-  Gasparre Annalisa  -  23/09/2014

FARMACI VIETATI AI CONIGLI DI UN ALLEVAMENTO: CONDANNA PER L'ALLEVATORE - Cass. pen. 38624/2014 - Annalisa GASPARRE

Nella vicenda in esame la Corte è entrata a giudicare le condizioni di un allevamento di conigli sotto il profilo delle sostanze somministrate a tali animali che erano destinati a finire in tavola, quindi, a divenire alimento.

Si accertava che agli animali erano stati somministrati farmaci vietati perchè dannosi per la salute umana e l'allevatore veniva condannato per corruzione ed adulterazione di sostanze alimentari e ricettazione. Pur conoscendo la provenienza illecita del farmaco, l'imputato l'aveva impiegato somministrandolo, senza alcun controllo o prescrizione medico-veterinaria, ai conigli del suo allevamento composto di 13.000 'capi'.

L'uomo è stato condannato anche a risarcire la parte civile Federconsumatori.

Il reato contestato (art. 440 c.p.) è reato di pericolo che si perfeziona con la sola adulterazione o contraffazione della sostanza alimentare da cui derivi un pericolo per la salute pubblica senza che per la sussistenza del reato sia necessaria la concreta verificazione del nocumemento.

L'interrogativo retorico è che dietro ad un fatto documentato ve ne siano ben altri sommersi (non ancora sopiti sono i vari scandali 'mucca pazza, aviaria, eccetera eccetera, che periodicamente tornano alla ribalta). D'altra parte allevare un animale da destinare alla macellazione è molto costoso, se fatto con tutti i crismi del caso e nel rispetto delle regole... ma se la domanda richiede animali macellati a buon mercato, insomma, il mercato si adegua... con queste conseguenze per la salute dell'uomo e per le condizioni 'bestiali' e illecite in cui gli animali devono sopravvivere fino al giorno x, quello in cui cesseranno di essere animale per diventare cibo (magari pure buttato).

Personalmente sono uscita da questo mercato carneo, sia da quello consumistico che da quello c.d. sostenibile, tanti anni fa. E troppo spesso mi chiedo perchè non l'ho fatto prima.

Che dire: buon appetito.

 

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 28 aprile – 22 settembre 2014, n. 38624

Presidente Siotto – Relatore Sandrini

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza pronunciata il 30.03.2012 la Corte d'Appello di Napoli ha confermato la sentenza in data 17.05.2007 con cui il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Torre Annunziata, all'esito di giudizio abbreviato, aveva condannato l'imputato L.G.G. alla pena di anni 2 mesi 4 di reclusione per i reati, unificati in continuazione, di corruzione e adulterazione di sostanze alimentari e di ricettazione, ex artt. 440 e 648 cod. pen., commessi fino al (omissis), ascritti ai capi 1 e 2 della rubrica, oltre alle pene accessorie e alle statuizioni consequenziali, nonché al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separato giudizio civile, in favore della parte civile costituita associazione Federconsumatori Campania.

Le condotte addebitate all'imputato, che i giudici di merito hanno ritenuto provate, sono quelle di aver ricevuto e impiegato, conoscendone la provenienza illecita, il farmaco nocivo olaquindox (appartenente alla famiglia delle diossichinossaline), somministrandolo ai conigli dell'allevamento composto di circa 13.000 capi di cui il L.G. era titolare in (omissis); in particolare, le analisi eseguite sui campioni d'acqua prelevati dall'abbeveratoio dei conigli avevano rilevato la presenza di residui di olaquindox (nella misura di 0,19 mg/litro), farmaco del quale la direttiva CEE 95/53 e il regolamento 1998/2788/CE avevano vietato l'uso quale additivo alimentare perché munito di potente azione chemioterapica, e che è stato ritenuto da numerose fonti scientifiche internazionali pericoloso per la salute umana perché potenzialmente cancerogeno; la persistenza delle caratteristiche tossicologiche presenti nei residui del farmaco, e il suo impiego al di fuori di un diretto controllo sanitario nella distribuzione e nell'utilizzazione (come promotore della crescita) sugli animali, ne imponevano pertanto, in virtù del principio di precauzione, il divieto di somministrazione agli animali trasformabili mediante macellazione in alimenti umani, come i conigli di allevamento, a prescindere dal fatto che fossero o meno svezzati, non essendo possibile fissare il valore limite al di sotto del quale l'olaquindox non presenta rischi per il consumatore.

La Corte territoriale riteneva così integrato, nella condotta del L.G. , che non poteva esaurirsi negli illeciti amministrativi sanzionanti la somministrazione agli animali di determinate sostanze vietate, il reato di cui all'art. 440 cod. pen., e riteneva giustificato dalla gravità del fatto il diniego delle attenuanti generiche.

2. Ricorre per cassazione L.G.G. , a mezzo del difensore, deducendo due motivi di censura.

Col primo motivo, il ricorrente lamenta violazione dell'art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen., in relazione all'art. 440 cod. pen., censurando la totale carenza di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto sub 1, e deducendo le anomalie del procedimento di formazione e analisi dei campioni d'acqua prelevati dall'allevamento, tali da non garantire l'esclusione di possibili contaminazioni e la genuinità dei relativi risultati; rileva in ogni caso l'assenza di prova dell'idoneità dell'acqua analizzata a contaminare i tessuti degli animali, destinati a essere macellati dopo più di 60 giorni, così da escludere un concreto pericolo per la salute pubblica, necessario a integrare il reato di cui all'art. 440 cod. pen..

Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione dell'art. 606 comma 1 lett. b) cod.proc.pen., in relazione all'art. 133 cod. pen., lamentando la misura eccessiva della pena inflitta senza che ne fossero stati enunciati i criteri giustificativi.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile in ogni sua deduzione.

2. Il primo motivo di doglianza, articolato in termini del tutto generici e congetturali, evita sostanzialmente di confrontarsi con le puntuali, esaustive e argomentate motivazioni in forza delle quali entrambe le sentenze di merito hanno ritenuto provata la sussistenza, a carico del L.G. , del delitto di cui all'art. 440 cod. pen.: sul punto, la motivazione della sentenza impugnata si salda, integrandola e completandola, con quella della decisione di primo grado, che costituisce frutto di una disamina dettagliata, coerente e giuridicamente corretta delle evidenze probatorie disponibili e di tutte le questioni, di fatto e di diritto, prospettate dalla difesa dell'imputato, concorrendo a formare un unico, organico e inscindibile, corpo argomentativo (Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Rv. 236181, e Sez. 2 n. 30838 del 19.03.2013, imputato Autieri), che risulta incensurabile in sede di legittimità.

Sotto un primo profilo, il ricorrente si limita a sollevare possibili dubbi sulla corretta formazione dei campioni d'acqua, prelevati dall'allevamento avicunicolo dell'imputato, nei quali è stata riscontrata la presenza dei residui di olaquindox, adombrando un rischio di contaminazione (e addirittura di sostituzione) dei campioni in grado di compromettere la genuinità dei risultati delle relative analisi, secondo una formulazione talmente ipotetica e generica - che non indica quando, come, e ad opera di quali soggetti, una tale contaminazione (o sostituzione) potrebbe eventualmente essersi verificata - da non superare la soglia dell'ammissibilità (Sez. 6 n. 32227 del 16/07/2010, Rv. 248037, secondo cui è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso che prospetti vizi di motivazione del provvedimento impugnato enunciati in forma perplessa o alternativa; nonché Sez. 3 n. 5020 del 17/12/2009, Rv. 245907, per cui il necessario requisito della specificità dei motivi di ricorso pone a carico della parte impugnante non solo l'onere di dedurre le censure che intenda muovere su uno o più punti determinati, ma anche quello di indicare con chiarezza e precisione gli elementi fondanti, sì da consentire alla Corte di individuare i rilievi proposti ed esercitare quindi il proprio sindacato sui contenuti concreti della motivazione della decisione gravata, e non già su ipotesi congetturali e astratte).

In secundis, il ricorso evoca una generica carenza di prova dell'idoneità dell'acqua, inquinata dalla presenza dell'additivo nocivo, a contaminare i tessuti degli animali e a determinare l'insorgenza, anche in relazione ai tempi previsti della loro macellazione, di un pericolo concreto per la salute umana, senza confrontarsi - tuttavia - con le circostanze di fatto acquisite, e puntualmente evidenziate (in particolare) nella sentenza di primo grado, che la presenza dell'olaquindox era stata riscontrata proprio nell'acqua di abbeverata di cui era in corso la somministrazione ai conigli al momento del prelievo, che la percentuale rilevata dell'additivo vietato costituiva il residuo di precedenti somministrazioni illegali effettuate in assenza di qualsiasi controllo veterinario, e dunque secondo quantitativi non verificabili, determinati discrezionalmente dall'imputato, che il prelievo era stato eseguito proprio nel sito dei conigli in fase di svezzamento, in un contesto di complessiva illegalità che non offriva alcuna garanzia di rispetto di un periodo di comporto (che in ogni caso avrebbe soltanto ridotto, ma non eliminato, il rischio di una persistente contaminazione delle carni) prima della macellazione degli animali.

La sentenza impugnata ha dunque fatto corretta applicazione del principio di diritto per cui, in presenza di un pericolo per la salute umana derivante dalla potenziale natura mutante e cancerogena dell'olaquindox, la somministrazione della relativa sostanza ad animali vivi destinati all'alimentazione umana - vietata dalla normativa comunitaria in ragione dell'impossibilità di fissare un valore limite al di sotto del quale l'additivo non presenta alcun rischio per la salute del consumatore finale - è idonea a integrare il reato di contraffazione di sostanze alimentari di cui all'art. 440 cod. pen., in quanto gli animali vivi, pur non potendo considerarsi sotto il profilo strettamente fisiologico come sostanze destinate all'alimentazione, tali devono considerarsi sotto il profilo funzionale, essendo essi normalmente destinati, dopo la macellazione, all'alimentazione umana (Sez. 1 n. 604 del 9/12/2009, Rv. 245961 e, in motivazione, Sez. 5 n. 17979 del 5/03/2013, P.G. in proc. Iamonte e altri).

La natura di reato di pericolo del delitto in esame comporta che lo stesso si perfezioni con la sola adulterazione o contraffazione della sostanza alimentare -intesa nel senso appena indicato - da cui derivi un pericolo per la salute pubblica, motivatamente ritenuto, con apprezzamento incensurabile, dai giudici di merito sulla scorta dell'impossibilità di stabilire soglie minime di pericolosità delle quantità di olaquindox somministrate agli animali vivi o della durata del periodo di sospensione dal trattamento ante macellazione, senza che per la sussistenza del reato sia necessaria la concreta verificazione del nocumento (Sez. 1 n. 2953 del 29/01/1997, Rv. 207273).

3. Il secondo motivo di ricorso è anch'esso inammissibile, risolvendosi in una generica e assertiva censura della motivazione della misura del trattamento sanzionatorio irrogato (in termini conformi) dai giudici di merito, che è stato determinato a partire da una pena base, stabilita per il reato più grave individuato nella violazione dell'art. 440 cod. pen., pari al minimo edittale di anni 3 di reclusione, su cui è stato applicato un contenuto aumento di mesi 6 ex art. 81 capoverso cod. pen. per il reato satellite di ricettazione (prima della riduzione finale di 1/3 della pena complessiva, conseguente alla scelta del rito abbreviato), tale da non esigere alcuna specifica indicazione dei criteri giustificativi prescelti (Sez. 2 n. 28852 dell'8/05/2013, Rv. 256464, secondo cui nel caso di irrogazione di una pena prossima al minimo edittale, l'obbligo di motivazione del giudice si attenua, fino a rendere sufficiente il richiamo al criterio dell'adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all'art. 133 cod. pen.); mentre la negazione all'imputato delle attenuanti generiche è stata ampiamente e congruamente motivata dalla sentenza di primo grado (alle pagine 29 e 30), puntualmente richiamata e condivisa, con valutazione incensurabile, dalla Corte territoriale.

4. All'inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della sanzione pecuniaria che si ritiene equo quantificare in 1.000 Euro; il ricorrente va altresì condannato a rifondere alla parte civile costituita, il cui difensore è comparso in udienza formulando le proprie conclusioni, le spese sostenute nel presente giudizio, liquidate nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 4.000,00 oltre accessori di legge.




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