepilogate le prestazioni di prevenzione, diagnosi e cura cui hanno diritto i detenuti di Regina Coeli, sulla base degli obiettivi generali di salute e dei livelli di assistenza stabiliti dalla Regione, oltre alle modalità e alla tempistica per la loro fruizione. In base al Protocollo, la Asl ha l"obbligo di assicurare, a Regina Coeli, l"organizzazione dei Servizi sanitari delineati con la Carta, nonché di erogare le tipologie di prestazioni con le modalità e le professionalità indicate nella Carta stessa. La direzione del carcere dovrà invece garantire assistenza tecnica ed amministrativa al fine di assicurare la regolare erogazione delle prestazioni. E anche l"applicazione delle legge 38/2010 non può che essere garantita per i detenuti.

 

 

 

 



[1] Dolore e qualità della vita , a cura di Marta Gentili . Presidente Onlus Vivere senza dolore , pag 12 e ss. Edimas – Pavia 2012.

[2] O"Brien T., Breivik H. The impact of chronic pain. European patient"s perspective over 12 months. Scandinavian Journal of Pain. 2012; 3: 23-29.

I dati e le notizie riportarti da pag 6 a pag 11 del presente lavoro, sono stati ripresi integralmente dal sito : http://www.salute.gov.it/

[4] . Melossi, M. Pavarini, Carcere e fabbrica. Le origini del sistema penitenziario, Mulino, Bologna, 1976.

[5] Baldassarelli, Funzione rieducativa della pena e nuovo processo penale, in Rivista Penale, 1990, pag. 409.

[6] E. Fassone, La pena detentiva in Italia dall'Ottocento alla riforma penitenziaria, Mulino, Bologna, 1980, pag. 53

[7] D. Valia, I diritti del recluso, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 1999, pag. 49.

[8] F. Mantovani, Diritto penale, parte generale, III ed., Cedam, Padova, 1992.

[9] Si è data attuazione ai principi enunciati dalle "Regole minime per il trattamento dei detenuti", approvate nel gennaio del 1973 dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, e successivamente modificate con il titolo di "Regole penitenziarie europee".

 

[10] F. Palazzo, Commento all'art. 1 della legge 663/86, in Legislazione penale, 1987, pag. 102.

[11] Dal nome dei deputati Alberto Simeone e Luigi Saraceni

[12] a legge contenente "Interventi legislativi in materia di tutela di sicurezza dei cittadini" è stata approvata il 6 marzo 2001 ed è stata pubblicata sulla G.U. del 19 aprile 2001, n. 91.

[13] Pag. 14 e 15 - Pena detentiva:scelta obbligata o extrema ratio? Milano, marzo 2013

Sussidio prodotto come manoscritto dalla Caritas Ambrosiana -Associazione Padre Monti

via A. Legnani 4 - 21047 Saronno (VA) www.associazionepadremonti.it

[14] Rapporto al Parlamento sullo stato di attuazione della Legge n. 38 del 15 marzo 2010- anno 2012.

[15] Libro bianco sul dolore cronico – HPS- Milano 2014. Pag.4.

[16] Libro bianco sul dolore cronico – HPS- Milano 2014. Pag.12e ss.

[17] Libro bianco sul dolore cronico – HPS- Milano 2014. Pag.52.




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