-  Sassano Francesca  -  11/01/2015

EVASIONE FISCALE E DIRITTO PENALE. DIALOGANDO CON L'AVV IVAN RUSSO – Francesca SASSANO

"EVASIONE FISCALE E DIRITTO PENALE. DIALOGANDO CON L'AVV IVAN RUSSO" – Francesca SASSANO

 

Sono stata sollecitata a leggere e a confrontarmi sul punto, proprio dal Collega Avv Ivan Russo, autore delle dichiarazioni rese a IL TEMPO, in data 8 gennaio 2014, (https://www.giustizia-amministrativa.it/.../rass_150108_3dydg4.) in relazione allo scenario giuridico che potrebbe determinarsi, se avesse luce la norma che porta la soglia di punibilità dei reati fiscali, al di sopra del 3% , secondo quando si legge, sempre da fonti giornalistiche correnti. Premettendo un ringraziamento al Collega Ivan Russo, autore di scritti di pregio, che certo non deve in me trovare conferma nelle sue già compiute riflessioni, ma doveroso per l'affetto e la stima che immeritatamente mi attribuisce, al di là delle motivazioni del Legislatore, sulle quali non è dato per me esprimersi senza compiuto esame del testo , devo evidenziare, in pieno accordo con il Collega ed in ambito tecnico-giuridico alcune questioni di non poco interesse che vado , in sintesi ad esplicitare.

Il fenomeno della depenalizzazione è la degradazione dell'illecito penale in illecito amministrativo., come nell'abolitio criminis , il legislatore interviene abolendo una incriminazione e contestualmente inserisce una figura di illecito amministrativo, [1] cioè una norma è espunta dal sistema penale attraverso la sostituzione della sola sanzione (da penale ad amministrativa).

Da qualche anno è stata eliminata (dall'art. 24 d.lgs. n. 507 del 1999) la tradizionale deroga al principio di retroattività della lex mitior, costituita dall'ultrattività delle leggi penali finanziarie (art. 20 l. n. 4 del 1929).

La depenalizzazione realizza l'ipotesi del comma 2 art. 2 c.p [2]. Per gli illeciti penali oggetto di depenalizzazione il fatto non è più previsto dalla legge come reato; e ai sensi dell'art. 2 comma 2 c.p. nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato.[3] Nell'ipotesi in cui il fatto per cui è intervenuta condanna irrevocabile sia stato depenalizzato, l'interessato può chiedere al giudice dell'esecuzione la revoca della relativa sentenza o decreto di condanna ai sensi dell'art. 673 c.p.p.[4]

Tuttavia la disciplina della successione modificativa di leggi penali (art. 2 comma 4 c.p.) non può essere estesa al passaggio di un illecito da penale ad amministrativo (o civile) [5].

Nessuna continuità normativa è dato riscontrare nella trasformazione di una fattispecie costituente reato in un mero illecito amministrativo.

Invero, se con la depenalizzazione interviene un'abolizione di un' incriminazione (ndr. abrogazione di una norma incriminatrice, eliminazione di un illecito penale, riduzione dell'area del penalmente rilevante), non può esservi una legge modificativa: ma una abolitio criminis ex art. 2 comma 2 c.p., che impedisce qualunque rapporto di continuità tra l'illecito penale e l'illecito amministrativo.

Vi è prevalente giurisprudenza secondo cui l'art. 2 comma 4 c.p. disciplina soltanto l'ipotesi di successione tra norme incriminatrici, e non quella in cui sopravvenga una legge che trasformi il fatto costituente reato in illecito amministrativo .[6]

Questa soluzione è condivisa dalla fondamentale pronuncia "Mazza" delle Sezioni unite penali del 1994, con il principio della retroattività della norma più favorevole (art. 2 comma 4 c.p.), che assicura al cittadino il trattamento penale più mite tra quello previsto dalla legge penale vigente al momento del fatto e quello previsto dalle leggi successive purché precedenti la sentenza definitiva di condanna, esso opera solo con riferimento all'ipotesi della successione tra fattispecie incriminatrici, e non è estensibile al caso della successione che degradi un fatto previsto come illecito penale a illecito amministrativo .[7]

E' inapplicabile l'art. 2 comma 4 c.p. alle sanzioni amministrative, anche nell'ipotesi in cui ad una legge che puniva determinate violazioni con la sanzione penale se ne avvicendi una che punisce le medesime violazioni con la sanzione amministrativa.

È, altresì, necessaria una norma specifica che imponga retroattivamente l'applicazione dell'illecito depenalizzato (ndr: limite è il principio di irretroattività sancito dall'art. 1 l. n. 689 del 1981: l'illecito amministrativo non si applica retroattivamente, ossia a fatti avvenuti prima dell'entrata in vigore della disposizione che lo ha previsto) , semplice normativa transitoria, stante il valore solo di legge ordinaria del principio di irretroattività delle sanzioni amministrative , nel rispetto del principio costituzionale di irretroattività ex art. 25 comma 2, riferibile solo alla materia penale.

Il presente lavoro è ,però, solo una riflessione astratta sugli scenari possibili e che già in relazione a quanto sin qui espresso, appaiono sicuramente diversi dall'abito comunicativo che è stato ad essi dato, in ordine ad ipotetici ed automatici vantaggi ad personam.

In assenza di una norma specifica, vi è irrilevanza, anche sotto il profilo amministrativo, dei fatti già costituenti reato, commessi prima della depenalizzazione.[8]

Come si rispetta il principio costituzionale di irretroattività? Le norme, successive nel tempo, devono essere in rapporto di specialità : la nuova norma speciale deve punire alcune condotte ricomprese anche nella norma generale, nel rispetto del presupposto dila continuità normativa: da un lato, vi è l' abrogazione di una norma incriminatrice (art. 2 comma 2 c.p.) e, dall'altro lato, vi è una nuova incriminazione applicabile soltanto alle condotte realizzate dopo l'entrata in vigore della nuova legge (art. 2 comma 1 c.p.) [9].

Sembra allora fondamentale fissare con precisione il concetto di norma speciale: la nozione di "relazione di specialità tra norme". Essa è un giudizio di comparazione tra due norme: perché « una norma non è generale in sé e per sé, ma in relazione ad altra norma: appunto, la norma speciale » [10].

Nel caso in esame - astrattamente - quando potremmo dire che vi è una relazione di specialità tra norme?

È da escludersi ciò se le due fattispecie che si avvicendano prevedono condotte tipiche eterogenee, incentrate cioè su comportamenti strutturalmente non assimilabili e gli elementi delle due fattispecie risultano eterogenei tra loro, poichè saremmo in presenza di una abolitio criminis.

" Va esclusa, invece, l'esistenza di un rapporto di specialità tra norme incriminatrici che si avvicendano nel tempo, nel caso di specialità reciproca bilateralmente per aggiunta: qui ad una norma incriminatrice ne subentra un'altra che contiene un elemento in aggiunta della precedente, ma a sua volta la previgente presenta un elemento aggiuntivo rispetto alla norma che subentra. Sicché entrambe le norme presentano, sotto il profilo della struttura, elementi eterogenei: le fattispecie sono qui in rapporto di interferenza "[11]

Non avendo ancora la possibilità (c'è da augurarselo?) di leggere il testo normativo , non è dato aggiungere altro sul punto.

L'evidenziata incertezza, tutt'ora presente in giurisprudenza, nonostante il ripetuto intervento delle Sezioni unite, non favorirà di certo in futuro una pronta e sicura risoluzione nella materia di qualunque sia il soggetto in esame.

Immediata riprova è la questione rimessa alle Sezioni unite in tema di diritto intertemporale( ndr: a seguito dell'abrogazione dell'art. 236 comma 2 n. 1 l. fall. ad opera dell'art. 147 d.lgs. n. 5 del 2006) per l'ipotesi di bancarotta impropria nell'amministrazione controllata quale fenomeno di effettiva abolitio criminis ovvero di mera successione di fattispecie incriminatrici .

In realtà, se nella giurisprudenza di legittimità non vi è certo una chiara consapevolezza del criterio fondato di contro tra i modelli astratti di reato in avvicendamento temporale - schemi i da anni approfonditi dalla dottrina in numerosi contributi -.

Ciò per dire, come la materia non solo sia incerta, ma non offra automatismi di sorta.

Certamente a complicare lo scenario, astrattamente ipotizzato, vi è anche la c.d. Legge Severino.

Non è superfluo di precisare che la dottrina distingue l'ineleggibilità in senso stretto dall'incandidabilità: la prima rappresenta un impedimento giuridico a divenire soggetto passivo del rapporto elettorale e mira a evitare posizioni di vantaggio o conflitto di interessi che ledano i princìpi costituzionali di uguaglianza e di libertà del voto. La situazione ostativa può essere, tuttavia, eliminata con una manifestazione di volontà del soggetto, sia pure nei tempi e nei modi stabiliti dalla legge; la seconda costituisce uno status di inidoneità funzionale assoluta, non rimovibile dall'interessato, e corrisponde a una particolarissima causa di ineleggibilità, dovuta all'obiettiva esistenza di provvedimenti penali, che rendono indegni di ricoprire uffici elettivi e cariche non elettive.[12]

Per chi scrive la legge in questione ha evidenti limiti di legittimità costituzionale.

La verifica, come ipotesi scolastica, della costituzionalità di una legge si appalesa complessa e onde realizzare l'obiettivo di evidenziarne la sua incostituzionalità in toto, essa deve scoprirne un vulnus che riguardi non il singolo articolo, ma uno o più elementi che rendano impossibile la sopravvivenza della stessa.

Ogni eccezione d'incostituzionalità, in qualunque sede venga a radicarsi, deve essere strumentale all'istanza soggettiva di chi la propone e deve necessariamente considerare anche la struttura complessiva del decreto e soprattutto i principi posti a fondamento di esso o gli effetti di legge.

Ovviamente la comparazione è tra gli uni ( legislazione speciale) e gli altri ( legislazione ordinaria) per quanto di lesione ai diritti costituzionali possa lamentarsi.

Il criterio scelto dal legislatore,[13] tipicamente emergenziale e avulso dal rispetto del sistema complessivo, è quello di individuare ai fini dell'incandidabilità e conseguente decadenza, due elementi :

1) una sotto- categoria ( delitti non colposi) , con esclusione di altra categoria , quella delle contravvenzioni;

2) una misura ( pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni , determinata ai sensi dell'articolo 278 cpp), ribadendo la stessa esclusone ( ndr. le contravvenzioni prevedono pena detentiva da 5 giorni a 3 anni).

Anche il richiamo alla disciplina di cui all'art 278 cpp [14]non giova alla linearità di esecuzione di un effetto conseguente ad un sanzione penale.

La scelta del legislatore di individuare due elementi, necessari a produrre lo sbarramento, già non è rispettosa dei i principi costituzionali di cui agli artt. 3 e 24.

La reclusione (art. 23 c.p.)[15] consiste nella privazione della libertà personale per un determinato periodo di tempo stabilito dal Giudice in sentenza di condanna a seconda del reato commesso.

Tuttavia la possibilità di limitare il campo di applicazione di una normativa a una categoria limitata (c.d. reclusione) non è di per sè una violazione di un principio costituzionale, di maggior peso è, invece, la scelta del secondo elemento : numerico e , quindi, meno caratterizzante .

La pena edittale della reclusione è prevista da un minimo di 15 giorni ad un massimo di 24 anni.

L'art.8 al comma 1 lett b) prevede come ipotesi di sospensione : " coloro che, con sentenza di primo grado, confermata in appello per la stessa imputazione, hanno riportato una condanna ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per un delitto non colposo, dopo l'elezione o la nomina".

Tutta la previsione normativa che precede detto comma è anche troppo articolata ![16]

Orbene, per quanto trattasi di " impropria " misura cautelare - mera sospensione- pone delle rilevanti questioni :

- non disciplina e quindi esclude l'applicabilità della norma a chi sia assolto in primo grado e condannato in secondo. La sentenza di primo grado, invece, in entrambi i casi non è efficace giuridicamente, ovvero non esiste più e fa stato quella successiva . Di conseguenza pone due soggetti in situazione uguali ( ndr. entrambi condannati in secondo grado) con conseguenze diverse : l'uno deve essere sospeso , l'altro no. La violazione del principio costituzionale di uguaglianza è quindi palese;

- non considera i tempi di applicazione della possibile revoca della sospensione, inattuabili stante i normali percorsi processuali di impugnazione della sentenza di secondo grado , di fissazione e trattazione del ricorso in Cassazione, che vanno ben oltre la durata di una qualsiasi carica regionale [17]- non offre , in dispregio del sistema che lo afferma , alcuna reintegrazione diretta, pur in ipotesi di sospensione ;

- espone l'Ente ad una giusta richiesta di danno, in ipotesi di assoluzione in terzo grado;

- viola il principio costituzionale di innocenza fino al passaggio in giudicato della sentenza.

La strumentalità della questione e l'estensione della stessa a tutto il corpo normativo in esame è nel richiamo contenuto di cui al primo comma dell'art.8 , che testualmente recita :" . Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate all'articolo 7, comma 1...."

La disparità di trattamento con lesione del diritto costituzionale di eguaglianza è palese[18].

Il codice penale disciplina la riabilitazione [19] e concede con termine certo ( anni 3 nella ipotesi base ) il diritto alla istanza di riabilitazione .

La normativa vanifica , in alcune ipotesi e con strumento inadeguato, tale diritto (ndr art.13 cit.). poichè dispone in ipotesi di pena accessoria per il doppio della durata della stessa , mentre in assenza di essa per il termine massimo di anni sei.

Con il paradosso giuridico che a fronte di una pena detentiva uguale per tutti ( non inferiore ad anni 2 per i reati non colposi ) si sviluppi una " durata della incadidablità soggettiva" , senza un criterio omogoneo e con vantaggi , da verificarsi nei singoli casi, personali, in relazione al reato commesso ( svincolato dal criterio di durata della pena!) e con violazione del principio di uguaglianza.

In aggiunta a queste perplessità giuridiche, che era opportuno esporre poichè l'oggetto del presente lavoro è un contributo tecnico di riflessione ampia, appare corretto affermare che non si può chiedere la riabilitazione di un reato c.d. depenalizzato.

Come parimenti è corretto il distinguo operato per l'applicazione dell'art.2 cp agli aspetti amministrativi conseguenti alla depenalizzazione dei reati.

Valga quanto disposto come principio , dalla Corte Costituzionale " È manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 120, commi 1 e 2, cod. strada, come sostituito dall'art. 3, comma 52, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94, impugnato, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., nella parte in cui fa derivare automaticamente dalla condanna per i reati di cui agli artt. 73 e 74 del testo unico in materia di stupefacenti (d.P.R. n. 309 del 1990) il divieto di conseguire la patente di guida e la revoca di quella eventualmente posseduta. Invero, a prescindere dalla non pertinenza del riferimento all'art. 27 Cost., che attiene esclusivamente alle sanzioni penali, è assorbente in limine la considerazione della natura non obbligata dell'intervento additivo auspicato e del carattere assolutamente indeterminato del petitum. Il rimettente chiede infatti una pronuncia che, indipendentemente dai provvedimenti riabilitativi di competenza del giudice penale, consenta all'autorità amministrativa di valutare, senza vincolo di automatismo, « la possibilità di superare per avvenuta emenda il giudizio morale negativo » che la norma denunciata riferisce all'autore di tali reati. Tuttavia, rispetto alle condizioni fissate dall'art. 179 cod. pen. e alla valutazione che, nella logica dell'istituto della riabilitazione, compete alla giurisdizione penale, il giudice a quo neppure adombra quali siano le condizioni di quella « emenda » la cui valutazione vorrebbe affidare all'autorità amministrativa ai fini del rilascio, o dell'esclusione della revoca, del titolo abilitativo. Da ciò deriva anche il carattere meramente ipotetico e virtuale della rilevanza della questione sollevata nel giudizio a quo, considerato che il rimettente non indica quale sia in concreto la condizione del ricorrente che potrebbe dar luogo alla prefigurata emenda e quindi condurre all'annullamento dell'impugnato provvedimento di revoca della patente. (Corte Costituzionale, 28/11/2013, n. 281) -Foro Amministrativo (Il) 2014, 4, 1041 (s.m.)[20]

 

 

Bibliografia

 

- "La successione di leggi penali nel tempo tra diritto e processo" (Roma, 26-27 febbraio 2009).

- T. Padovani, Tipicità e successione di leggi penali, in questa Rivista, 1982, p.1355 ss.

- V. Manzini, Trattato di diritto penale italiano, vol. I, Torino, 1950, p. 318 ss.

- A. Pagliaro, La legge penale tra irretroattività e retroattività, in Giust. pen., II, 1991, p. 1 ss.; E.M. Ambrosetti, Abolitio criminis e modifica della fattispecie, Padova, 2004, p. 53; B. Romano, Il rapporto tra norme penali, Milano, 1996, p. 82; R. Alagna, Tipicità e riformulazione del reato, Bologna, 2007, p. 45 ss.; G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme "integratrici": teoria e prassi, Milano, 2008, p. 217 ss.

- M. Gallo, Appunti di diritto penale, vol. I, La legge penale, Torino, 1999, p. 111 ss.; A. Pagliaro, La legge penale tra irretroattività e retroattività, cit., p. 1 ss.; A. Pagliaro, Principi di diritto penale, parte generale, Milano, 2003, p. 112 ss.

- T. Padovani, Tipicità e successione di leggi penali, cit., p. 1359. Così anche G. Fiandaca, Questioni di diritto transitorio in seguito alla riforma dei reati di interesse privato e abuso innominato di ufficio, in Foro it., 1990, II, c. 643, per il quale non risulta più accettabile il criterio della mediazione del fatto concreto quale parametro diagnostico della successione di leggi, giacché esso elude, più o meno surrettiziamente, il principio di irretroattività della norma penale. Cfr. altresì P. Severino, voce Successione di leggi penali nel tempo, in Enc. giur. Treccani, vol. XXX, Roma, 1993, p. 5, secondo la quale il criterio del fatto concreto può comportare la violazione del divieto di retroattività: potrebbero « rifluire su elementi del fatto non costitutivi della originaria configurazione illecita le qualificazioni introdotte dalla norma entrata in vigore successivamente, in palese contrasto con il principio sancito dall'art. 25 Cost. ». Più di recente anche ad avviso di E.M. Ambrosetti, Abolitio criminis e modifica della fattispecie, cit., p. 54 ss., seguendo il criterio dell'applicazione in concreto si potrebbe arrivare a violare, nei casi più complessi, il divieto di retroattività della norma incriminatrice sancito dall'art. 25 comma 2 Cost. Per tale prospettiva, v. inoltre G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme "integratrici", cit., p. 217 ss.; S. Del Corso, voce Successione di leggi penali, in Dig. disc. pen., vol. XIV, Torino, 1999, p. 97 ss.; C. Pecorella, C'è spazio per criteri valutativi nell'abolitio criminis?, in questa Rivista, 2003, p. 1519, secondo la quale il criterio del fatto concreto non garantisce dal rischio di una applicazione retroattiva della nuova legge penale; F. Mantovani, Diritto penale, parte generale, Padova, 2007, p. 85 nt. 8, secondo cui il criterio del fatto concreto rinvia per l'individuazione delle ipotesi di successione di leggi modificativa ad un'inafferrabile mediazione del fatto concreto, anziché al sottostante rapporto di specialità tra fattispecie.

- M. Donini, Abolitio criminis e nuovo falso in bilancio. Struttura e offensività delle false comunicazioni sociali dopo il d.lg. 11 aprile 2002, n. 61, in Cass. pen., 2002, p. 1264 ss. Lo stesso Autore ritornando sul tema nel suo successivo scritto Discontinuità del tipo di illecito e amnistia. Profili costituzionali, in Cass. pen., 2003, p. 2866 ss., ha riaffermato il valore soltanto euristico della tesi dell'applicazione in concreto, sottolineando come essa ci aiuta soltanto a porci correttamente il problema, ma i criteri per risolvere la questione vanno ricercati altrove.

- Cass., sez. un., 26 marzo 2003, Giordano, in Cass. pen., 2003, p. 3310, con nota di T. Padovani, Bancarotta fraudolenta impropria e successione di leggi: il bandolo della legalità nella mani delle Sezioni unite; in questa Rivista, 2003, p. 1503 ss., con nota di C. Pecorella, C'è spazio per criteri valutativi nell'abolitio criminis?

- Cass., sez. un., 27 settembre 2007, Magera, in Cass. pen., 2008, p. 898, con nota di M. Gambardella, Nuovi cittadini dell'Unione europea e abolitio criminis parziale dei reati in materia di immigrazione.

- M. Gambardella, L'abrogazione della norma incriminatrice, Napoli, 2008, p. 98 ss.; A. Nappi, Guida al codice penale, parte generale, Milano, 2008, p. 118 ss.

- F. Bricola, Commentario della Costituzione, sub art. 25, Bologna-Roma, 1981, p. 284 ss.; C. Esposito, Irretroattività e "legalità" delle pene nella nuova Costituzione, in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, p. 87 ss.; A. Cadoppi, Il principio di irretroattività, in Aa.Vv., in Introduzione al sistema penale, vol. I, Torino, 2006, p. 185 ss.; G. Marinucci-E. Dolcini, Corso di diritto penale, vol. 1, Milano, 2001, p. 253 ss.; D. Pulitanò, Diritto penale, Torino, 2007, p. 674; G.L. Gatta, Abolitio criminis e successione di norme "integratrici", cit., p. 117 ss.. Secondo G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale, parte generale, Bologna, 2007, p. 86, nel diritto penale sostanziale, il divieto di retroattività riguarda tutti i requisiti costitutivi del reato, comprese le condizioni di punibilità e le conseguenze penali. Occorre, tuttavia, tenere presente che nella giurisprudenza di legittimità si ritiene che le norme che disciplinano l'esecuzione della pena e le condizioni di applicazione di misure alternative alla detenzione, non essendo leggi penali sostanziali, non sono soggette al principio di irretroattività, bensì a quello del tempus regit actum (cfr. Cass., sez. un., 30 maggio 2006, Aloi, in Cass. pen., 2006, p. 3963).

- F. Palazzo, Corso di diritto penale, parte generale, Torino, 2008, p. 156 ss. In particolare, si evidenzia come "la prevedibilità della conseguenze penali della propria condotta" sia il contrassegno della garanzia costituzionale della libertà della persona assicurata dal principio costituzionale di irretroattività: così G. Marinucci, Irretroattività e retroattività nella materia penale: gli orientamenti della Corte costituzionale, in Diritto penale e giurisprudenza costituzionale, a cura di G. Vassalli, Napoli, 2006, p. 77 ss.

- Cass., sez. un., 9 maggio 2001, n. 13, Donatelli, in Cass. pen., 2002, p. 502, nella quale in motivazione si afferma, in modo convincente, che: a) per accertare l'esistenza di una successione tra norme incriminatrici, il raffronto deve imprescindibilmente essere compiuto esaminando le disposizioni considerate in astratto; b) il raffronto deve riguardare gli elementi strutturali delle fattispecie tipiche, al fine di verificare la relazione di omogeneità o di eterogeneità delle stesse: sicché qualora gli elementi delle due fattispecie siano eterogenei si avrà abrogatio; in caso di omogeneità si avrà successione modificativa di norme.

- R. Rampioni, Contributo alla teoria del reato permanente, Padova, 1988, p. 104 ss.; M. Siniscalco, Tempus commissi delicti reato permanente e successione di leggi penali, in questa Rivista, 1960, p. 1103; G. De Santis, Gli effetti del tempo nel reato, Milano, 2006, p. 266 ss.; L. Alibrandi, voce Reato permanente, in Enc. giur. Treccani, vol. XXVI, 1991, p. 4; S. Camaioni, Successione di leggi penali, Padova, 2003, p. 176 ss.

- Cass., sez. I, 7 ottobre 1987, n. 11669, Liccardo, in Cass. pen., 1989, p. 66; Cass., sez. II, 11 aprile 1987, n. 9501, Calluso, ivi, 1988, p. 1644; Cass., sez. VI, 14 novembre 1985, n. 2296, Dell'Aquila, ivi, 1987, p. 730; Cass., sez. II, 14 marzo 1984, n. 7514, Germani, ivi, 1986, p. 741.

- Cass., sez. I, 21 marzo 1989, n. 8864, Agostani, in Cass. pen., 1990, I, p. 2131. In particolare, in relazione alla trasformazione dell'inosservanza dell'obbligo di soggiorno (l. 13 settembre 1982, n. 646) da reato contravvenzionale in delitto, ai fini del decorso del termine di prescrizione, la Corte di cassazione ha ritenuto che nel reato permanente, il protrarsi del periodo consumativo ad opera dell'agente comporta, in caso di successione di leggi penali che puniscano più severamente il fatto criminoso, l'applicazione della legge nel cui ambito temporale di vigenza ricada un segmento della condotta antigiuridica (Cass., sez. I, 21 febbraio 1995, n. 3376, Gullo, ivi, 1996, p. 930).

- Cass., sez. I, 1 ottobre 2008, n. 40651, Gjika, in C.E.D. Cass., n. 241433; Cass., sez. I, 18 febbraio 2004, n. 17878, Prenga, cit; Cass., sez. I, 18 giugno 2003, n. 27399, Pricopi, cit.

- Cass., sez. III, 12 febbraio 2008, n. 13842, Mbay, in C.E.D. Cass., n. 240344; Cass., sez. I, 18 gennaio 2006, n. 3999, Ben Atmane, in Cass. pen., 2006, p. 2806; Cass., sez. I, 15 febbraio 2006, n. 11101, Codarcea, in Foro it., 2006, II, c. 473 ss., con osservazioni di G. Giorgio; Cass., sez. I, 10 novembre 2005, n. 1032, Da Silva, in Cass. pen., 2007, p. 1245. In senso difforme nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Roma, 14 gennaio 2005, Pochopie, in Cass. pen., 2005, p. 2393, con nota di V. Pazienza, Brevi note in tema di continuità normativa tra vecchia e nuova formulazione del reato di trattenimento ingiustificato dello straniero nel territorio dello Stato. Predilige quest'ultima soluzione altresì S. Mantovani, A proposito della successione di leggi penali in tema di immigrazione, in Giur. it., 2007, p.735 ss.

- M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, vol. I, Milano, 2004, p. 55. E già per M. Siniscalco, Tempus commissi delicti, cit., p. 1110, il riferimento al momento finale di cessazione della permanenza, comportando l'applicazione della legge meno favorevole, finisce per contrastare in sostanza, anche se non direttamente, con il principio del favor rei ex art. 2 c.p.

- R. Rampioni, Contributo alla teoria del reato permanente, cit., p. 111 ss.; il quale richiama il principio del favor rei, sotteso alla disciplina dell'art. 2 c.p.; V. Patalano, Reato permanente e successione di leggi penali, in Giur. merito, 1975, p. 54 ss.; G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale, parte generale, cit., p. 105; C. Pecorella, Codice penale commentato, a cura di E. Dolcini-G. Marinucci, Milano, 2006, p. 66. Secondo, poi, S. Vinciguerra, Diritto penale italiano, cit., p. 323, la legge applicabile deve essere individuata guardando al momento dell'inizio della permanenza, perché il reato è già commesso. Invero, la tesi contraria confonde la consumazione del reato permanente (che avviene quando cessa la permanenza), con la sua realizzazione (che sussiste quando la permanenza ha inizio). Inoltre, nel senso che il "tempus" va individuato nel momento della realizzazione della condotta tipica, cfr. E. Musco, Coscienza dell'illecito, colpevolezza ed irretroattività, in questa Rivista, 1982, p. 794 ss.; L. Alibrandi, voce Reato permanente, cit., p. 5.

- Cass., sez. I, 27 maggio 2008, n. 26316, Cau, in Cass. pen., 2009, p. 508, con nota di A. Caputo, Quale disciplina per la successione di leggi temponanee?; Cass., sez. I, 28 maggio 2008, n. 31420, Madonna, in C.E.D. Cass., n. 240672.

- E.M. Ambrosetti, La legge penale, opera diretta da M. Ronco, Bologna, 2006, p. 236. L'art. 20 della l. n. 4 del 1929 disponeva che: « Le disposizioni penali delle leggi finanziarie e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi si applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione ».

- G. Marinucci-E. Dolcini, Corso di diritto penale, cit., p. 269 ss. Inoltre, secondo S. Canestrari-L. Cornacchia-G. De Simone, Manuale di diritto penale, parte generale, Bologna, 2007, p. 148: l'ipotesi di degradazione del fatto da illecito penale a illecito amministrativo in nulla si distingue da quella di semplice abolitio criminis.

- Cass., 18 aprile 1985, Piccolo, in Cass. pen., 1986, p. 1547; Cass., 29 aprile 1977, Andreozzi, ivi, 1978, p. 681.

- Cass., sez. un., 16 marzo 1994, Mazza, in Cass. pen. 1994, p. 2659. Cfr. altresì l'art. 102 comma 3 d.lgs. n. 507 del 1999, secondo cui: « se l'azione penale è stata esercitata, il giudice ... pronuncia, in camera di consiglio, sentenza inappellabile di assoluzione o di non luogo a procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ».

- Cass., sez. V, 25 febbraio 2000, Stroscia, in Cass. pen., 2001, p. 929.

- T. Padovani, Tipicità e successione di leggi penali, cit., p. 1382 ss.; C.E. Paliero -A. Travi, La sanzione amministrativa, Milano, 1988, p. 175 ss.; M. Gambardella, L'abrogazione della norma incriminatrice, cit., p. 150 ss.

- Cass., sez. V, 5 marzo 2004, De Mattei, in C.E.D. Cass., n. 229236; Cass., sez. III, 3 maggio 1996, Nejrotti, in Cass. pen., 1998, p. 813, con nota di R. Gargiulo, Sulla successione di leggi sanzionatorie nel caso di depenalizzazione.

- Cass., sez. un., 16 marzo 1994, Mazza, in Cass. pen., 1994, p. 2659; ivi, 1995, p. 1806, con nota di A. Albano, Nuovo codice della strada, depenalizzazione e diritto transitorio.

- In relazione al principio di irretroattività dell'illecito amministrativo, v. per tutti C.E. Paliero-A. Travi, La sanzione amministrativa, cit., p. 173 ss.

- E. Gallucci, in Commento alla Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio (l. n. 205 del 1999), sub art. 102, in Leg. pen., 2001, p. 973 ss. Per ampie considerazioni in tal senso, v. C.E. Paliero-A. Travi, La sanzione amministrativa, cit., p. 177 ss. Da segnalare che il d.lg. 3 agosto 2007, n. 117, conv. con mod. nella l. 2 ottobre 2007, n. 160, in tema di circolazione stradale, all'art. 7 (norme di coordinamento) stabilisce che: « le disposizioni del presente decreto che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore, purché il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o decreto penale irrevocabili ».

p. 974, come d'altronde la disciplina transitoria è contenuta nella maggior parte delle leggi di depenalizzazione.

- Aghina, La disciplina transitoria e le norme finali, in Aa.Vv., Depenalizzazione e nuova disciplina dell'illecito amministrativo, a cura di G. Lattanzi-E. Lupo, Milano, 2001, p. 319; G. Colla-G. Manzo, Le sanzioni amministrative, Milano, 2001, p. 265.

- Cass., sez. un., 16 marzo 1994, Mazza, cit. In senso conforme Cass., sez. III, 3 maggio 1996, Nejrotti, cit.; Cass., sez. I, 20 novembre 1995, n. 3425, Spataro, in Giust. pen., 1997, II, c. 50. E più di recente, in tema di depenalizzazione dell'illecito di cui all'art. 2623 n. 3 c.c. ad opera dell'art. 2625 c.c., si è precisato che il giudice penale non ha l'obbligo di trasmettere gli atti alla autorità amministrativa competente ad applicare le sanzioni in ordine all'illecito depenalizzato, non sussistendo alcuna disposizione transitoria del d.lgs. n. 61 del 2002 che prevedeva un tale obbligo, mentre il legislatore, laddove ha ritenuto necessaria tale trasmissione, ha dettato un'espressa previsione, posto che detto obbligo si pone in contrasto con il principio di irretroattività della sanzione amministrativa (art. 1 l. n. 689 del 1981), che non può essere derogato se non nelle ipotesi tassativamente previste (Cass., sez. V, 5 marzo 2004, De Mattei, cit.). In argomento, per un quadro esaustivo della dottrina e della giurisprudenza (civile e penale), v. E. Aghina, Depenalizzazione e nuova disciplina dell'illecito amministrativo, cit., p. 318 ss.; E. Gallucci, in Commento alla Depenalizzazione, cit., p. 973 ss.; G. Colla-G. Manzo, Le sanzioni amministrative, cit., p. 268 ss.

- In tal senso, cfr. Cass., sez. un., 26 marzo 2003, Giordano, cit., che esclude una (totale) abolizione del reato allorché tra le due norme in successione esista un rapporto di specialità, tanto nel caso in cui sia speciale la norma successiva quanto in quello in cui speciale sia la prima. In dottrina, cfr. G. Marinucci-E. Dolcini, Corso di diritto penale, cit., p. 280 ss.

 



[1] G. Marinucci-E. Dolcini, Corso di diritto penale, cit., p. 269 ss. Inoltre, secondo S. Canestrari-L. Cornacchia-G. De Simone, Manuale di diritto penale, parte generale, Bologna, 2007, p. 148: l'ipotesi di degradazione del fatto da illecito penale a illecito amministrativo in nulla si distingue da quella di semplice abolitio criminis.

[2] Cass., 18 aprile 1985, Piccolo, in Cass. pen., 1986, p. 1547; Cass., 29 aprile 1977, Andreozzi, ivi, 1978, p. 681.

[3] Cass., sez. un., 16 marzo 1994, Mazza, in Cass. pen. 1994, p. 2659. Cfr. altresì l'art. 102 comma 3 d.lgs. n. 507 del 1999, secondo cui: « se l'azione penale è stata esercitata, il giudice ... pronuncia, in camera di consiglio, sentenza inappellabile di assoluzione o di non luogo a procedere perché il fatto non è previsto dalla legge come reato ».

[4] Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato [25 Cost.] (1). Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato; e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti penali (2) (3).

Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'articolo 135 (4).

Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo (5), salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile [648 c.p.p.] (6).

Se si tratta di leggi eccezionali o temporanee, non si applicano le disposizioni dei capoversi precedenti (7).

Le disposizioni di questo articolo si applicano altresì nei casi di decadenza e di mancata ratifica di un decreto-legge (8) e nel caso di un decreto-legge convertito in legge con emendamenti.

 

Note

(1) La norma tratta la prima delle tre ipotesi relative al rapporto legge penale-decorso del tempo, la c.d. «nuova incriminazione». Qui viene ribadito il principio della irretroattività della legge penale, espressamente previsto anche dall'art. art. 25 Cost., comma 2, che esclude la possibilità di punire un fatto commesso dopo l'abrogazione o la perdita d'efficacia della norma che lo incriminava (cd. divieto di ultrattività della legge penale)

 

(2) Si tratta qui dell'ipotesi di abolizione di incriminazioni preesistenti, la c.d. abolitio criminis. In tali ipotesi si applica il principio della retroattività piena della legge penale. La disciplina trova fondamento da un lato nel principio del favor rei, che comporta l'applicazione della legge favorevole al reo, e dall'altra nel principio d'uguaglianza. L' abolitio criminis travolge anche il giudicato e gli effetti penali della condanna. La dottrina dominante ritiene che si debba considerare rilevante in tale sede anche l'abolizione della norma (non penale) integratrice di una norma penale in bianco.

 

(3) Per quanto attiene al processo di depenalizzazione, si rimanda al l. 24 novembre 1981 n. 689 e il d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507.

 

(4) Tale comma è stato inserito con l. 24 febbraio2006, n.85 (art.1) e disciplina una specifica ipotesi di modifica nel tempo del trattamento sanzionatorio ovvero qualora la legge successiva favorevole abbia introdotto la sola sanzione pecuniaria in luogo della previgente sanzione detentiva. In tali casi, data la particolare intensità del sopravvento trattamento di favore per il condannato, viene travolto anche il giudicato, diversamente da quanto previsto in via generale dall'art. art. 2 del c.p., comma 3.

 

(5) In merito alla terza ipotesi ovvero alla successione di leggi modificative, viene ribadito il principio di irretroattività di ogni legge successiva sfavorevole al reo e contestualmente viene imposta l'applicazione retroattiva della legge più favorevole, in ossequio al principio di parità sostanziale di trattamento (3 Cost.). Si ricordi che in caso di successione normativa, la disposizione più favorevole va individuata in concreto, quindi avendo riguardo della concreta applicazione al caso di specie. Il tema più dibattuto in tema di successione di leggi penali riguarda la necessità di distinguere tra ipotesi abrogative e modificative delle fattispecie incriminatrici. La dottrina tedesca ritiene che la soluzione al problema si ravvisi nell'esistenza di una «continuità del tipo di illecito» tra la norma anteriore e quella successiva, intesa come identità del bene protetto e delle modalità di aggressione dello stesso. Si parlerà di modificazione, piuttosto che di abrogazione ove sia presente tale continuità. La dottrina italiana, dal canto suo, ha invece optato per l'individuazione di un rapporto di continenza. Perciò si ha modificazione quando la nuova legge penale contempla una fattispecie di portata più specifica rispetto a quella precedente.

 

 

(6) L'applicazione retroattiva della legge favorevole al reo trova un limite invalicabile nel caso in cui la vicenda giudiziaria sia stata definita con sentenza di condanna passata in giudicato. L'inidonià della modifica favorevole a incidere sul giudicato penale subisce tuttavia un'eccezione con la previsione di cu all'art. art. 2 del c.p., comma 3.

 

(7) Nel caso di leggi temporanee ed eccezionali si deroga alla disciplina generale in materia di successione delle leggi penali. Onde evitare che le disposizioni di carattere temporaneo od eccezionale vengano eluse, si applica quindi esclusivamente la disposizione in vigore al tempo in cui è stato commesso il fatto (tempus regit actum). Si ricordi poi che l'art. 20 della legge 7 gennaio1929, n. 4, in tema di leggi penali finanziarie, prevedeva una deroga al principio di retroattività della legge più favorevole , giustificata dall'interesse statale alla riscossione dei tributi.

Ma l. 205 giugno 1999 (art. 6, c. 1, lett. d)), nell'ambito della riforma della disciplina sanzionatoria per le violazioni di leggi finanziarie e tributarie, ha optato per l'abrogazione del cd principio di ultrattività delle norme penali tributarie. L'art. 24 del d.lgs. 507/1999 ha provveduto ad abrogare formalmente l'art. 20 della l. 4/1929, in esecuzione della delega avvenuta con il d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74.

 

(8) La Corte Costituzionale, con sentenza 19 febbraio1985, n. 51 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale comma «nella parte in cui rende applicabili alle ipotesi da esso previste le disposizioni contenute nel secondo e terzo comma dello stesso art. 2 c.p.», nel rispetto del principio della caducazione retroattiva del decreto-legge non convertito (77 Cost.). L'impossibilità di applicare retroattivamente il decreto-legge non convertito (che contenga disposizioni più favorevoli al reo),secondo la pronuncia della Corte, riguarda esclusivamente i fatti pregressi, cioè realizzati prima dell'entrata in vigore dello stesso decreto. Per quanto attiene ai fatti concomitanti, ovvero commessi durante il periodo di vigenza del decreto che introduca una disciplina più favorevole al reo o abroghi una incriminazione preesistente,la dottrina maggioritaria propoende per la piena operatività del decreto-legge, se no si paleserebbe una deroga al principio di irretroattività della legge penale incriminatrice più sfavorevole in violazione dell'art. 25, comma 2, Cost. Una soluzione analoga è accolta, parimenti, in relazione ai casi di declaratoria di illegittimità costituzionale della legge, dal momento che si riconosce effetto ex tunc alla dichiarazione di incostituzionalità .

[5] T. Padovani, Tipicità e successione di leggi penali, cit., p. 1382 ss.; C.E. Paliero -A. Travi, La sanzione amministrativa, Milano, 1988, p. 175 ss.; M. Gambardella, L'abrogazione della norma incriminatrice, cit., p. 150 ss.

[6] Cass., sez. V, 5 marzo 2004, De Mattei, in C.E.D. Cass., n. 229236; Cass., sez. III, 3 maggio 1996, Nejrotti, in Cass. pen., 1998, p. 813, con nota di R. Gargiulo, Sulla successione di leggi sanzionatorie nel caso di depenalizzazione.

[7] Cass., sez. un., 16 marzo 1994, Mazza, in Cass. pen., 1994, p. 2659; ivi, 1995, p. 1806, con nota di A. Albano, Nuovo codice della strada, depenalizzazione e diritto transitorio. In relazione al principio di irretroattività dell'illecito amministrativo, v. per tutti C.E. Paliero-A. Travi, La sanzione amministrativa, cit., p. 173 ss.

[8] E. Gallucci, in Commento alla Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio (l. n. 205 del 1999), sub art. 102, in Leg. pen., 2001, p. 973 ss. Per ampie considerazioni in tal senso, v. C.E. Paliero-A. Travi, La sanzione amministrativa, cit., p. 177 ss. Da segnalare che il d.lg. 3 agosto 2007, n. 117, conv. con mod. nella l. 2 ottobre 2007, n. 160, in tema di circolazione stradale, all'art. 7 (norme di coordinamento) stabilisce che: « le disposizioni del presente decreto che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore, purché il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o decreto penale irrevocabili », p. 974, come d'altronde la disciplina transitoria è contenuta nella maggior parte delle leggi di depenalizzazione.

[9] Aghina, La disciplina transitoria e le norme finali, in Aa.Vv., Depenalizzazione e nuova disciplina dell'illecito amministrativo, a cura di G. Lattanzi-E. Lupo, Milano, 2001, p. 319; G. Colla-G. Manzo, Le sanzioni amministrative, Milano, 2001, p. 265.

[10] N. Irti, L'età della decodificazione, Milano, 1999, p. 53 ss.

[11] La successione di leggi penali nel tempo tra diritto e processo" (Roma, 26-27 febbraio 2009).

[12] Sulla distinzione tra ineleggibilità tout court e incapacità elettorale passiva, Di Ciolo, Incompatibilità ed ineleggibilità parlamentari, in Enc.dir., vol. XXI, Giuffrè, 1971, p. 45 s.; Long, Ineleggibilità e incompatibilità, in Dig.disc.pubbl., vol. VIII, Utet, 1993, p. 275 s.; Bertolini, Requisiti di eleggibilità e parametri di controllo della Corte costituzionale, in Giur.cost., 1993, p. 570 s.; Moschella, op. cit., p. 1404.

[13] Il Decreto Legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 - Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre 2012, n. 190. (13G00006) - Vigente al: 28-8-2013 - contiene 18 articoli, suddivisi in V Capi.

L' art. 1 -Incandidabilita' alle elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica- è così strutturato :

"1. Non possono essere candidati e non possono comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore:

a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;

b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale;

c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell'articolo 278 del codice di procedura penale."

[14] ("1. Agli effetti dell'applicazione delle misure, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per ciascun reato consumato o tentato [c.p. 56]. Non si tiene conto della continuazione, della recidiva [c.p. 99] e delle circostanze del reato [c.p. 59-70, 118-119], fatta eccezione della circostanza aggravante prevista al numero 5) dell'articolo 61 del codice penale e della circostanza attenuante prevista dall'articolo 62 n. 4 del codice penale nonché delle circostanze per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale")

[15] La norma prevede espressamente che "la pena della reclusione si estende da quindici giorni a ventiquattro anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l"obbligo del lavoro e con l"isolamento notturno. Il condannato alla reclusione, che ha scontato almeno un anno della pena, può essere ammesso al lavoro all"aperto".

L"esecuzione della reclusione è disciplinata dalla legge sull"Ordinamento penitenziario (L. 354/75) che, tra le altre cose, prevede l"esecuzione della pena nelle case di reclusione e l"obbligo del lavoro e l"isolamento notturno.

Sono previste alcune cause di differimento dell"esecuzione della reclusione. In alcuni casi, come ad esempio in presenza di una donna incinta o che ha partorito da meno di sei mesi, di persona affetta da HIV in casi particolari, il differimento è obbligatorio. E" invece facoltativo se è stata presentata domanda di grazia, se il soggetto si trova in condizioni di grave infermità fisica e se la donna ha partorito da più di sei mesi e da meno di un anno e non vi è modo di affidare il figlio ad altro che alla madre (art. 147 c.p.).

[16] Nel capo III - Inandidabilità alle cariche elettive regionali - l'art. 8 , così dispone : "1. Sono sospesi di diritto dalle cariche indicate all'articolo 7, comma 1:

a) coloro che hanno riportato una condanna non definitiva per uno dei delitti indicati all'articolo 7, comma 1, lettera a), b), e c);

b) coloro che, con sentenza di primo grado, confermata in appello per la stessa imputazione, hanno riportato una condanna ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per un delitto non colposo, dopo l'elezione o la nomina;

c) coloro nei cui confronti l'autorita' giudiziaria ha applicato, con provvedimento non definitivo, una misura di prevenzione in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a) e b), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159.

2.La sospensione di diritto consegue, altresi', quando e' disposta l'applicazione di una delle misure coercitive di cui agli articoli 284, 285 e 286 del codice di procedura penale nonche' di cui all'articolo 283, comma 1, del codice di procedura penale, quando il divieto di dimora riguarda la sede dove si svolge il mandato elettorale.

3. Nel periodo di sospensione i soggetti sospesi, fatte salve le diverse specifiche discipline regionali, non sono computati al fine della verifica del numero legale, ne' per la determinazione di qualsivoglia quorum o maggioranza qualificata. La sospensione cessa di diritto di produrre effetti decorsi diciotto mesi. La cessazione non opera, tuttavia, se entro il termine di cui al precedente periodo l'impugnazione in punto di responsabilita' e' rigettata anche con sentenza non definitiva. In quest'ultima ipotesi la sospensione cessa di produrre effetti decorso il termine di dodici mesi dalla sentenza di rigetto.

4. A cura della cancelleria del tribunale o della segreteria del pubblico ministero i provvedimenti giudiziari che comportano la sospensione ai sensi del comma 1 sono comunicati al prefetto del capoluogo della Regione che ne da' immediata comunicazione al Presidente del Consiglio dei Ministri il quale, sentiti il Ministro per gli affari regionali e il Ministro dell'interno, adotta il provvedimento che accerta la sospensione. Tale provvedimento e' notificato, a cura del prefetto del capoluogo della Regione, al competente consiglio regionale per l'adozione dei conseguenti adempimenti di legge. Per la regione siciliana e la regione Valle d'Aosta le competenze di cui al presente articolo sono esercitate, rispettivamente, dal commissario dello Stato e dal presidente della commissione di coordinamento; per le province autonome di Trento e di Bolzano sono esercitate dai rispettivi commissari del Governo. Per la durata della sospensione al consigliere regionale spetta un assegno pari all'indennita' di carica ridotta di una percentuale fissata con legge regionale.

5. La sospensione cessa nel caso in cui nei confronti dell'interessato venga meno l'efficacia della misura coercitiva di cui al comma 1, ovvero venga emessa sentenza, anche se non passata in giudicato, di non luogo a procedere, di proscioglimento o di assoluzione o provvedimento di revoca della misura di prevenzione o sentenza di annullamento ancorche' con rinvio. In tal caso la sentenza o il provvedimento di revoca devono essere pubblicati nell'albo pretorio e comunicati alla prima adunanza dell'organo che ha proceduto all'elezione, alla convalida dell'elezione o alla nomina.

6. Chi ricopre una delle cariche indicate all'articolo 7, comma 1, decade da essa di diritto dalla data del passaggio in giudicato della sentenza di condanna o dalla data in cui diviene definitivo il provvedimento che applica la misura di prevenzione."

[17] ( ndr si pensi alla mostruosità giuridica espressa con il comma 2 dell'art 7 che testualmente :" Le disposizioni previste dal comma 1 si applicano a qualsiasi altro incarico con riferimento al quale l'elezione o la nomina e' di competenza del consiglio regionale, della giunta regionale, dei rispettivi presidenti e degli assessori regionali.")

[18] Nel Capo V - Disposizioni comuni , transitorie e finali , l'art.13 così prevede : " 1. L'incandidabilita' alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo spettante all'Italia, derivante da sentenza definitiva di condanna per i delitti indicati all'articolo 1, decorre dalla data del passaggio in giudicato della sentenza stessa ed ha effetto per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici comminata dal giudice. In ogni caso l'incandidabilita', anche in assenza della pena accessoria, non e' inferiore a sei anni.

2. Il divieto ad assumere e svolgere incarichi di Governo nazionale, derivante da sentenza di condanna definitiva per i delitti indicati all'articolo 1, opera con la medesima decorrenza e per la stessa durata prevista dal comma 1.

3. Nel caso in cui il delitto che determina l'incandidabilita' o il divieto di assumere incarichi di governo e' stato commesso con abuso dei poteri o in violazione dei doveri connessi al mandato elettivo, di parlamentare nazionale o europeo, o all'incarico di Governo, la durata dell'incandidabilita' o del divieto e' aumentata di un terzo."

L'art.15 , comma 3 e 4, così disciplina : " 3. La sentenza di riabilitazione, ai sensi degli articoli 178 e seguenti del codice penale, e' l'unica causa di estinzione anticipata dell'incandidabilita' e ne comporta la cessazione per il periodo di tempo residuo. La revoca della sentenza di riabilitazione comporta il ripristino dell'incandidabilita' per il periodo di tempo residuo. 4. L'incandidabilita' disciplinata dagli articoli 7, comma 1, lettera f) e 10, comma 1, lettera f), si estingue per effetto del procedimento di riabilitazione previsto dall'articolo 70 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159."

[19] art.178 - la riabilitazione estingue le pene accessorie ed ogni altro effetto penale della condanna, salvo che la legge disponga altrimenti. ( ndr non con decreto legislativo e immutando il corpo dell'articolo- nel caso di specie si potrebbe ipotizzare un eccesso di delega) - art. 179 - La riabilitazione è conceduta quando siano decorsi almeno tre anni (1 ) dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o siasi in altro modo estinta, e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta.Il termine è di almeno otto anni (2 ) se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell'articolo 99. Il termine è di dieci anni se si tratta di delinquenti abituali, professionali o per tendenza e decorre dal giorno in cui sia stato revocato l'ordine di assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro.Qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena ai sensi dell'articolo 163, primo, secondo e terzo comma, il termine di cui al primo comma decorre dallo stesso momento dal quale decorre il termine di sospensione della pena. (4) Qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena ai sensi del quarto comma dell'articolo 163, la riabilitazione è concessa allo scadere del termine di un anno di cui al medesimo quarto comma, purché sussistano le altre condiz ioni previste dal presente articolo. La riabilitazione non può essere conceduta quando il condannato: 1) sia stato sottoposto a misura di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione dello straniero dallo Stato, ovvero di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato; 2) non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell'impossibilità di adempierle. (1) Le parole: "cinque anni" sono state così sostituite dalle attuali: "almeno tre anni" dall"art. 3,comma 1, lett. a), della L. 11 giugno 2004, n. 145 (2) Le parole. " dieci anni " sono state così sostituite dalle attuali: " almeno otto anni " dall"art. 3, comma 1, lett. b), della L. 11 giugno 2004, n. 145 (3) Le parole: " parimenti" sono state soppresse dall"art. 3, comma 1, lett. c), della L. 11 giugno 2004, n. 145 (4) Comma aggiunto dall"art. 3, comma 1, lett. d), della L. 11 giugno 2004, n. 145 ; - art. 180. - " La sentenza di riabilitazione è revocata di diritto se la persona riabilitata commette entro sette anni (1) un delitto non colposo, per il quale sia inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore a due anni (1) od un'altra pena più grave. (1) Le parole: "

cinque anni " e " tre anni " sono state rispettivamente così sostituite dalle parole:" sette anni " e " due anni " dall"art. 4, della L. 11 giugno 2004, n. 145.

[20] Nel senso della inammissibilità della questione per il carattere indeterminato del petitum, v., per tutte, la sentenza n. 301/2012.

Nel senso della inammissibilità di questioni con le quali si chiede un intervento additivo non obbligato, v. le sentenze nn. 134/2012, 117/2011, 6/2011 e 256/2010.

In senso analogo, in relazione a questione identica sollevata, in altro giudizio, dal medesimo rimettente, v. l' ordinanza n. 169/2013.

 




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