(lamento di una madre di Plaza de Mayo)
Che io non sia più viva
quando i figli
di chi vi ha preso il padre,
forse sinceri,
forse spaventati
o soltanto abili
a fiutare il vento,
dagli scranni rossi di velluto
di chiese, tribunali e parlamento,
s’alzeranno
compunti
contriti
compresi
della solennità dell’ora
e con volto severo, telegenico,
solleveranno occhi umidi al cielo
e piegando il ginocchio
davanti a voi, figli miei,
chiederanno perdono
per ciò che i loro padri hanno fatto al vostro.
Cerimonia sentita
preparata con cura,
talk show e tavole rotonde,
sondaggi, analisi,
nobili appelli, accorate preghiere.
E per non guastar la festa
dite che sì,
perdonate, perdonate, perdonate
perché il passato è passato
e oggi siamo diversi
mai più simili orrori
l’odio non paga
si deve guardare avanti
e marciare uniti verso qualcosa.
Un abbraccio,
un altro ancora,
finché l’ultimo cameraman
non avrà spento
l’ultima lampada.
E poi via, ognuno al suo posto
perché la vita continua
e la morte no.
Che io non sia più viva
nel giorno del perdono senza giustizia
quando,
nella folla intenta a girar pagina,
nel vostro viso vedrò,
figli miei,
l’amore mio d’un tempo.