-  Gasparre Annalisa  -  03/02/2015

ESAME AVVOCATO: IL CANE NON HA IL PEDIGREE PROMESSO, QUID IURIS? - Annalisa GASPARRE

Il 6 febbraio 2012 Tizio acquistava da Caio un cane con pedigree. In data 9 marzo 2014 Tizio, dopo aver portato il cane dal veterinario per un controllo, apprendeva che il cane acquistato era privo del pedigree e, quindi, denunciava l'inadempimento contrattuale a Caio, chiedendo la riduzione del prezzo e il risarcimento del danno. Solo in via subordinata richiedeva il risarcimento del danno a titolo extracontrattuale.

Caio non rispondeva alla richiesta di Tizio e, nel maggio 2014, riceveva la notifica di un atto di citazione con cui Tizio proponeva le domande sopra descritte: in via principale si avvaleva della disciplina sulla garanzia nella vendita e, in via subordinata, della disciplina sul fatto illecito. In via principale Tizio domandava la riduzione del prezzo e, in via subordinata, il risarcimento del danno.

Il candidato, assunta la difesa di Caio, rediga parere motivato.

(Traccia assegnata da Law School SSPL Pavia-Bocconi. Prof. Lucchini Guastalla)

 

Caio, venditore di animali, si trova a doversi difendere dalle pretese del compratore Tizio in merito alla mancanza di pedigree del cane acquistato da Caio, con particolare riferimento alla richiesta di riduzione del prezzo e di risarcimento del danno a titolo di inadempimento contrattuale e, in via subordinata, a titolo di risarcimento del danno "da fatto illecito".

In linea generale, il problema attualizzato dalla pretesa del compratore attiene alle conseguenze di un contratto di compravendita avente ad oggetto animali vivi e, segnatamente, un cucciolo di cane di razza, identificabile, dal punto di vista genealogico, per mezzo di un pedigree che, nel caso concreto, non veniva consegnato, perché non esistente. In medias res, si tratta di qualificare il valore del pedigree, vale a dire di un documento attestante l'origine del cane, nell'economia complessiva del contratto stipulato e, nello specifico, se la carenza di questo 'attributo' costituisca un vizio redibitorio, tale da rendere l'animale inidoneo all'uso cui è destinato o a diminuirne il valore in modo apprezzabile (art. 1490 c.c.), oppure se rivesta o meno la qualifica di qualità essenziale del bene oggetto di compravendita, e se, pertanto, sia esperibile l'esercizio fruttuoso della tutela prevista dall'art. 1497 c.c. (risoluzione del contratto).

Il codice infatti prevede che se la cosa venduta non ha le qualità promesse o quelle essenziali per l'uso a cui è destinata (art. 1497 c.c.), il compratore può ottenere la risoluzione del contratto, diritto soggetto al termine di decadenza di otto giorni dalla scoperta, salvo diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge. Tuttavia, l'azione per fare valere tale garanzia è praticabile nel termine di prescrizione di un anno dalla consegna. Nel caso di vizio redibitorio, fermi restando i termini di decadenza e di prescrizione, il compratore è titolare di un diritto potestativo e può scegliere se risolvere il contratto o chiedere la riduzione del prezzo.

In via subordinata, l'azione giudiziale contro il venditore si è rivolta ad un profilo di responsabilità aquiliana che, per effetto dell'operare degli artt. 2043 e 2947 c.c., consente di azionare la pretesa nel più lungo termine di cinque anni.

La questione, evidentemente, non di poca importanza atteso che il compratore ha denunciato l'assenza del pedigree dopo due anni dalla conclusione del contratto e dalla consegna del cane. Quanto alla scoperta dell'assenza del pedigree, dirimente è il dato di comune esperienza ravvisabile nel fatto che il pedigree è confezionato all'interno di un documento che viene consegnato all'acquirente e che, pertanto, l'assenza non è "vizio" occulto che può essere scoperto solo per caso o solo nel momento in cui si faccia uno specifico accertamento o nel momento in cui si manifesti all'esterno (come può accadere, invece, nel caso di vizio di un immobile o di malfunzionamento di un bene).

Un'altra questione riguarda la configurabilità di responsabilità extracontrattuale di parte contrattuale, cioè il venditore. Sul punto, la giurisprudenza ha ammesso che possa sussistere la responsabilità da fatto illecito del venditore nelle ipotesi in cui il danno sofferto dal compratore abbia leso interessi di quest'ultimo – purché abbiano la consistenza di diritti assoluti – sorti al di fuori dal rapporto contrattuale. Al contrario, quando il pregiudizio sia mera conseguenza diretta del minor valore della cosa o della sua distruzione o del difetto di qualità si rimane nell'ambito della responsabilità contrattuale (Cass. n. 11410/08). Con specifico riferimento alla mancata consegna di un pedigree nella compravendita di un cane, la Cassazione ha di recente statuito che il danno lamentato non rientra tra la lesione di diritti assoluti e non esula dalle conseguenze meramente contrattuali, dunque rimane soggetta alla disciplina prevista dagli artt. 1490 ss. e alla prescrizione annuale (Cass. n. 3021/2014).

Per vero la giurisprudenza si è occupata spesso di vizi emersi con riferimento alla compravendita di animali, intesi a vario titolo. Alcune pronunce hanno distinto tra mancanza delle qualità promesse od essenziali, ritenendo applicabile l'art. 1497 c.c., altre hanno ritenuto applicabile al garanzia del buon funzionamento, prevista dall'art. 1512 c.c., che obbliga il venditore alla sostituzione o alla riparazione del bene che risulti inidoneo al funzionamento. Si è però evidenziato che le norme operano su piani diversi e che la valutazione della gravità attiene profili differenti. Nel caso della mancanza di qualità promesse od essenziali, la gravità connota l'inadempimento e serve a verificare se permane l'interesse del compratore alla conservazione del contratto, nel senso che la risoluzione sanziona il venir meno di questo interesse. Nella garanzia del buon funzionamento, invece, la gravità riguarda i difetti della cosa e serve come mezzo di scelta del rimedio più idoneo ad assicurare il funzionamento della cosa: sostituzione o riparazione, cioè vale a riportare la cosa allo stato di efficienza che avrebbe dovuto avere. La risoluzione del contratto assume qui i contorni di rimedio estremo, quando gli altri non siano esperibili. Tale garanzia è stata però esclusa con riferimento agli animali perché non sono cose destinate a durare nel tempo, ma "deteriorabili".

Il trend applicativo maggiormente condiviso (ex multis, Cass. n. 9330/2004) è piuttosto quello di applicare alla compravendita di animali le norme generali in tema di compravendita di beni, con il corollario della garanzia per i vizi della cosa venduta, vizi tra i quali sono incluse anche le patologie di cui l'animale è affetto (circostanza che, invece, secondo altri, essendo la malattia un'alterazione patologica, comporterebbe l'inquadramento nella norma di cui all'art. 1497 c.c. con conseguente risoluzione del contratto anziché azione redibitoria ex art. 1490 c.c.). In ogni caso, la colpa del venditore è irrilevante ai fini del risarcimento del danno.

Per completezza, è da evidenziare che la condotta asseritamente addebitabile al venditore trova copertura anche nella disciplina penale, laddove l'art. 515 c.p. (frode nell'esercizio del commercio) punisce chi, nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita. La fattispecie trova spiccata applicazione anche nella vendita di cani, specie se provenienti da Paesi esteri e spacciati come nati ed allevati in Italia e che, oltre a condizioni fisiologiche sintomatiche di condotte di reato in danno degli stessi animali, rappresentano altresì la lesione dell'affidamento dell'acquirente, dunque punite come frode.

Sulla base di quanto premesso, nel caso concreto, valutato che il danno lamentato quale conseguenza della mancata consegna di un pedigree, per come esposto, non può che rientrare tra le conseguenze del rapporto contrattuale, possono essere azionati dal compratore unicamente i rimedi contrattuali, sicché, essendo avvenuta la denuncia del vizio oltre i termini di decadenza e di prescrizione previsti e non essendovi traccia di diverso termine convenzionale pattuito tra le parti, è evidente che l'azione sia tardiva.




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