-  Mazzon Riccardo  -  12/10/2016

Elemento soggettivo: rapporti tra colpa e colpevolezza - Riccardo Mazzon

Ci si chiede quale effetto consegua, nell'ambito della colpa, all"applicazione del principio di colpevolezza, inteso come attribuzione del fatto obiettivamente antigiuridico al soggetto, attraverso un giudizio normativo di rimproverabilità personale.

Diverso, rispetto al dolo, risulta l'atteggiamento del principio della colpevolezza nell"ambito del reato colposo (per un approfondimento, si veda il terzo capitolo del volume: "Responsabilità e risarcimento del danno da circolazione stradale" Riccardo Mazzon, Rimini 2014).

Il soggetto può dirsi in colpa, semplificando la definizione al massimo grado, quando l"evento consegue ad una sua violazione di norme cautelari (e, naturalmente, non ricorre l"ipotesi dolosa); ma ciò non è sufficiente: occorre anche che la violazione delle suddette norme cautelari sia pienamente attribuibile al detto soggetto (è in questo momento che vengono in rilievo concetti quali la prevedibilità, l"inevitabilità, l"homo eiusdem generis et professionis, la particolare conoscenza del soggetto).

Anche in relazione a tale problematica interviene la pronuncia 364/88 della Corte Costituzionale, avvertendo che, anzitutto, in argomento è significativa la "lettera" del 1° co. dell"art. 27 Cost.; non si

legge, infatti, in esso: la responsabilità penale è "per fatto proprio" ma la responsabilità penale è "personale".

Sicché, chi tendesse ad esaminare lo stesso comma sotto il profilo, per quanto, in sede penale, superato, della distinzione tra fatto proprio ed altrui (salvo a precisare l"esatta accezione, in materia, del termine "fatto") dovrebbe almeno leggere la norma in esame come equivalente a: "La responsabilità penale è per personale fatto proprio"; ma è l"interpretazione sistematica del 1° co. dell"art. 27 Cost. che ne svela l"ampia portata.

Collegando il primo al 3° co. dell"art. 27 Cost. agevolmente si scorge che, comunque s"intenda la funzione rieducativa di quest"ultima, essa postula almeno la colpa dell"agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica; non avrebbe senso la "rieducazione" di chi, non essendo almeno "in colpa" (rispetto al fatto) non ha, certo, "bisogno" di essere "rieducato"; soltanto quando alla pena venisse assegnata esclusivamente una funzione deterrente (ma ciò è sicuramente da escludersi, nel nostro sistema costituzionale, data la grave strumentalizzazione che subirebbe la persona umana) potrebbe configurarsi come legittima una responsabilità penale per fatti non riconducibili (oltre a quanto si dirà in tema d"ignoranza inevitabile della legge penale) alla predetta colpa dell"agente, nella prevedibilità ed evitabilità dell"evento:

"non è dato qui scendere ad ulteriori precisazioni: va soltanto chiarito che quanto sostenuto è in pieno accordo con la tendenza mostrata dalle decisioni assunte da questa Corte allorché è stata chiamata a decidere sulla costituzionalità di ipotesi criminose che si assumeva non contenessero requisiti subiettivi sufficienti a realizzare il dettato dell"art. 27 Cost. Qui quella tendenza si completa e conclude. A parte un momento le affermazioni "di principio" contenute nelle citate decisioni, nessuno può disconoscere che, sempre, le sentenze, in materia, hanno cercato di ravvisare, nelle ipotesi concrete sottoposte all"esame della Corte, un qualche "requisito psichico" idoneo a renderle immuni da censure d"illegittimità costituzionale ex art. 27 Cost. Le stesse decisioni, pur muovendosi nell"ambito dell"alternativa tra fatto proprio ed altrui, non hanno mancato di ricercare spesso un qualche coefficiente soggettivo (anche se limitato) sul presupposto che il "fatto proprio" debba includere anche simile coefficiente per divenire "compiutamente proprio" dell"agente: così, ad esempio, nella sentenza n. 54 del 1964, nella quale si afferma che il reato in esame "presuppone nell"agente la volontà di svolgere quell"attività che va sotto il nome di ricerca archeologica e che la legge interdice ai soggetti non legittimati dal necessario provvedimento amministrativo. Il fatto punito è perciò sicuramente un fatto proprio del soggetto cui la sanzione penale viene comminata": si noti che l"attività indicata, in mancanza d"evento naturalistico, integra l"intero fatto, oggettivo che, in conseguenza del riferimento ad esso della volontà dell"autore, "perciò sicuramente" costituisce "fatto proprio" dell"agente; così nella sentenza 17 febbraio 1971, n. 20 ove, a proposito dell"art. 539 c.p., si rileva come, pur in presenza dell"errore sull"età dell"offeso, "la condotta del delitto di violenza carnale, essendo posta in essere volontariamente (e si badi: non esistendo, nell"ipotesi esaminata, evento naturalistico, tal condotta esaurisce il fatto, oggettivamente considerato, al quale va riferita la volontarietà) è con certezza riferibile all"autore come "fatto suo proprio"; e così ancora, a tacere di altre decisioni, in quella del 17 febbraio 1971, n. 21. Ed anche a proposito delle dichiarazioni "di principio" contenute nelle citate sentenze va sottolineato che, se si deve qui confermare che il 1° co. dell"art. 27 Cost. contiene un tassativo divieto della responsabilità "per fatto altrui", va comunque precisato che ciò deriva dall"altro, ben più "civile" principio, di non far ricadere su di un soggetto, appunto estraneo al "fatto altrui", conseguenze penali di "colpe" a lui non ascrivibili. Come è da confermare che si risponde penalmente soltanto per il fatto proprio, purché si precisi che per "fatto proprio" non s"intende il fatto collegato al soggetto, all"azione dell"autore, dal mero nesso di causalità materiale (da notare che, anzi, nella fattispecie plurisoggettiva il fatto comune diviene anche "proprio" del singolo compartecipe in base al solo "favorire" l"impresa comune) ma anche, e soprattutto, dal momento subiettivo, costituito, in presenza della prevedibilità ed evitabilità del risultato vietato, almeno dalla "colpa" in senso stretto" (Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364, FA, 1989, 3).

Proprio questa piena attribuibilità della violazione di norme cautelari permette che il soggetto sia passibile di giudizi di riprovevolezza; versi cioè, riguardo la violazione penale, in uno stato di colpevolezza che permette l"imputazione soggettiva del fatto costituente reato.

Quindi, tanto nel dolo che nella colpa, è ben chiaro ed individuabile un concetto di colpevolezza attributivo della piena imputabilità soggettiva; e questo essenziale presupposto, alla luce dei principi costituzionali suesposti, è da ritenersi necessario anche nell"imputabilità a titolo di responsabilità oggettiva.

Ed anche a proposito dell"esclusione, nel 1° co. dell"art. 27 Cost., del tassativo divieto di responsabilità oggettiva, chiarisce la pronuncia infra epigrafata, va precisato che (ricordata l"incertezza dottrinale in ordine alle accezioni da attribuire alla predetta espressione) se nelle ipotesi di responsabilità oggettiva vengono comprese tutte quelle nelle quali anche un solo, magari accidentale, elemento del fatto, a differenza di altri elementi, non è coperto dal dolo o dalla colpa dell"agente (c.d. responsabilità oggettiva spuria od impropria) si deve anche qui ribadire che il 1° co. dell"art. 27 Cost. non contiene un tassativo divieto di "responsabilità oggettiva".

Diversamente va posto il problema, a seguito di quanto ora sostenuto, per la c.d. responsabilità oggettiva pura o propria.

Si noti che, quasi sempre è in relazione al complessivo, ultimo risultato vietato che va posto il problema della violazione delle regole "preventive" che, appunto in quanto collegate al medesimo, consentono di riscontrare nell"agente la colpa per il fatto realizzato.

Ma, ove non si ritenga di restringere la c.d. responsabilità oggettiva "pura" alle sole ipotesi nelle quali il risultato ultimo vietato dal legislatore non è sorretto da alcun coefficiente subiettivo, va, di volta in volta, a proposito delle diverse ipotesi criminose, stabilito quali sono gli elementi più significativi della fattispecie che non possono non essere "coperti" almeno dalla colpa dell"agente perché sia rispettato da parte del disposto di cui all"art. 27, 1° co., Cost. relativa al rapporto psichico tra soggetto e fatto:

"e non va, infine, dimenticata la sentenza n. 3 del 1956, nella quale limpidamente si afferma: "Ma appunto il direttore del periodico risponde per fatto proprio, per lo meno perché tra la sua omissione e l"evento c"è un nesso di causalità materiale, al quale s"accompagna sempre un certo nesso psichico (art. 40 c.p.) sufficiente, come è opinione non contrastata, a conferire alla responsabilità il connotato della personalità". A parte ogni rilievo, peraltro già sottolineato, in ordine all"alternativa tra fatto proprio ed altrui, è altamente indicativa l"affermazione per la quale al nesso di causalità materiale s"accompagna "sempre" un certo nesso psichico" (Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364, FA, 1989, 3).

 

 

 




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