Lavoro  -  Redazione P&D  -  29/09/2021

Green Pass sul luogo di lavoro: tutto quello che c’è da sapere (e da fare) dal 15 ottobre per effetto del nuovo decreto legge - Elena Mandarà

Il prossimo 15 ottobre entrerà in vigore il decreto legge n. 127/2021, che introduce l’obbligo di possedere ed esibire la certificazione verde Covid-19 – c.d. Green Pass –ai lavoratori del settore pubblico e privato, oltre ad introdurre misure per lo sport e le attività culturali.

Dal 15 ottobre al 31 dicembre (ossia fino alla data in cui è attualmente prevista la cessazione dello stato di emergenza) l’accesso ai luoghi di lavoro pubblici e privati sarà dunque subordinato all’esibizione di una valida certificazione verde.

L’inclusione nell’ambito di applicazione della disciplina anche dei lavoratori del settore privato esprime la volontà delle istituzioni di favorire la ripresa su tutti i fronti contemperando l’esigenza di tutela della salute pubblica con i diritti dei lavoratori tra cui quello alla protezione dei dati personali.

I destinatari del suddetto obbligo sono tutti i lavoratori, ivi compresi i soggetti che svolgono a qualsiasi titolo la propria attività lavorativa o di formazione presso i luoghi di lavoro afferenti al settore privato anche sulla base di contratti esterni. Vi sono ricompresi anche i lavoratori autonomi e i collaboratori non dipendenti. Per garantire la piena efficacia delle misure, dovrebbe propendersi per un’interpretazione estensiva della nozione di “luogo di lavoro”.

L’obbligo di verificare il possesso della certificazione grava sul datore di lavoro dei dipendenti o degli altri soggetti destinatari della disciplina. Nel caso in cui il lavoratore si rechi direttamente presso il luogo dove deve rendere la propria prestazione, gli obblighi di verifica gravano sul titolare di tale struttura. Qualora invece la prestazione preveda trasferte ultraregionali su mezzi pubblici, l’obbligo è a carico del vettore.

Nel caso di contratti di somministrazione, si ritiene sia onere del somministratore assicurarsi che il lavoratore sia in possesso dei requisiti richiesti dalla legge. La mancanza di tali requisiti darebbe luogo all’insorgere di responsabilità contrattuale in capo al somministratore. L’utilizzatore, dal canto suo, avrà comunque l’onere di verificare il possesso e l’esibizione del green pass da parte del lavoratore.

Rimangono esclusi dall’applicazione della disciplina tutti i soggetti esenti dalla campagna vaccinale e che siano in possesso della relativa certificazione medica, rilasciata secondo i criteri stabiliti dal Ministero della Salute.

Cosa viene richiesto ai datori di lavoro? Entro il 15 ottobre, questi dovranno definire le modalità operative per l’organizzazione delle verifiche, che potranno essere inserite nel Protocollo ed essere svolte a campione. In quest’ultima ipotesi, al fine di evitare che i soggetti sottoposti a controllo siano selezionati in maniera discrezionale, sarebbe auspicabile l’applicazione di un sistema di verifica “causale”, sulla falsariga di quanto previsto dall’art. 6 dello Statuto dei Lavoratori con riferimento ai controlli sui lavoratori all’uscita del luogo di lavoro.

 La norma prevede che, in via prioritaria, i controlli debbano essere effettuati al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro, lasciando intendere che le verifiche svolte in un momento successivo siano comunque legittime e conformi alla disciplina. Questa ipotesi ha fatto discutere, dal momento che sembra collidere con lo scopo ultimo dell’introduzione di queste nuove misure, ossia quello di limitare la diffusione dei contagi all’interno dei luoghi di lavoro. Si auspica, dunque, un’applicazione razionale della norma da parte dei datori di lavoro, al fine di garantirne la piena efficacia. 

I soggetti a cui spetta il compito di svolgere le verifiche devono essere individuati con atto formale di nomina. Nel caso di lavoro a turni, è ragionevole che il compito sia affidato ai responsabili dei controlli i soggetti che svolgono attività di vigilanza.

La verifica del Green Pass dovrà essere effettuata obbligatoriamente scansionando il QR Code che vi è apposto, mediante l’app “VerficaC19” e si limiterà solo al controllo dell’autenticità, integrità e validità della certificazione, secondo quanto già disposto dal DPCM del 17 giugno 2021. Non è in alcun modo ammessa la raccolta di dati personali del lavoratore.

I lavoratori che comunichino di non essere in possesso della certificazione o ne risultino privi al momento dei controlli, saranno considerati assenti ingiustificati fino alla presentazione della stessa (e comunque non oltre il 31 dicembre). Per tutto il periodo di assenza ingiustificata è disposta la sospensione della retribuzione e di ogni altro compenso o emolumento.

Il mancato possesso o la mancata esibizione della certificazione non danno comunque luogo a conseguenze disciplinari e i lavoratori mantengono il diritto alla conservazione del rapporto di lavoro. La sospensione del rapporto di lavoro è possibile solo nel caso di imprese che impieghino meno di 15 dipendenti e dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata. La sospensione potrà però essere disposta per un periodo pari a quello del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione, comunque non superiore ai dieci giorni, rinnovabile una sola volta e non oltre il termine del 31 dicembre 2021.

I lavoratori che accedono ai luoghi di lavoro in violazione degli obblighi sanciti dalla nuova disciplina, sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria, pari ad un importo variabile fra i 600 e i 1500 euro, e sono passibili di sanzioni disciplinari secondo il proprio ordinamento di settore.

Anche per i datori di lavoro che non adempiono agli obblighi di controllo a cui sono soggetti è prevista l’irrogazione di una sanzione amministrativa pecuniaria, per un valore compreso fra i 400 e i 1000 euro.

Nulla è previsto invece nel caso di rifiuto del lavoratore di esibire il Green Pass. Può ragionevolmente ritenersi che la procedura da adottare in queste ipotesi sia stabilita dal datore di lavoro, nell’ambito della definizione delle procedure organizzative che è chiamato a disporre ai sensi della disciplina in esame.

Fra le questioni più discusse, anche a livello mediatico, vi è quella relativa ai test antigienici rapidi, che possono essere eseguiti presso tutte le strutture convenzionate, ad un prezzo calmierato. 

La certificazione può infatti essere ottenuta, oltre che a seguito della somministrazione del vaccino, anche mediante attestazione di avvenuta guarigione da Covid-19 o a seguito di risultato negativo al cosiddetto “tampone rapido”, anche se in quest’ultimo caso la validità della certificazione è limitata alle 48h successive.

Il dibattito si è incentrato sull’individuazione del soggetto che avrebbe dovuto provvedere al pagamento del tampone effettuato al fine di ottenere la certificazione, in adempimento all’obbligo di esibizione sul luogo di lavoro. 

Nonostante fosse stata avanzata da parte dei sindacati la proposta di garantire tamponi gratuiti ai lavoratori soggetti alla presente disciplina o di far gravare il relativo onere sul datore di lavoro, il decreto stabilisce che siano i lavoratori a dover provvedere alle spese previste per l’esecuzione del tampone. Rimangono valide in ogni caso le disposizioni relative ai prezzi calmierati, che dovranno essere osservate dalle strutture convenzionate ed autorizzate ad effettuare i test, ivi comprese le farmacie. Altro tema caldo per l’opinione pubblica è quello della privacy. In questi mesi il Garante si è espresso più volte sui diversi provvedimenti emanati dal governo per regolamentare l’uso del Green Pass, e anche l’applicazione della nuova disciplina non potrà prescindere dal rispetto delle norme sulla privacy. Si è già detto che nel corso delle attività di verifica del Green Pass non è ammessa la raccolta di dati personali dei dipendenti.

Questo però non esclude che abbia comunque luogo un trattamento di dati personali che, secondo le definizioni fornite sia dal GDPR che dal c.d. Codice Privacy, include qualsiasi operazione compiuta sui dati personali, compresa la semplice visualizzazione degli stessi.

Il trattamento – limitato alla sola consultazione delle informazioni rilevanti - avrà ad oggetto, oltre che i dati concernenti la validità, l’integrità e l’autenticità della certificazione, soltanto le generalità del dipendente e il mancato eventuale possesso del green pass. Non potrà dunque essere acquisita la certificazione, né informazioni relative alla tipologia e alla scadenza della stessa. Nel caso in cui i controlli sul Green Pass siano collegati o integrati ai sistemi di rilevazione delle presenze, si dovrà garantire che le informazioni ulteriori non siano in alcun modo conservate. 

Inoltre, l’atto formale di nomina con cui devono essere individuati i soggetti responsabili delle attività di verifica dovrà essere disposto si sensi degli artt. 2 quaterdecies del Codice Privacy e dell’art. 29 del GDPR, riportando tutte le informazioni utili a fini del controllo della certificazione.

Nel caso in cui l’attività di verifica sia affidata ad una società esterna, questa dovrà essere nominata responsabile del trattamento ai sensi dell’art. 28 GDPR.

Il titolare del trattamento ha l’onere di fornire ai dipendenti idonea informativa sul trattamento dei dati, la cui base giuridica è da ravvisarsi nell’adempimento ad un obbligo di legge. L’informativa dovrà specificare che i dati non saranno conservati, se non limitatamente ai dati strettamente necessari all’applicazione delle misure previste in caso di mancato rispetto degli obblighi, come specificato dal Garante.

Infine, il titolare dovrà altresì provvedere all’aggiornamento del Registro dei trattamenti, mediante l’inserimento di un’apposita scheda relativa alla verifica del Green Pass. In ossequio al divieto di conservazione dei dati, tuttavia, non potranno essere annotate sul registro informazioni specifiche sui dipendenti.




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