-  Mazzon Riccardo  -  27/10/2016

Elemento soggettivo: rapporti tra responsabilità oggettiva e colpevolezza - Riccardo Mazzon

Ci si chiede quale effetto consegua, nell'ambito della responsabilità oggettiva, all"applicazione del principio di colpevolezza, inteso come attribuzione del fatto obiettivamente antigiuridico al soggetto, attraverso un giudizio normativo di rimproverabilità personale.

Premesso come l"ambito della responsabilità oggettiva sia andato progressivamente scemando con l"affinarsi della scienza del diritto, è tuttavia ad oggi maggioritaria la tesi dottrinale che vuole ben presente, nel nostro ordinamento penale, la figura della responsabilità oggettiva intesa nel senso tradizionale di imputabilità esclusivamente dovuta al nesso materiale-eziologico (per un approfondimento, si veda il terzo capitolo del volume: "Responsabilità e risarcimento del danno da circolazione stradale" Riccardo Mazzon, Rimini 2014); così, ad esempio, anche recentemente è consueto recuperare pronunce secondo cui l'elemento soggettivo del delitto di omicidio preterintenzionale non è costituito da dolo e responsabilità oggettiva né dal dolo misto a colpa, ma unicamente dal dolo di percosse o lesioni, in quanto la disposizione di cui all'art. 43 cod. pen. assorbe la prevedibilità di evento più grave nell'intenzione di risultato; pertanto, si legge nella sentenza che segue (dove, in applicazione del principio che segue, la Suprema Corte ha ritenuto immune da censure la decisione con cui il giudice di merito ha affermato la responsabilità dell'imputato, per avere nel corso di una colluttazione colpito la vittima, la quale cadeva a terra e decedeva per "un accidente cardiovascolare acuto in soggetto cardiopatico"), la valutazione relativa alla prevedibilità dell'evento da cui dipende l'esistenza del delitto "de quo" è nella stessa legge,

"essendo assolutamente probabile che da una azione violenta contro una persona possa derivare la (morte della stessa" Cassazione penale, sez. V, 18/10/2012, n. 791 Rigetta, Ass.App. Palermo, 21/07/2011 P. CED Cass. pen. 2012, rv 254386; cfr. anche: Trib. Venezia, 19 maggio 2005, CorM, 2005, 12 1314; Cass. pen., sez. V, 13 maggio 2004, n. 43524, CP, 2006, 7-8, 2434; Cass. pen., sez. V, 6 febbraio 2004, n. 15004, CP, 2006, 2 518; Cass. pen., sez. V, 8 marzo 2006, n. 13673; CED, 2006, 234552).

Onde, peraltro, accodarsi alla giurisprudenza costituzionale, inaugurata con la sentenza n. 364/1988, ed altresì evitare che tutti i casi di responsabilità oggettiva presenti nel nostro ordinamento cadano sotto la scure dell"anticostituzionalità, è invece necessario aderire alla tesi che vede presente, anche nella responsabilità oggettiva, un quid minimum di nesso psicologico-soggettivo: la colpevolezza appunto.

Dal collegamento tra il primo e 3° co. dell"art. 27 Cost. risulta infatti, si legge nella pronuncia testé richiamata, insieme con la necessaria "rimproverabilità" della personale violazione normativa, l"illegittimità costituzionale della punizione di fatti che non risultino essere espressione di consapevole, rimproverabile contrasto con i (od indifferenza ai) valori della convivenza, espressi dalle norme penali.

La piena, particolare compenetrazione tra fatto e persona implica che siano sottoposti a pena soltanto quegli episodi che, appunto personalmente, esprimano il predetto, riprovevole contrasto od indifferenza; ed il ristabilimento dei valori sociali "dispregiati" e l"opera rieducatrice ed ammonitrice sul reo hanno senso soltanto sulla base della dimostrata "soggettiva antigiuridicità" del fatto.

In conclusione del primo approccio interpretativo del disposto di cui al 1° co. dell"art. 27 Cost., deve, pertanto, affermarsi che il fatto imputato, perché sia legittimamente punibile, deve necessariamente includere almeno la colpa dell"agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie tipica: il fatto (punibile, "proprio" dell"agente) va, dunque, nella materia che si sta trattando, costituzionalmente inteso in una larga, anche subiettivamente caratterizzata accezione e non in quella, riduttiva, d"insieme di elementi oggettivi.

E la "tipicità" (oggettiva e soggettiva) del fatto (ovviamente, di regola, vengono richiesti nelle diverse ipotesi criminose, ulteriori elementi subiettivi, come il dolo ecc.) costituisce, così,

"primo, necessario "presupposto" della punibilità ed è distinta dalla valutazione e rimproverabilità del fatto stesso" (Corte cost., 24 marzo 1988, n. 364, FA, 1989, 3).

Non mancano, tuttavia, indizi della sofferenza con cui la dottrina affronta il difficile argomento (è noto l"orientamento che vuole i casi di responsabilità oggettiva come casi in cui la colpa è presunta iuris et de iure), ma la maggior parte della dottrina sembra aderire alla tesi che vuole i casi di responsabilità oggettiva ispirati al vecchio brocardo qui versat in re illicita respondet etiam pro casu.

L"antico brocardo abbisogna invece, come evidenziato, di essenziali modifiche.

Ma quando allora si risponderà per responsabilità oggettiva?

Particolarmente interessante è partire proprio dal versari in re illicita ed effettuare un parallelo con la colpa.

Come il legislatore richiede prudenza e diligenza nel procedere in attività lecite, pena la responsabilità colposa, così esso richiede prudenza e attenzione anche in re illicita: se l"agente, volendo commettere un reato, non è attento e diligente così consentendo al proprio agire di superare l"effetto desiderato ("oltre l"intenzione"), causando eventi nocivi non voluti, eppur prevedibili ed evitabili usando la necessaria diligenza, esso risponderà anche per detti, ulteriori eventi; e se non si può dire che questi gli siano addebitabili a titolo di dolo e di colpa, neppure si può

sostenere che egli risponda in presenza del solo nesso di causalità materiale: egli non avendo usato la necessaria cautela, versa in uno stato di riprovevolezza che collega a lui l"evento anche psicologicamente; la Corte d"Assise meneghina precisava, a tal proposito, che l"interpretazione della fattispecie di omicidio preterintenzionale (art. 584 c.p.) deve rispettare il principio di colpevolezza, ponendosi in linea con l"insegnamento della Corte cost. sul tema della personalità della responsabilità penale:

"da ciò discende una ricostruzione della preterintenzione come ipotesi di dolo misto a colpa; sicché la morte, in quanto elemento significativo che connota il disvalore della figura delittuosa descritta dall"art. 584 c.p., può essere addebitata all"agente soltanto ove rappresenti la conseguenza concretamente prevedibile degli atti diretti a percuotere o a ledere e siano altresì configurabili profili di colpa generica, consistenti nella violazione delle regole cautelari poste a presidio del controllo finalistico di ogni decorso causale" (Ass. Milano, 6 giugno 2003, CP, 2005, 2 598).

Ecco allora la colpevolezza, l"imputabilità soggettiva, qual minimum di rimproverabilità che permette di affermare la costituzionalità dell"imputazione a titolo di responsabilità soggettiva [si confronti anche, a tal proposito, la seguente pronuncia – invero temporalmente superata dall" orientamento, qui criticato ma oggi prevalente e riassunto nella sentenza della Suprema Corte n. 791 del 18 ottobre 2012, riportata al paragrafo che precede, 2.8. -, laddove sostiene che l"elemento psicologico del delitto preterintenzionale deve essere ravvisato nel dolo misto a colpa, riferito il primo al reato meno grave e la seconda all"evento più grave in concreto realizzatosi, e, ai fini dell"imputazione,

"si deve verificare, di volta in volta, la concreta prevedibilità ed evitabilità dell"evento maggiore" (Cass. pen., sez. I, 8 giugno 2006, n. 19611, D&G, 2006, 27 41).

 

 




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