Famiglia, relazioni affettive  -  Redazione P&D  -  01/09/2021

Giudizi e pregiudizi - Anna Berghella

Massimo e Lorenzo sono padre e figlio. Si vogliono bene, vanno d'accordo ma la loro relazione è contrastata e tribolata.

Lorenzo ha 14 anni ed è coinvolto, suo malgrado, in un procedimento di disconoscimento di paternità avanzato dal pubblico ministero attraverso un curatore speciale nominato ad hoc. 

Eppure Lorenzo è nato in costanza di matrimonio dei suoi genitori, partorito dalla sua mamma, porta il cognome di Massimo, il marito di sua madre, e lo chiama papà, e la stessa mamma ha allevato Lorenzo insieme a Massimo come qualsiasi coppia “normale” coniugata.

Però, c’è un però: lo spermatozoo che ha fatto nascere Lorenzo, fecondato nel ventre della mamma, non è di Massimo. Punto. E lo sanno tutti. Massimo lo sa, la mamma lo sa e anche Lorenzo lo sa, per il “semplice” fatto che Massimo è un uomo transessuale. Quindi, essendo nato donna, non avrebbe mai potuto concepire con la moglie un figlio, non avendo un apparato riproduttivo maschile.

La storia nasce da lontano ed è di quelle belle, di vita vera, di amore, se non si leggesse questa vicenda sotto la lente distorta del pregiudizio o del tabù. Massimo, quando era ancora donna si innamora di Matilde, anche lei lesbica e vive con questa donna una storia d'amore intensa, lontano dai paesi di provincia da cui ognuno di loro proveniva, in una grande città del nord. All’epoca non possono sposarsi perché il matrimonio è consentito solo a persone di genere maschile con persona di genere femminile, non esistevano ancora le unioni civili (L. 76/2016, c.d. legge Cirinnà).

Dopo l’entrata in vigore della legge 164 del 14 aprile 1982, che riconobbe alle persone transessuali la loro condizione e la possibilità di riconoscere il genere di transizione. Non riconoscendosi nel genere femminile Massimo, con il supporto e l’aiuto di Matilde, intraprende il percorso di cambiamento di genere ottenendo, dopo una sentenza del Tribunale, il cambiamento dei dati anagrafici in genere maschile. 

All’epoca in effetti l’art. 3 della L. 164/1982 recitava:

«Il tribunale, quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, lo autorizza con sentenza. In tal caso il tribunale, accertata la effettuazione del trattamento autorizzato, dispone la rettificazione in camera di consiglio». Quindi negli anni ’80 era necessario un doppio passaggio in tribunale, prima l’autorizzazione al trattamento medico di adeguamento dei caratteri sessuali e poi autorizzazione a rettifica di genere con il cambiamento di nome. Oggi tutta questa trafila non è più necessaria perché la legge che consente il cambiamento del nome sui documenti autorizza a poter intervenire chirurgicamente sul proprio corpo ma non lo richiede come conditio sine qua non. 

Massimo quindi, una volta diventato uomo anche per la legge, può finalmente sposare Matilde, con rito civile, come ogni coppia eterosessuale in Italia.

E da questa tribolata storia d'amore nasce Lorenzo, frutto di un rapporto extra-coniugale voluto dalla coppia, con donatore involontario e inconsapevole di gameti (rapporto occasionale non protetto), non essendo andato a buon fine nessuna delle inseminazione artificiale tentate dalla coppia all’estero. I genitori si dedicano al piccolo, anzi Massimo, avendo perso il lavoro, resta a casa per quattro anni dopo la nascita del piccolo per accudirlo, mentre Matilde continua con la sua attività di segretaria d’azienda.

E in questa storia d’amore, di famiglia, di consapevolezza e di sostegno qualcosa si rompe, e Massimo e Matilde decidono di separarsi come tante coppie al giorno d'oggi. Lei decide di tornare dalla grande città, dove i tre vivevano, al paesello del sud dove tutta la vicenda di Massimo e Matilde è vissuta con scalpore, vergogna, disagio. Una turpe macchia nella quotidianità della famiglia. Massimo viene così allontanato violentemente da qualsiasi contatto con il figlio, diffidato dall’avvicinarsi alla famiglia della moglie, visto come il disonore indicibile del nucleo.

Improvvisamente Matilde muore e la famiglia di lei, che non ha mai accettato né che la figlia fosse lesbica né tantomeno che avesse sposato un uomo transessuale, si impone con forza a recidere il rapporto tra Lorenzo e il padre con una serie di iniziative giudiziarie civili, penali e minorili che hanno portato all’apertura di cinque procedimenti presso vari tribunali. 

Il procedimento che lascia veramente perplessi da un punto di vista giuridico è il disconoscimento di paternità chiesto dai familiari attraverso il pubblico ministero, procedimento che incute nel minore un senso di grande insicurezza.

E sorgono delle domande. Il curatore del minore, nominato per introdurre il giudizio, aveva l’onere di valutare l’effettivo interesse del minore al procedimento di disconoscimento di paternità prima di depositare il ricorso?

Cui prodest questo giudizio se non esiste un padre biologico che possa avere interesse a vedersi attribuita la qualità di padre del minore, circostanza usualmente prodromica all’instaurazione di un giudizio di disconoscimento di paternità su impulso del pubblico ministero?

Tutte domande che il curatore speciale del minore non si è posto, non assumendo sommarie informazioni né audito le persone interessate né tantomeno proceduto all’ ascolto del minore riguardo all'accertamento del suo interesse rispetto all'azione di disconoscimento da presentare. Confondendo il disconoscimento di paternità anche con la capacità genitoriale di Massimo, quasi che, in quanto persona transgender, il padre debba comunque essere sottoposto a verifica della sua responsabilità genitoriale.

Il procedimento di disconoscimento di paternità non solo è intriso di pregiudizi ma travolge ogni principio garantito dalla nostra Costituzione e dalle Carte Europee.

Il riconoscimento dello stato di figlio non ha rilevanza solo a livello biologico ma è un diritto all’identità dell’individuo: non deve necessariamente prevalere il favor veritatis se contrasta con il principio dell’interesse del minore.

Nel nostro caso, a mio sommesso avviso, non dovendosi effettuare un bilanciamento tra il diritto soggettivo primario di un non esistente genitore biologico e l’interesse del minore ad un corretto sviluppo, la verità sull’identità biologica non coincide con l’interesse del minore che è invece quello di salvaguardare la stabilità del legame con il genitore presunto legittimo: ciò in quanto l’art. 30 della Costituzione non attribuisce un valore preminente alla paternità biologica rispetto a quella legale (Cassazione civile, sez. I, sentenza 03/04/2017 n° 8617).

Il principio cardine che guida l’attività interpretativa della giurisprudenza di legittimità è l’interesse del minore. I giudici della Cassazione richiamano nella decisione l’art. 8 della Convenzione EDU relativa al rispetto della vita familiare privata, dove l’ingerenza del giudice nella valutazione dell’interesse del minore viene consentita proprio al fine di assicurare il rispetto della vita privata e familiare e quindi la stabilità del minore, dei suoi affetti e del suo corretto sviluppo psicofisico.

Anche dal comma 3 dell’art. 24 della Carta di Nizza si evince come non necessariamente la ricerca della verità biologica corrisponda all’interesse del minore.

Secondo la Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 6 marzo 2019, n. 6517: “In tema di disconoscimento di paternità le norme e la giurisprudenza non comportano la prevalenza del favor veritatis sul favor minoris, ma impongono un bilanciamento fra il diritto all’identità personale legato all’affermazione della verità biologica e l’interesse alla certezza degli status ed alla stabilità dei rapporti familiari. Tale bilanciamento non può costituire il risultato di una valutazione astratta, occorrendo, invece, un accertamento in concreto dell’interesse superiore del minore nelle vicende che lo riguardano, con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo, educativo e sociale”.

Alla luce di questa massima ci si chiede quali effetti dovrebbe sortire il procedimento introdotto dal curatore. 

Effetti innanzitutto nei confronti di Massimo, padre legittimo di un figlio nato in costanza di matrimonio da coppia regolarmente sposata e correttamente riconosciuta e non solo genitore d'intenzione e di cura, per il quale un eventuale disconoscimento di paternità, basato solo sul dato biologico, sarebbe lesivo dei diritti fondamentali alla vita privata e familiare oltre che dolorosissimo. Perché Massimo non ha riconosciuto Lorenzo per compiacenza, dabbenaggine o perché all’oscuro della verità biologica. La coppia aveva cercato per anni con l’inseminazione artificiale un figlio che non arrivava e pertanto la nascita di Lorenzo, ancorché da rapporto occasionale della moglie, aveva coronato il sogno di genitorialità della coppia. Massimo è padre in forza della presunzione ex art. 231 c.c. L’interesse del terzo riteniamo non abbia alcun rilievo.

Ma soprattutto ci si deve interrogare quali effetti dovrebbe produrre questo giudizio proprio nei confronti di Lorenzo, “reale protagonista della vicenda”, per la tutela del cui interesse è necessario evitare ogni automatismo nell’equiparare la sua tutela necessariamente al principio di verità biologica della filiazione. Tale esigenza è imposta non solo dalle fonti interne, ma anche da quelle sovranazionali e l’ingerenza della pubblica autorità nella vita privata e familiare degli individui deve essere necessaria (art. 8 della Convenzione EDU).

Nella sentenza della Cassazione civile, sez. I, sentenza 03/04/2017 n° 8617, si legge che occorre eseguire un bilanciamento fra l'esigenza di affermare la verità biologica, con l'interesse alla stabilità dei rapporti familiari, nell'ambito di una sempre maggiore considerazione del diritto all'identità, non necessariamente collegato alla verità biologica, ma ai legami affettivi e personali che si sono creati all'interno di una famiglia.

Viviamo un momento storico di grande dissociazione tra la verità genetica e la verità giuridica, ma il caso di Lorenzo va tenuto lontano da un’aggressione così forte in un momento di grande fragilità del ragazzo, oggi quattordicenne, dopo la morte della mamma. Si renderebbe il minore orfano del legame più profondo che gli è rimasto: quello con il suo papà.




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