-  Mazzon Riccardo  -  20/09/2016

Elemento soggettivo: rapporti tra dolo e colpevolezza - Riccardo Mazzon

Ci si chiede quale effetto consegua, nell'ambito del dolo, all"applicazione del principio di colpevolezza, inteso come attribuzione del fatto obiettivamente antigiuridico al soggetto, attraverso un giudizio normativo di rimproverabilità personale.

Presuppoato il contenuto generale della colpevolezza, si può notare come la colpevolezza, nel dolo, non comporti particolari problemi per quel che riguarda la sua componente volitiva (è palese l"attribuibilità soggettiva di ciò che è voluto, anche se solo indirettamente), ma concentri particolari problematiche nel suo momento conoscitivo: è soprattutto a questo proposito che è intervenuta la Corte cost. con la sentenza n. 364/1988, la quale pone a caposaldo della propria decisione il rigoroso dettato circa l"assoluta necessità che il soggetto, perché gli si possa addebitare il reato, sia stato almeno nella possibilità di rendersi consapevole del disvalore (antigiuridicità) del fatto commesso (per un approfondimento, si veda il terzo capitolo del volume: "Responsabilità e risarcimento del danno da circolazione stradale" Riccardo Mazzon, Rimini 2014).

In argomento, proprio la pronuncia n. 364/88 della Corte Costituzionale, prima d"esaminare se ed in quali limiti l"art. 5 c.p. dovesse ritenersi illegittimo, a seguito dell"entrata in vigore della Costituzione repubblicana, brevemente sottolineava alcune premesse ideologiche, di metodo, storiche e dommatiche secondo le quali:

- la mancata considerazione delle relazioni tra soggetto e legge penale, l"idea che nessun rilievo giuridico va dato all"ignoranza della legge penale, è, fra l"altro, il risultato di tre ben caratterizzate impostazioni ideologiche: la prima, in radicale critica alla concezione normativa del diritto, contesta che l"obbedienza o la trasgressione della legge abbia attinenza con la conoscenza od ignoranza della medesima; la seconda sottolinea che, essendo l"ordinamento giuridico sorretto da una "coscienza comune" che lo legittima e costituendo, pertanto, la trasgressione della legge "episodio" particolare, incoerente e perciò ingiustificato (attuato da chi, conoscendo e contribuendo a realizzare i valori essenziali che sono alla base dello stesso ordinamento, appunto arbitrariamente ed incoerentemente si pone in contrasto con uno dei predetti valori) non può lo stesso ordinamento condizionare l"effettiva applicazione della sanzione penale alla prova della conoscenza, da parte dell"agente, per ogni illecito, del particolare precetto violato; la terza impostazione ideologica, comunemente ritenuta soltanto politica, attiene all"illuministica "maestà" della legge, la cui obbligatorietà, si sostiene, non va condizionata dalle mutevoli "psicologie" individuali nonché dall"alea della prova, in giudizio, della conoscenza della stessa legge;

- contro la prima tesi, va osservato che, supposta l"esistenza di leggi giuridiche statali, nessun dubbio può fondatamente sorgere in ordine al principio che spetta all"ordinamento dello Stato stabilire le condizioni in presenza delle quali esso entra in funzione (e, tra queste, ben può essere prevista la conoscenza della legge che si viola);

- alla seconda tesi va obiettato che, in tempi in cui le norme penali erano circoscritte a ben precisi illeciti, ridotti nel numero e, per lo più, costituenti violazione anche di norme sociali universalmente riconosciute, era dato sostenere la regolare conoscenza, da parte dei cittadini, dell"illiceità dei fatti violatori delle leggi penali; ma, oggi, tenuto conto del notevole aumento delle sanzioni penali, sarebbe quasi impossibile dimostrare che lo Stato sia effettivamente sorretto da una "coscienza comune" tutte le volte che "aggiunge" sanzioni a violazioni di particolari, spesso "imprevedibili", valori relativi a campi, come quelli previdenziale, edilizio, fiscale ecc., che nulla hanno a che vedere con i delitti, c.d. naturali, di comune "riconoscimento" sociale;

- alla terza impostazione ideologico-politica va obiettato che, certamente, è pericoloso, per la tutela dei valori fondamentali sui quali si fonda lo Stato, condizionare, di volta in volta, alla prova in giudizio della conoscenza della legge penale, da parte dell"agente, l"effettiva applicabilità delle sanzioni penali ma che, tuttavia, il principio dell"irrilevanza assoluta dell"ignoranza della legge penale non discende dall"obbligatorietà della stessa legge; tant"è vero che, come è stato sottolineato di recente dalla dottrina, nei sistemi nei quali si attribuisce rilevanza all"ignoranza della legge penale non per questo la legge diviene "meno obbligatoria":

"vero è che gli opposti principi dell"assoluta irrilevanza o dell"assoluta rilevanza dell"ignoranza della legge penale non trovano valido fondamento: ove, infatti, s"accettasse il principio dell"assoluta irrilevanza dell"ignoranza della legge penale si darebbe incondizionata prevalenza alla tutela dei beni giuridici a scapito della libertà e dignità della persona umana, costretta a subire la pena (la più grave delle sanzioni giuridiche) anche per comportamenti (allorché l"ignoranza della legge sia inevitabile) non implicanti consapevole ribellione o trascuratezza nei confronti dell"ordinamento; ove, invece, si sostenesse l"opposto principio dell"assoluta scusabilità della predetta ignoranza, l"indubbio rispetto della persona umana condurrebbe purtroppo (a parte la questione della possibilità che esistano soggetti che volutamente si tengano all"oscuro dei doveri giuridici) a rimettere alla variabile "psicologia" dei singoli la tutela di beni che, per essere tutelati penalmente, si suppone siano fondamentali per la società e per l"ordinamento giuridico statale" (Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364, FA, 1989, 3).

Ecco allora come persino l"ignoranza della legge penale, in quanto inevitabile, sia da ritenersi causa di esclusione dell"imputabilità del reato al materiale agente: e ciò proprio perché, con la mancata conoscenza (inevitabile) del precetto, verrebbe a mancare, unitamente al momento conoscitivo del dolo, la consapevolezza di agire contra ius, quindi la rimproverabilità del soggetto agente, quindi la sua colpevolezza.

Sul piano metodologico, precisa ulteriormente in argomento la Corte Costituzionale, va osservato che non è prospettiva producente ed esaustiva quella che esamini il tema dell"ignoranza della legge penale considerando il solo "istante" nel quale il soggetto oggettivamente viola la legge penale nell"ignoranza della medesima; ed indispensabile, infatti, non trascurare le "cause", remote e prossime, della predetta ignoranza e, pertanto, estendere l"indagine al preliminare stato delle relazioni tra ordinamento giuridico e soggetti ed in particolare ai rapporti tra l"ordinamento, quale soggetto attivo dei processi di socializzazione di cui all"art. 3, 2° co., Cost. ed autore del fatto illecito:

"se non si mancherà d"accennare a tale indagine, va, peraltro, sottolineato che la medesima non potrà, ovviamente, esser sufficientemente approfondita in questa sede" (Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364, FA, 1989, 3).

E, dal punto di vista storico e di diritto comparato, va sottolineato che il principio dell"irrilevanza dell"ignoranza di diritto non è mai stato positivamente affermato nella sua assolutezza, potendosi, anzi, affermare che la storia del principio in esame coincida con la storia delle sue eccezioni: dal diritto romano-classico, per il quale era consentito alle donne ed ai minori di 25 anni "ignorare il diritto", attraverso i "glossatori" ed il diritto canonico, fino alle attuali normative di diritto comparato (codici penali tedesco-occidentale, austriaco, svizzero, greco, polacco, iugoslavo, giapponese ecc.) si evidenziano tali e tante "eccezioni" all"assolutezza del principio in discussione che il codice Rocco si può sostenere sia rimasto, in materia, isolato, neppure più seguito dal codice penale portoghese:

"quest"ultimo, infatti, mutando recentemente la precedente normativa, ha previsto il c.d. "errore intellettuale", nel quale rientra l"errore sul divieto la cui conoscenza appare ragionevolmente indispensabile perché possa aversi coscienza dell"illiceità del fatto" (Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364, FA, 1989, 3).

Va, infine, ricordato che, come rilevato da abbondante dottrina, il principio dell"inescusabilità dell"ignoranza della legge penale, concepito nella sua assolutezza, non trova neppure convincente sistemazione dommatica: escluso che possa prospettarsi l"esistenza d"un "dovere autonomo di conoscenza" della legge penale (ne mancherebbe, fra l"altro, la relativa sanzione) anche le tesi della presunzione iuris et de iure e della "finzione" di conoscenza della legge penale (a parte la considerazione che le medesime, mentre ritengono essenziale al reato la coscienza dell"antigiuridicità del comportamento criminoso, "presumono", in fatto, ciò che assumono essenziale in teoria) s"inseriscono in un contesto che

"parte dall"opposto principio dell"essenzialità al reato della coscienza dell"illiceità e, pertanto, della "scusabilità" dell"ignoranza della legge penale" (Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364, FA, 1989, 3).

 




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