-  Gobbi Cristiano  -  22/03/2010

Giud. pace Palermo, VII sez., 23 febbraio 2010, g. Vitale - LA LEGITIMATIO AD CAUSAM DEL CONVENUTO SUSSISTE IN RELAZIONE ALLE PROSPETTAZIONI DELL'ATTORE - Cristiano GOBBI

La sentenza che qui si annota desta sicuro interesse per come il Giudice di Pace di Palermo risolve (correttamente) la questione preliminare (la profilata mancanza di legittimazione passiva in capo alla convenuta) sollevata da Serit Sicilia spa.

Perchè il giudice possa esaminare il merito di una controversia occorre che la lite sia costituita tra quei soggetti che siano legittimi contraddittori: e cioè tra il soggetto legittimato ad agire e quello legittimato a contraddire.

Nel caso in cui il giudice non rileva questa corrispondenza in una delle parti si configura l'ipotesi di mancanza di legittimazione.

Ciò premesso quello che non sempre viene colto è che la la legitimatio ad causam va valutata secondo la prospettazione dei fatti effettuata dalle parti.

Il presupposto della legittimazione passiva del convenuto attiene alla sua qualità di soggetto nei cui confronti l'attore ha il diritto potestativo di ottenere dal giudice, in base alla sua prospettazione, una sentenza di merito, di accoglimento o di rigetto.

È evidente quindi, ed ecco la particolarità del caso di specie (tante volte equivocata dagli stessi operatori del diritto) che colui che eccepisce la propria estraneità al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, e, conseguentemente, il difetto della propria titolarità rispetto ai diritti ed obblighi che a quel rapporto si ricollegano, solleva una questione di merito.

Invero, come la consolidata giurisprudenza della Corte di cassazione ha da tempo affermato, quando il convenuto eccepisca la propria estraneità al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, viene a discutersi non di una condizione per la trattazione del merito della causa, qual è la "legitimatio ad causam", ma della effettiva titolarità passiva del rapporto controverso, cioè dell'identificabilità o meno nel convenuto del soggetto tenuto alla prestazione richiesta dall'attore.

E, mentre il controllo circa la "legitimatio ad causam", nel duplice aspetto di legittimazione ad agire ed a contraddire, si risolve nell'accertare se, secondo la prospettazione del rapporto controverso data dall'attore, questi ed il convenuto assumano, rispettivamente, la veste di soggetto che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale e di soggetto tenuto a subirla, ogni eccezione del convenuto circa l'effettiva titolarità attiva o passiva del diritto fatto valere comporta una disamina ed una decisione attinente al merito della controversia.

Donde il diverso regime processuale delle due questioni.
Se, infatti, il difetto di "legitimatio ad causam", attenendo alla verifica - sempre secondo la prospettazione offerta dall'attore - della regolarità processuale del contraddittorio, è rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, l'accertamento della effettiva titolarità attiva o passiva del rapporto, attenendo al merito della controversia, è questione soggetta all'ordinaria disciplina dell'onere probatorio e delle impugnazioni: il difetto di titolarità, cioè, deve essere provato da chi lo eccepisce, deve formare oggetto di specifica deduzione in sede di merito e non può essere eccepito per la prima volta in cassazione.




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