Giustizia civile  -  Redazione P&D  -  17/01/2022

Giustizia compositiva tra mediazione familiare e nuove figure di ausiliari del giudice - Tiziana Amodeo

Il contenzioso familiare.

La complessità odierna della famiglia, società naturale fondata sul matrimonio (art. 29 Cost.) in continua evoluzione, è tale che il legislatore fatica a seguirne le mutazioni, sia pure nel tentativo di armonizzare le spinte dinamiche sociali, senza sacrificare il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.).

Un terreno su cui si riverbera la capacità trasformativa della famiglia è rappresentato dal contenzioso familiare, che consiste nell’interruzione del rapporto coniugale.

Il contenzioso familiare si verifica altresì in quelle forme familiari in cui i genitori non sono legati dal rapporto coniugale; ciò accade nelle relazioni more uxorio, ma anche nel recente fenomeno delle “coppie liquide”.

Le vicende che riguardano queste famiglie sono identiche a quelle di genitori coniugati ed in caso di interruzione del rapporto di coppia i temi al centro del conflitto sono sempre gli stessi: mantenimento ed educazione dei figli, affidamento, rapporti con ascendenti dei due rami genitoriali etc…

Il coinvolgimento dei figli nel conflitto familiare espone i minori a gravi rischi che scaturiscono non solo dall’evento separativo in sé (fenomeno che psicologi ed esperti definiscono “lutto della separazione” in quanto è ad esso assimilabile negli effetti e nella traumaticità degli eventi) quanto piuttosto dal permanere di uno stato conflittuale in famiglia.

L’esperienza delle aule giudiziarie spesso dimostra come “gli strumenti imperativi della giurisdizione” risultino inadeguati nella risoluzione dei conflitti familiari.

In letteratura sono stati individuati quattro indici di inidoneità del procedimento giurisdizionale: 1. L’inserimento della controversia familiare in contesti processuali determina che le parti vengano inserite in un sistema che risponde alla logica vincitore- perdente, che tende ad inasprire il conflitto, fomentando atteggiamenti competitivi e rivendicativi delle parti: i bisogni delle parti verranno tradotti dai legali che li rappresentano secondo una logica esclusivamente giuridica, sacrificando le motivazioni personali sottese al conflitto e dunque i sentimenti; 2. Lo strumento processuale non ha come obiettivo quello di salvaguardare i legami relazionali, anzi tende a prescindere dagli stessi, la parte soccombente non è preparata adeguatamente ad accettare la pronuncia giudiziale e tenderà a proseguire il giudizio in cerca di vittoria, alimentando il distacco ed a volte anche veri sentimenti di “odio” nei confronti della controparte, vincitrice del giudizio e causa del proprio insuccesso; 3. Il procedimento giurisdizionale non offre garanzie circa il soddisfacimento delle aspettative delle parti, a volte sacrificando soprattutto i bisogni dei soggetti fragili coinvolti nel conflitto: figli minori di età, la pronuncia definitiva in questi casi rappresenta una sconfitta per entrambe le parti; 4. Quando il conflitto familiare coinvolge i figli in relazione a questioni di affidamento e mantenimento, questi tendono a subire disparità di trattamento, in quanto il processo giurisdizionale non garantisce la piena equiparazione dei figli.

La discrezionalità giudiziaria tende a favorire la diffusione di prassi difformi nei diversi Tribunali, che possono essere compensate attraverso l’adozione di protocolli diffusi anche su base nazionale.

E’ evidente che il procedimento giurisdizionale risulti ancora strumento inadeguato alla risoluzione di conflitti familiari: da un lato favorendo atteggiamenti competitivi tra le parti, dall’altro risultando inadeguato a soddisfare bisogni ed esigenze personali della parti stesse, a danno dei legami familiari.

 

Soluzione negoziata dei conflitti: dal mediatore familiare al coordinatore genitoriale.

Strumento alternativo al processo nella composizione del conflitto familiare è quello della mediazione familiare: strumento che non si limita a definire il conflitto su un piano formale, ma costituisce una risorsa che favorisce la salvaguardia dei legami familiari.

E’ bene ricordare come la Raccomandazione n. 1639 del 2003 del Consiglio di Europa incoraggia l’accesso alla mediazione familiare definendola come “un procedimento di costruzione e gestione della vita tra i membri di una famiglia” e ne indica gli scopi: “accompagnare le parti verso una soluzione concordata, con l’obiettivo di giungere ad una soluzione accettata senza discutere in termini di colpa o responsabilità”.

Accanto al modello di mediazione familiare endoprocessuale, esiste la mediazione familiare autonoma, i cui risultati possono entrare nel processo; ciò accade quando gli accordi raggiunti vengono recepiti nei provvedimenti giudiziali.

Da tempo in alcune realtà di sono diffuse esperienze di mediazione dei conflitti che vedono coinvolti i minori e le famiglie.

Queste esperienze offrono ai genitori ed ai loro figli le opportunità di definire i loro rapporti al di fuori del circuito processuale, che segue la logica sanzionatoria della pronuncia.

Un intervento efficace è teso a consentire il recupero della funzione educativa dei genitori, ed a consentire a questi ultimi di assimilare una cultura della responsabilità e del dialogo.

Il mediatore familiare è strumento compositivo ma non è portatore di forza decisionale ed i componenti del nucleo familiare non devono avvertirlo come tale, dunque opera all’interno di un complesso programma di recupero, composto da interventi programmati che richiedono ampia collaborazione da parte dei partecipanti.

Per questa via la mediazione familiare va letta nella logica della giustizia compositiva e non precettiva, nella quale l’autonomia dei privati può diventare la fonte prevalente, ma non incontrollata, per la composizione del conflitto.

E’ chiaro che la giustizia compositiva non può essere solo un obiettivo giudiziario, ma di tutta la società, ormai divenuta endemicamente conflittuale.

Una nuova figura che merita di essere approfondita è quella del coordinatore genitoriale il cui compito è quello di riuscire a facilitare la risoluzione dei contrasti tra genitori separati o divorziati.

E’ un soggetto terzo ed imparziale che aiuta le parti ad attuare il programma di genitorialità, evitando le conseguenze dannose del conflitto sui figli, favorendo la cooperazione tra genitori ed evitando il loro continuo ricorrere all’autorità giudiziaria per comporre i contrasti.

La coordinazione genitoriale è un processo multidisciplinare di ADR che ha la finalità di rispondere adeguatamente alle esigenze derivanti dalle problematiche familiari, offrendo una guida da parte di professionisti formati sulle questioni familiari, che prediligono ed attenzionano in modo particolare l’interesse della prole.

Il coordinatore ha un ruolo attivo di supervisore e si differenzia dal ruolo del mediatore, che invero non ha potere di intervento decisionale nel conflitto, ruolo che resta in capo ai genitori.

Dunque, il mediatore si attiva nella fase di formazione degli accordi, ed il coordinatore, invece, si cura di seguire e supportare la coppia nella fase di esecuzione del programma stabilito, quale che ne sia la fonte: giudiziale o convenzionale.

A volte è il giudice che dispone l’incarico di coordinatore genitoriale durante il processo di separazione o anche in altro procedimento di affidamento della prole: il suo compito consiste nel far rispettare il piano genitoriale in tutti gli aspetti rilevanti per la prole, quali salute, istruzione, educazione e sviluppo socio-affettivo.

Tale figura ha destato molto interesse nella recente giurisprudenza di merito dei Tribunali italiani, rispettivamente nel 2016 e 2017, con pronunce che hanno introdotto il supporto del coordinatore genitoriale in casi di genitori molto litigiosi che non riuscivano a trovare un accordo sulla gestione della prole, provocando danni evolutivi ai minori.

Non mancano tuttavia pronunce di merito contrarie all’introduzione di simile figura di “esperto facilitatore”, ed infatti, un recente decreto del Tribunale di Bologna ha ritenuto non opportuna la nomina di un coordinatore genitoriale in quanto figura non prevista normativamente, che andrebbe a sovrapporsi ai servizi affidatari duplicando i centri decisionali e di fatto aumentando le possibilità di contrasti.

Il coordinatore genitoriale deve possedere le seguenti caratteristiche: 1. Conoscenza delle dinamiche giuridico-processuali e competenze in ambito familiare relative al conflitto ed alle esigenze dei minori; 2. Professionalità nell’affiancare i genitori nelle scelte che riguardano il minore in un periodo di tempo limitato; 3. Esperienza e qualificazione in ambito di coordinazione genitoriale, conoscenza delle competenze relative alla mediazione familiare ed esperienza pratica nella gestione dei conflitti familiari.

A questo punto è naturale chiedersi quale sia la sorte del coordinatore una volta concluso il procedimento della separazione, ovvero verso quale autorità giudiziaria questi possa rivolgere le attenzioni del proprio operato.

Orbene nel nostro ordinamento l’art. 337 c.c. pone a carico del Giudice Tutelare il dovere di vigilanza sull’osservanza da parte dei genitori delle modalità e condizioni stabilite dal Tribunale per l’esercizio della responsabilità genitoriale da parte di genitori separati.

E’ chiaro che il coordinatore genitoriale non potrà sovrapporsi ai poteri ed ai compiti del giudice tutelare, ma potrebbe divenire un suo particolare ausiliario, con il compito di relazionare al giudice l’andamento derivante dalla supervisione dei casi ad elevato tasso di conflittualità, con il fine di garantire una serena crescita psicofisica dei figli minori di età, in linea con il criterio del miglior interesse del minore.

E’ evidente, dunque, che questa nuova figura di “facilitatore genitoriale” rappresenti un ibrido tra quella, normativamente prevista, di ausiliario del giudice e quella di operatore esperto incaricato dai servizi sociali, il cui fine consiste nell’affiancare i genitori nelle scelte che riguardano i figli minori di età, monitorando i comportamenti di genitori che a causa dell’accesa conflittualità non riescono a tutelare il benessere psicofisico dei propri figli, correndo il rischio di causare loro gravi danni evolutivi.

Si delinea quindi una nuova figura professionale che guida e controlla l’operato di genitori altamente conflittuali, al fine di salvaguardare i soggetti più vulnerabili nelle famiglie che vivono la crisi della separazione, preservando il loro processo evolutivo affettivo-relazionale.

Strumenti preventivi delle liti per un rinnovamento della giustizia civile

La CEDU afferma che elemento fondamentale del rispetto ed esistenza della vita familiare sono la stabilità e continuità della relazione tra genitori e figli e sollecita l’Italia ad adottare misure e strumenti idonei a consentire la conservazione di tale relazione per realizzare l’interesse dei minori.

Ed allora, se l’indirizzo di diritto internazionale ed interno converge verso l’implementazione di strumenti che favoriscano la risoluzione consensuale dei conflitti; dunque è doveroso affermare che l’obiettivo da raggiungere non consiste nella mera efficienza del sistema giudiziario, essendo invero un obiettivo di civiltà, perseguibile attraverso una forma di “diritto collaborativo”, ovvero una procedura consensuale nella quale un team di legali e le parti coinvolte nella separazione tentano di raggiungere un accordo globale; la partecipazione del mediatore al setting è eventuale.

E’ chiaro che seguendo questa linea di pensiero il processo giurisdizionale rappresenta l’extrema ratio dovendo invero lasciar spazio a strumenti alternativi di composizione del conflitto: occorre dunque diffondere una cultura di gestione autonoma del conflitto, divulgando gli strumenti che il sistema offre a tal fine, quelli già esistenti nel mondo del diritto, oltre a quelli ancora non normativizzati, diffondendo anche l’utilizzo di risorse integrative, in particolare: Gruppi di parola per figli di genitori separati  e Gruppi di parola per genitori separati.

La famiglia è una struttura relazionale complessa e le sue vicende evolutive si evidenziano al momento in cui si manifesta il conflitto familiare; se gli strumenti ordinari di composizione del conflitto risultano inadeguati nella risoluzione delle controversie familiari, occorre collaborare per favorire l’implementazione di strumenti alternativi e/o complementari che siano di concreto ausilio nella composizione del conflitto, contribuendo alla formazione di “un’educazione alle relazioni affettive” che eviti di sacrificare i bisogni personali dei soggetti coinvolti nel conflitto, ed in particolare di quelli più fragili: i minori di età, salvaguardando al tempo stesso i legami affettivi e, perché no, anche i sentimenti!!!

In allegato l'articolo integrale con note.

           


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