-  Gasparre Annalisa  -  17/03/2016

GIUSTA DURATA DEL PROCESSO E PERSONE GIURIDICHE – Cass. 322/16 – Annalisa GASPARRE

Nel caso di eccessiva durata del processo in cui sia parte una persona giuridica, il danno morale è legato ai turbamenti psicologici indotti dalla lesione del diritto in danno alle persone preposte all"amministrazione della società e ai suoi dipendenti, anche se muti la denominazione della società (ma rimanga invariata la partita iva e il codice fiscale delle due persone giuridiche).

11 anni era la durata di una controversia di lavoro che portava una società a chiedere il risarcimento con condanna del Ministero della Giustizia. Nel frattempo la denominazione della società era cambiata.

Nell"escludere la rilevanza di tale cambiamento, la Suprema Corte afferma che il danno non patrimoniale  costituisce normale conseguenza della violazione delle norme poste a tutela della ragionevole durata del processo; i giudici aggiungono che soggetto passivo di tale danno può essere anche una persona giuridica, accertato che i turbamenti si riverberano sugli amministratori e i dipendenti della società.

Quel che rileva – chiarisce la Corte – è stabilire se la vi è stata violazione delle norme a tutela della ragionevole durata del processo, motivo per cui il provvedimento impugnato è stato cassato con rinvio.

Nella sezione "Giustizia civile/giusto processo, ragionevole durata" possono essere letti importanti contributi sul tema.

 

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, sentenza 3 dicembre 2015 – 12 gennaio 2016, n. 322 - Presidente / Relatore Petitti

In fatto e in diritto

Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte d'appello di Campobasso il 20 luglio 2012, la ____ s.r.l. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento del danno sofferto a causa della irragionevole durata di una controversia di lavoro, proposta nei suoi confronti nel 2001, definita con sentenza del maggio 20l2, dopo undici anni;
che l'adita Corte d'appello rigettava la domanda, rilevando che: parte del giudizio presupposto era un'altra società; la ricorrente aveva semplicemente dichiarato che la identità tra essa e l'altra società, senza tuttavia dare alcuna significazione delle modalità del mutamento; la ricorrente, pur sollecitando il riconoscimento del danno morale, non aveva allegato la sussistenza di una sofferenza psichica derivante dalla durata del processo;
che per la cassazione di questo decreto ____ s.r.l. ha proposto ricorso, affidato a due motivi;
che l'intimato Ministero della giustizia non si
costituiva;
che essendosi rilevata la nullità della notificazione del ricorso perché effettuata presso l'Avvocatura distrettuale, all'udienza del 17 febbraio 2015 è stata disposta la rinnovazione della notificazione del ricorso presso l'Avvocatura generale dello Stato;
che il ricorrente ha tempestivamente adempiuto, provvedendo altresì a depositare tempestivamente l'atto notificato;
che i1 Ministero della giustizia ha resistito con controricorso.
Considerato che il Collegio ha deliberato l'adozione della motivazione semplificata nella redazione della sentenza;
che con il primo motivo la ricorrente deduce violazione/falsa applicazione degli artt. 100, 115, 116 e 167 cod. proc. civ., nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, sostenendo che nel giudizio dinnanzi alla Corte d'appello aveva prodotto la visura camerale dalla quale emergeva la identità di essa ricorrente con la ___ s.r.l., che era stata parte del giudizio presupposto;
che da tale visura emergeva la identità tra le due società, avendo la ___ mantenuto la partita IVA e il codice fiscale della precedente società, la quale aveva sostanzialmente mutato denominazione;
che, d'altra parte, nel mentre non vi era alcun onere di giustificazione del mutamento, come invece ritenuto dalla Corte d'appello, la circostanza non aveva formato oggetto di contestazione alcuna da parte della difesa erariale;
che con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione/falsa applicazione dell'art. 2 della legge n. 89 del 2001, e degli artt. 6, 32 e 41 della CEDU, anche in rapporto agli artt. 10 e 11 Cost. oltre che alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché violazione/falsa applicazione degli artt. 24 e 111 Cost., 1223, 1226, 1227, 2056, 2059 e 2697 cod. civ., ricordando che nella giurisprudenza di questa Corte, conformemente a quella della Corte europea, si è affermato il principio per cui il danno non patrimoniale costituisce conseguenza normale della violazione del termine di durata ragionevole, salvi i casi in cui emerga positivamente l'assenza di pregiudizio; principio, questo, che nella giurisprudenza europea e in quella di legittimità si ritiene applicabile anche alle persone giuridiche e agli enti collettivi;
che, prosegue la ricorrente, per la persona giuridica la questione della allegazione del pregiudizio e del danno non patrimoniale si pone nei medesimi termini che per le persone fisiche; e ciò tanto più in un caso, come quello di specie, in cui la società di capitali è a socio unico che ne è anche l'amministratore;
che deve essere preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità del controricorso, formulata dalla difesa del ricorrente in pubblica udienza, atteso che il controricorso è stato notificato nel domicilio eletto in ricorso;
che il primo motivo di ricorso è fondato;
che, invero, deve escludersi che vi sia per la società che, assuma di identificarsi con una precedente società un onere di motivazione sulle ragioni del mutamento della denominazione, atteso che ciò che rileva sono gli elementi che consentano di affermare la identità dei due soggetti;
che, nella specie, dalla visura camerale prodotta dalla ricorrente emerge la identità di partita IVA e di codice fiscale tra ____ e ____ s.r.l., sicché appare evidente l'errore in cui è incorsa la Corte d'appello nel ritenere che non fosse stata documentata la identità tra la società che era stata parte del giudizio presupposto e quella che ha agito per l'equa riparazione;
che il secondo motivo è del pari fondato;
che, invero, questa Corte ha affermato che, in tema di equa riparazione per irragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è - tenuto conto dell'orientamento in proposito maturato nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo -- conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia del diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, a causa del disagi e del turbamenti di carattere psicologico che ila lesione di tale diritto, solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell'ente o ai suoi membri, e ciò non diversamente da quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui persone fisiche (cfr., fra le altre, Cass. n. 25730 del 2011; Cass. n. 13986 del 2013) ;
che ciò rende superflua la valutazione circa la concreta e puntuale sofferenza di amministratori e preposti nel corso del giudizio presupposto perché tali soggetti non potevano che essere interessati, in quanto organi rappresentativi ed esecutivi della società, alla sollecita trattazione del giudizio di cui la CD Informatica s.r.l. era parte sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno in re ipsa - ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell'accertamento della violazione -, una volta accertata e determinata l'entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che non risulti la sussistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dalla società ricorrente;
che, dunque, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione del decreto impugnato;
che la causa va rinviata per nuovo esame alla Corte d'appello di Campobasso, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Campobasso, in diversa composizione.

 

 

 

 




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