-  Rossi Stefano  -  20/12/2012

DUE CUORI SENZA UNA CAPANNA – Trib. Milano, 14.12.2012 Got La Valle – Stefano ROSSI

La vicenda, oggetto del giudizio, può sembrare di per sé banale, laddove si racconta di una donna di cittadinanza straniera sposata con un italiano che richiede, inutilmente, alla Questura di Milano il rinnovo del permesso di soggiorno rilasciato per motivi familiari.

In particolare, la Questura negava il rinnovo del permesso in quanto veniva accertato che la donna non conviveva con il coniuge e non si concretava neppure l"ipotesi di cui all"art. 28, 1° co., lett. b), d.PR. 394/1999, disposizione che prevede: "Quando la legge dispone il divieto di espulsione, il questore rilascia il permesso di soggiorno per motivi familiari, nei confronti degli stranieri che si trovano nelle documentate circostanze di cui all"articolo 19, comma 2, lettera c del Testo Unico (cfr. essere "stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge, di nazionalità italiana")".

La ricorrente impugnava il provvedimento avanti il Tribunale di Milano, deducendo la violazione di legge in ordine all"accertamento del requisito della convivenza.

Dall"istruttoria emergeva infatti che la ricorrente e il marito erano persone senza fissa dimora e che l"indirizzo indicato alle Autorità corrispondeva a quello di un centro di ascolto parrocchiale, residenza fittizia, ove – nei limiti delle disponibilità di posti letto – i due coniugi avevano continuato a convivere.

Come nota il Giudice, "la convivenza materiale, prima è stata resa impossibile dalle condizioni di disagio economico in cui i coniugi versavano e versano, ed oggi sussiste ed è corroborata dall"assistenza morale tra gli stessi che sono apparsi più volte insieme agli operatori che si sono occupati della loro condizione di disagio, ed attualmente per l"assistenza morale prestata dalla dal marito nei confronti della ricorrente, attualmente in malattia".

Il Tribunale, in sentenza, si richiama a precedenti pronunce della Corte di Cassazione che sottolineano come il requisito dell"effettiva convivenza debba essere inteso anche in senso sostanziale come comunione di vita e assistenza reciproca

 

Il diritto al soggiorno a seguito del matrimonio con un cittadino italiano sussiste in quanto ad esso faccia seguito l"effettiva convivenza dei coniugi e fino a quando sussista tale convivenza, da intendersi non solo come mera convivenza, ma anche in senso sostanziale come comunione di vita e assistenza reciproca, la cui prova grava sullo straniero (Cass. n. 23598/2006; n. 2539/2005 si deve notare, tuttavia, come la massima citata sia molto più generosa del contenuto effettivo delle dette pronunce, le quali lette integralmente sembrano adattarsi all"indirizzo tradizionale più restrittivo; su cui Cass. civ., sez. I, 23 luglio 2010, n. 17346; Tar Veneto Venezia, sez. III, 10 febbraio 2009, n. 329 per cui "In materia di rilascio del permesso di soggiorno per motivi familiari, il matrimonio contratto con un italiano non attribuisce senz"altro allo straniero il diritto di ottenere il permesso di soggiorno, ma è necessario l"ulteriore presupposto della convivenza con il coniuge", conforme Cons. Stato, sez. VI, 27 giugno 2008, n. 3267).

 

Il Giudice, alla luce di tali considerazioni, ha quindi accolto il ricorso proposto dalla donna ritenendo integrato il requisito della convivenza, seppure nella forma attenuata che è compatibile con l"assistenza sociale di cui i coniugi beneficiano a causa delle loro condizioni economiche.

Si deve concordare con la ratio espressa da tale sentenza che, conferisce cittadinanza a chi è senza diritti, leggendo oltre la lettera delle disposizioni per attribuire alle norme un significato di prossimità rispetto alle fragilità e ai bisogni delle persone concrete.

Sotto il profilo strettamente giuridico, peraltro, si deve rilevare come quanto statuito dal Tribunale di Milano valorizzi la differenza semantica fra coabitazione e convivenza, laddove la prima si limita a riferirsi a un dato materiale, mentre la seconda trova forma nell"unione di due vite, con un evidente connotazione affettiva ed esistenziale. Tale distinzione viene confermata anche dai principi etici e di costume che reggono la vita coniugale, come rispecchiata dall"esperienza, alla cui definizione si adatta più il termine di convivenza, che non quello "burocratico" di coabitazione (sul punto Roma, Convivenza e coabitazione, Cedam, Padova, 2005).

Tratto da www.asgi.it




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