-  Luca Leidi  -  26/01/2017

Esame di stato psicologia 2016: violazione del diritto all'anonimato? - Luca Leidi

Come per noi giuristi, anche i tirocinanti psicologi devono affrontare il temutissimo esame di Stato per l"abilitazione all"esercizio della professione.

Sottili sono le differenze con il nostro (in primis, l"esame si svolge due volte all"anno - una a giugno, l"altra a novembre; in secundis, la Commissione giudicante è la medesima in cui si svolge l"esame), tanta è la disciplina che ci accomuna (tre giorni di prova scritta, più una orale; l"orario è di circa sette ore; il numero di candidati è molto alto; necessario espletamento di un periodo ininterrotto e continuativo di tirocinio; la disciplina atta a garantire l"anonimato dei candidati e la connessa imparzialità della Commissione). Proprio tale ultima caratteristica comune sarà l"oggetto del presente articolo: anonimato e par condicio del candidato, al fine di salvaguardare l"imparzialità e la trasparenza della Commissione giudicatrice.

Ho deciso di scrivere questo articolo mosso, da una parte, dalla mia recente esperienza con l"Esame di Stato di Avvocatura, e, dall"altra, con quello che pare essere successo all"Esame di Stato per Psicologi svoltosi presso l"Ordine di Padova nel 2016 (l"uso del congiuntivo è d"uopo, essendo in corso taluni procedimenti volti a favorire un concreto accertamento dell"Autorità). In tale sede, infatti, sembra che i fogli su cui svolgere l"elaborato recavano, in alto a destra, dei timbri apposti dalla Commissione che – come richiesto esplicitamente dallo stesso timbro – dovevano essere compilati dal candidato apponendovi il proprio nome e cognome. In altre parole, come accadeva alle scuole superiori e nei compiti scritti all"università, il candidato doveva segnalare il proprio nome e cognome direttamente sul foglio, compilando gli appositi spazi dettati dal timbro di originalità dell"Ordine; la stessa operazione doveva essere ripetuta anche sull"apposito tagliandino da inserire in una busta più piccola, la quale, poi, andava immessa unitamente al compito nella busta più grossa (come per l"Esame forense). Tale notizia ha ingenerato nel sottoscritto più di un qualche dubbio – non solo per la mia vena a ragionare in termini giuridici su qualunque cosa mi accada intorno.

E" possibile che ad un esame di stato professionalizzante possa essere richiesto di "firmare" il proprio compito? Con tale comportamento non si rischia di mandare in tilt il sistema in un paese, come l"Italia, dove il pericolo di raccomandazioni è più forte che in altri stati e dove la "teoria del complottismo" è sempre viva?

FONTI REGOLAMENTARI

In merito al principio dell"anonimato delle prove nei concorsi pubblici, normativa generale di riferimento è il D.P.R. 9 maggio 1994, n.487, intitolato "Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi" (1).

In particolare, l"art.14, rubricato "Adempimenti dei concorrenti e della commissione al termine delle prove scritte", prescrive:

comma1) la consegna al candidato di una busta grande ed una piccola, quest"ultima contenente un cartoncino bianco su cui, come già detto, dovranno essere scritti i dati del candidato (nome, cognome, residenza);

comma2) le modalità per il candidato da seguire al termine di ogni singola prova: «Il candidato, dopo aver svolto il tema, senza apporvi sottoscrizione, né altro contrassegno, mette il foglio o i fogli nella busta grande. Scrive il proprio nome e cognome, la data ed il luogo di nascita nel cartoncino e lo chiude nella busta piccola. Pone, quindi, anche la busta piccola nella grande che richiude e consegna al presidente della commissione o del comitato di vigilanza od a chi ne fa le veci.»;

comma6) le modalità di associazione tra il compito ed il candidato (c.d. "riconoscimento") che, ovviamente, «deve essere fatto a conclusione dell'esame e del giudizio di tutti gli elaborati dei concorrenti.».

Questo perciò che riguarda la salvaguardia del principio dell"anonimato dei compiti nei concorsi pubblici (ed, in generale, in tutte le pubbliche selezioni). (2)

E" il caso di dire, come ben sottolineato dalla giurisprudenza, che nei concorsi pubblici le regole che vietano l"apposizione di segni di riconoscimento sugli elaborati scritti sono finalizzate a garantire l"anonimato di tali prove, a salvaguardia della par condicio tra i candidati. Ciò che rileva, quindi, non è tanto l"identificabilità dell"autore dell"elaborato, quanto piuttosto l"astratta idoneità del segno a fungere da elemento di identificazione. (3) Su tale aspetto si tornerà tra poco.

FONTI COSTITUZIONALI

Dietro il c.d. principio dell"anonimato dei compiti, si celano due principi costituzionali:

1) il principio di uguaglianza (art.3 Cost.);

2) il principio buon andamento e dell'imparzialità della pubblica amministrazione (art.97, co.2, Cost.). L"art.97, co.2, Cost., in particolare, prescrive alla P.A. l"obbligo di operare le proprie valutazioni senza lasciare alcuno spazio a rischi di condizionamenti esterni, garantendo, contestualmente, la par condicio tra i candidati. (4)

Il criterio dell"anonimato, così, assume una valenza generale e incondizionata, mirando ad assicurare la piena trasparenza di ogni pubblica procedura selettiva e costituendone uno dei cardini portanti. In tal senso il Consiglio di Stato, in adunanza plenaria, si è espresso in tre importanti pronunce del 2013 (c.d. sentenze gemelle del 20/11/2013, nn.26, 27 e 28): «L'esigenza dell'anonimato nelle prove scritte delle procedure di concorso si traduce a livello normativo in regole che tipizzano rigidamente il comportamento dell'Amministrazione imponendo una serie minuziosa di cautele e accorgimenti prudenziali, inesplicabili se non sul presupposto dell'intento del Legislatore di qualificare la garanzia e l'effettività dell'anonimato quale elemento costitutivo dell'interesse pubblico primario al cui perseguimento tali procedure selettive risultano finalizzate; allorché l'Amministrazione si scosta in modo percepibile dall'osservanza di tali vincolanti regole comportamentali si determina una illegittimità di per sé rilevante e insanabile, venendo in rilievo una condotta già ex ante implicitamente considerata come offensiva in quanto appunto connotata dall'attitudine a porre in pericolo o anche soltanto minacciare il bene protetto dalle regole stesse; pertanto, mutuando l'antica terminologia penalistica, può affermarsi che la violazione dell'anonimato da parte della Commissione nei pubblici concorsi comporta una illegittimità da pericolo c.d. astratto, e cioè un vizio derivante da una violazione della presupposta norma d'azione irrimediabilmente sanzionato dall'ordinamento in via presuntiva, senza necessità di accertare l'effettiva lesione dell'imparzialità in sede di correzione.». (5)

IL PRINCIPIO DELL"ANONIMATO

Tutelato a livello costituzionale, richiamato nei vari regolamenti sulle modalità esecutive del concorso, il principio dell"anonimato assume rilevanza nell"ordinamento, di talché quest"ultimo «prevede norme cogenti che, in rapporto ai suddetti principi costituzionali, configurano regole di condotte tipizzate, riconducibili all'amministrazione e ai candidati, che indefettibilmente vanno osservate nelle procedure concorsuali. La violazione di tali norme comporta un'illegittimità da pericolo astratto e presunto: solo con una siffatta rigorosa precauzione generale, infatti, è ragionevolmente garantita l'effettività dell'anonimato nei casi singoli. Con queste cautele, elevate a inderogabili norma di condotta, la soglia dell'illegittimità rilevante viene anticipata all'accertamento della sussistenza di una condotta concreta non riconducibile a quella tipizzata.». (6)

La tutela del principio dell"anonimato, così, viene salvaguardata ancora prima di una effettiva ipotesi di riconoscimento del candidato, ovvero in un momento antecedente al verificarsi dell"effettivo danno: parafrasando il linguaggio giuridico penale, il Consiglio di Stato più volte ha ritenuto che l"azione/omissione che viola tal principio sia inquadrabile come fattispecie a pericolo astratto.

Nella dottrina penalistica, i reati di pericolo (7) vengono ascritti in quella categoria denominata "reati senza offesa ai beni giuridici", poiché per la loro punibilità non è richiesta una effettiva offesa al bene giuridico tutelato dalla norma, bensì è sufficiente la sua esposizione a pericolo. (8) In altre parole, è sufficiente che il comportamento penalmente rilevante crei una probabilità (più o meno effettiva, si vedrà poco infra) di lesione del bene: il fatto-reato quindi si consuma non nel momento della effettiva lesione del bene, ma in un periodo precedente, vale a dire nel momento della sua esposizione al pericolo.

Per ciò che rileva ai fini della comprensione della ratio adottata dal Consiglio di Stato («La violazione di tali norme comporta un'illegittimità da pericolo astratto e presunto»), si necessita di un ulteriore sforzo di interpretazione penalistica: infatti, come si è detto poc"anzi, la giurisprudenza a volte richiede una effettiva probabilità di lesione del bene giuridico protetto dalla norma; altre volte, invece, prescinde da esso, punendo quei comportamenti che violino una regola di condotta, a nulla rilevando il verificarsi dell"effettivo pericolo. (9) Tale differenziazione avviene in base al bene giuridico protetto dalla norma, il quale viene preso come criterio per stabilire la pericolosità o meno di un"azione/omissione, dividendo così la categoria dei reati di pericolo in: reati di pericolo concreto (quelli in cui il giudice deve accertare, effettuando un prognosi ex ante, se nel singolo caso concreto il bene giuridico ha corso un effettivo pericolo) e di pericolo astratto (in questi casi la sussistenza del pericolo non deve essere accertato dal giudice, ma è il legislatore che, sulla base di leggi di esperienza, ha presunto che una classe di comportamenti è, nella generalità dei casi, fonte di pericolo). In questo secondo caso, che è la fattispecie che qui interessa, il giudice dovrà fare astrazione dalle circostanze del caso concreto, limitandosi ad accertare se si sia verificato o meno quel comportamento che il legislatore ha ritenuto pericoloso in via generale ed astratta. (10)

Traslando il linguaggio penalistico in quello espresso dal Consiglio di Stato, si evince agilmente che la violazione del principio dell"anonimato nei concorsi pubblici si realizza, rectius si presume realizzato, al solo verificarsi di quei comportamenti che non rispettino le norme di condotta dettate dai regolamenti nelle procedure concorsuali («la soglia dell'illegittimità rilevante viene anticipata all'accertamento della sussistenza di una condotta concreta non riconducibile a quella tipizzata.»).

RISVOLTI IN CASO DI VIOLAZIONE

Le tre sentenzee gemelle del 2013 citate, in particolare la n.26, suddivide due casi, che è opportuno tenere ben distinti, a seconda che la violazione del principio dell"anonimato nei concorsi e nelle pubbliche selezioni sia addebitale al candidato oppure alla Amministrazione.

a) DEL CANDIDATO

Giova rilevare, in realtà, che il principio dell"anonimato nasce per prevenire comportamenti sleali dei candidati (ad es. possano farsi riconoscere e favorire dai commissari). E perché ciò accada, è richiesto che il candidato produca sul foglio dei segni distintivi «idonei» dai quali emergano elementi atti a provare in modo inequivoco l'intenzionalità del concorrente di rendere riconoscibile il suo elaborato («idoneità del segno di riconoscimento» ed il suo «utilizzo intenzionale»), a nulla rilevando che in concreto la Commissione o singoli componenti di essa siano stati o meno in condizione di riconoscere effettivamente l"autore dell"elaborato. (11)

In altre parole, l'annullamento di un elaborato per riconoscibilità dell'autore (per causa ad esso esclusivamente rimproverabile) ne presuppone l'intenzionalità, che va desunta, per via indiretta o presuntiva, dalla natura in sé dell'elemento riconoscibile e dalla sua suscettività oggettiva di comportare la riferibilità dell'elaborato stesso a un determinato soggetto. Con la conseguenza che l'eventuale violazione di tale principio, se contestata ad un candidato, conduce all'esclusione di esso dalla procedura concorsuale.

b) DELL"AMMINISTRAZIONE

Qualora invece, come sembra nel caso de quo, la mancata osservanza della regola dell"anonimato sia addebitabile esclusivamente all"Amministrazione (ad esempio per le modalità di svolgimento del concorso), la violazione è rilevante ipso facto senza che sia necessario, per valutarne la illegittimità, ricostruire a posteriori il possibile percorso di riconoscimento degli elaborati da parte dei soggetti chiamati a valutarli. In tal caso si giungerà ad una diversa conclusione: annullamento dell'intera procedura concorsuale (12) e ripetizione dell"esame innanzi ad una diversa commissione giudicatrice. (13)

A sostegno di tale orientamento si osserva che "L'ordinamento non chiede dunque che il giudice accerti di volta in volta che la violazione delle regole di condotta abbia portato a conoscere effettivamente il nome del candidato. Se fosse richiesto un tale, concreto, accertamento, lo stesso - oltre ad essere di evidente disfunzionale onerosità - si risolverebbe, con inversione dell'onere della prova, in una sorta di probatio diabolica che contrasterebbe con l'esigenza organizzativa e giuridica di assicurare senz'altro e per tutti il rispetto delle indicate regole, di rilevanza costituzionale, sul pubblico concorso". (14)

L"applicazione delle norme generali in tema, si è detto, come sancite dal D.P.R. 487/1994, riguardano tutte le procedure selettive svolte dalla P.A., senza che una diversa scansione degli eventi procedimentali pretermetta i valori di trasparenza, par condicio ed anonimato, al fine di garantire i principi di buon andamento, efficienza ed economicità dell"azione amministrativa. (15) Una violazione non irrilevante della regole dell"anonimato da parte della Commissione determina de iure la radicale invalidità della graduatoria finale, senza necessità di accertare in concreto l'effettiva lesione dell'imparzialità in sede di correzione. (16)

Si determina quindi una illegittimità di per sè rilevante e insanabile, venendo in rilievo una condotta già ex ante implicitamente considerata come offensiva, in quanto appunto connotata dall'attitudine a porre in pericolo o anche soltanto minacciare il bene protetto dalle regole stesse (essa è la ratio del pericolo astratto). Tale orientamento è stato nuovamente confermato da un"altra recente pronuncia del Consiglio di Stato, secondo la quale la violazione dell"anonimato nelle procedure concorsuali, ove accertata, «ha effetto viziante ex se, indipendentemente dalla prova di un concreto ed effettivo pregiudizio che il ricorrente ne abbia derivato». (17)

CONCLUSIONI

Cercando di mettere un po" d"ordine in questa evoluzione giurisprudenziale dei principi dettati dagli artt. 13 e 14 D.P.R. 487/1994, in coerenza con i principi costituzionali di uguaglianza e di buon andamento ed imparzialità della P.A., la disciplina del criterio dell"anonimato nei concorsi pubblici può così riassumersi:

- da parte della Commissione: valutazione trasparente, senza rischio di condizionamento esterno e procedure volte a garantire l"anonimato dei candidati sino al termine della correzione di tutti gli elaborati;

- da parte dei candidati: evitare segni distintivi astrattamente idonei a fungere da elemento di identificazione (nel senso di segno oggettivamente ed incontestabilmente anomalo – non serve che il segno possa ricondurre effettivamente all"idoneità del compilatore).

Concludendo, invece, sul caso concreto descritto in premessa, pare esistano tutti i presupposti per proporre un ricorso per violazione delle norme inderogabili sul principio dell"anonimato dei compiti nei concorsi e nelle pubbliche selezioni. Infatti, si è detto, l"apposizione del timbro dell"Ordine da compilare a cura del candidato con i propri dati sul foglio della prova d"esame, sembrerebbe ben violare le disposizioni sul principio dell"anonimato nelle procedure concorsuali, posto che, giova ribadire, non è necessario una effettiva turbativa nella formazione del giudicato da parte di colui che corregge il compito. Né è rilevante che il candidato abbia subito un concreto ed effettivo pregiudizio. Acontrario, invece, è sufficiente la mera violazione di codeste regole per sancire la concreta possibilità, il concreto pericolo, di una violazione ai valori di trasparenza, par condicio ed anonimato dei candidati alla procedura concorsuale, con la conseguenza che l"Esame vada ripetuto e nominata all"uopo una nuova commissione giudicatrice.

 

Luca Leidi

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(1) Si deve fare riferimento a tale normativa poiché gli ulteriori regolamenti sopravvenuti (D.M. 13 gennaio 1992, n.240 - Regolamento recante norme sull"esame di Stato per l"abilitazione all"esercizio della professione di psicologo – e le integrazioni e modificazioni al D.M. 9 settembre 1957 – tra cui il D.P.R. 5 giugno 2001, n.328, relativo a Modifiche ed integrazioni della disciplina dei requisiti per l'ammissione all'esame di Stato e delle relative prove per l'esercizio di talune professioni, nonché della disciplina dei relativi ordinamenti) nulla rilevano in merito alla composizione delle commissioni esaminatrici e alle modalità di espletamento delle prove d'esame.

(2) Gli ulteriori commi dell"articolo si riferiscono all"apposizione del numero sulla busta (co.3), alla riunione (co.4), alla apertura (co.5) ed alla custodie delle stesse (co.7).

(3) Cons. di Stato, sez.V, 11/1/2013, n.102, in Foro Amm. CDS, 2013, 1, 183.

(4) Si veda a tal proposito la sentenza sul c.d. "concorsone" del Comune di Roma: T.A.R. Roma, Sez. II, sentenza 5 novembre 2014, n. 11106, in www.giustizia-amministrativa.it (consultato il 25/1/2016). Cfr. Cons. Stato, sez.V, 5 dicembre 2006, n.7116; Cons. Stato, sez.V, 1 marzo 2000, n.1071, entrambe massimate in Pacifico, Nuovo repertorio di giurisprudenza del lavoro, voce Avvocati, Milano, 2008, 81.

(5) Cons. di Stato, ad. plen., 20/11/2013, n.26, in Foro Amm. – C. d. S. (Il), 2013, 11, 2946; Id., 20/11/2013, nn.27 e 28, entrambe in D&G, 2013, 25 novembre.

(6) Cons. di Stato, sez. VI, 11/7/2013, n.3747, in Foro Amm. – C.d.S. (Il), 2013, 7-8, 2143.

(7) Tale categoria di reati è contrapposta a quella dei reati c.d. di danno, i quali comportano, invece, la lesione all"integrità del bene.

(8) Marinucci G. – Dolcini E., Corso di diritto penale, Vol.1, III ed., Milano, 2001, 559.

(9) Bolis M., Differente trattamento sanzionatorio per il consumatore di sostanza stupefacente e per il coltivatore "per uso personale": è legittimo?, in Ratio legis, anno 1, numero 3, Padova, 2016, 86.

(10) Marinucci G. – Dolcini E., Manuale di diritto Penale: parte generale, IV ed., Milano, 2012, 208.

(11) Cons. di Stato, sez.IV, 12/11/2015, n.5137, in Red. Giuffré Amm., 2015. Cfr. Cons. di Stato, sez. VI, 8 settembre 2006, n. 5220, in Giurisd. Amm., 2006, I, 2578. In forza di tale principio, il T.A.R. Brescia, sez. II, 21/10/2015, n.1331, ha statuito che «l'indicazione del nominativo del candidato sull'elaborato relativo ad una procedura di preselezione con quiz a risposta multipla che non può di per sé considerarsi lesiva dell'interesse tutelato dal principio dell'anonimato (e cioè l'imparzialità della correzione). Ciò non esclude la possibilità di provare il contrario, laddove si dimostri una non corretta lettura e imputazione del punteggio, la quale potrebbe essere collegata proprio alla conoscenza del nominativo del candidato.», in Red. Giuffré Amm., 2015. Cfr. Cons. di Stato, sez. VI, 8 settembre 2006, n. 5220, in Giurisd. Amm., 2006, I, 2578.

(12) Così il Cons. di Stato, sez.IV, 29/12/2016, n.5525, in Red. Giuffré Amm., 2016: «(…)fermo restando che attiene al merito del giudizio la questione se nella specie effettivamente vi sia stata violazione del principio dell'anonimato, non può essere esclusa a monte la sussistenza di interesse degli istanti a ottenere, tramite la proposta impugnazione, la caducazione della procedura concorsuale nella sua interezza.».

(13) T.A.R. Catanzaro, sez.II, 22/6/2012, n.656, in Foro Amm., 2012, 6, 2116.

(14) Cons. di Stato, n.3747/2013, cit.. In sintesi, continua il Consiglio, si rileva che a fronte dell'esigenza di assicurare l'indipendenza di giudizio dell'organo valutatore "non occorre accertare se il riconoscimento della prova di un candidato si sia effettivamente determinato, essendo sufficiente la mera, astratta possibilità dell'avverarsi di una tale evenienza".

(15) Cons. di Stato, sez. IV, 5/12/2016, n.5099, in Red. Foro Amm., 2016, 12. A conferma di tale pronuncia, si veda T.A.R. Lazio, sez.III, 6/7/2016, n.7771, che ha rilevato la violazione del principio dell"anonimato nel concorso per l'ammissione al corso di laurea in Medicina e Chirurgia per l'a.a. 2014/2015, in cui l'Amministrazione ha richiesto, con direttive assunte formalmente, che il documento di identità dei candidati venisse lasciato aperto sul banco, consentendo così, nella delicata fase della correzione della prova, la possibilità di associare l'elaborato al nominativo di ciascun candidato, atteso che il codice apposto sulla scheda dei test corrispondeva a quello stampigliato sulla scheda anagrafica dei candidati (in Red. Giuffré Ammin., 2016). Cfr. T.A.R. Sardegna, n. 230 del 2013; T.A.R. Brescia, sez. II, 16 luglio 2012 n. 1352; T.A.R. Napoli, sez. IV, 28 ottobre 2011 n. 5051; T.A.R. Toscana, sez. I, 27 giugno 2011 n. 1105; T.A.R. Palermo, sez. I, 28 febbraio 2012 n. 457; T.A.R. Catania, 28 agosto 2008 n. 1528; T.A.R. Brescia, ord. 15 dicembre 2011 n. 972.

(16) Cons. di Stato, sez.IV, 9/2/2016, n.526, in Red. Giuffré Amm., 2016. Si veda Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisd., 27/1/2016, n.11, in Foro Amm. (Il), 2016, 1, 92: nel caso di specie — concernente il concorso per l'ammissione ai corsi di laurea in Medicina, Chirurgia Odontoiatria e Protesi Dentaria per l'a.a. 2013/2014 presso l'Università degli Studi di Palermo — l'inosservanza di tale principio è stata individuata nella circostanza che i candidati hanno dovuto compilare la scheda anagrafica prima dello svolgimento dei test e l'hanno tenuta esposta sul banco accanto al documento di riconoscimento, in tal modo consentendo la conoscenza del codice identificativo, con conseguente possibilità, quanto meno in astratto, dell'alterazione dei risultati.

(17) Cons. di Stato, n.5525/2016 cit..




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