-  Musumarra Lina  -  19/12/2008

I DIRITTI DELLE ATLETE NELLO SPORT - Lina MUSUMARRA



Il Coni non ha mai emanato le direttive in parola, ma solo nel 2007, con i nuovi <<Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate e delle Associazioni benemerite>> (approvati con deliberazione n. 1352 del C.N. Coni del 28 febbraio 2007), nell’art. 24, intitolato <<Attività professionistica e non professionistica>>, ha statuito che <<in considerazione delle specifiche esigenze delle singole discipline afferenti alle Federazioni e alle Discipline Sportive Associate, anche connesse alle normative delle Federazioni internazionali, i criteri per la distinzione tra attività professionistica e non professionistica sono rimessi alla autonomia statutaria nel rispetto dei principi posti dalla legge 23/3/1981, n. 91 e successive modificazioni”. Nel successivo art. 25, denominato <<Istituzione di settori professionistici>>, ha previsto che l’istituzione di tali settori da parte di una Federazione sportiva <<è possibile, mediante specifica previsione statutaria, in presenza di una notevole rilevanza economica del fenomeno e a condizione che l’attività in questione sia ammessa dalla rispettiva Federazione internazionale>>. 

Ad oggi sono soltanto 6 le discipline sportive qualificate come professionistiche, ovvero calcio, pallacanestro, golf, pugilato, motociclismo, ciclismo, e nessuna prevede un settore professionistico per le atlete. Queste, pertanto, pur svolgendo, di fatto, un’attività sportiva con carattere di continuatività e remunerata, secondo appunto i requisiti di cui all’art. 2 della L. n. 91/1981, possono però essere considerate solo come dilettanti (rectius, non professioniste), private, quindi delle tutele previste dalla stessa legge, provocando nell’82% delle atlete intervistate un senso di reale discriminazione (cfr., altresì, L. Musumarra, Il rapporto di lavoro sportivo, in AA.VV., Diritto dello Sport, Le Monnier Università – Mondadori Education, 2008; Enrico Crocetti Bernardi, Lo sport tra lavoro e passatempo, in AA.VV., Il rapporto di lavoro dello sportivo (a cura di L. Musumarra e E. Crocetti Bernardi), Experta edizioni, 2007). 

Il ruolo sociale dello sport nelle politiche comunitarie e nell’ordinamento sportivo italiano: il diritto alla parità di genere e alla non discriminazione
Sulla base delle premesse svolte, occorre richiamare, più in generale, gli interventi che la Commissione e il Parlamento europeo hanno promosso in questi anni nell’ambito specifico dei diritti delle donne e, in particolare, delle atlete, nello sport.
Partendo dal <<Libro Bianco sullo Sport>> (in www.rdes.it), presentato dalla Commissione europea nel luglio del 2007 - quale importante iniziativa che segna la prima volta in cui tale organismo si occupa in modo così ampio delle questioni legate allo sport – nel paragrafo 2.5 si afferma espressamente che <<nel quadro della sua Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010, la Commissione incoraggerà l’integrazione delle questioni di genere in tutte le sue attività relative allo sport, con un interesse specifico per l’accesso allo sport da parte delle donne immigrate e delle donne appartenenti a minoranze etniche, nonché per l’accesso delle donne alle posizioni decisionali nello sport e la copertura mediatica delle donne nello sport>>(per tali ultimi due profili, per quanto concerne l’Italia, si rinvia ai dati raccolti nel documento <<Donne e Sport>>, Torino, 24 gennaio 2007, nell’ambito dell’iniziativa promossa dalla Consigliera di parità e dalla Provincia di Torino, da cui risulta che lo sport femminile <<resta povero: - in termini di immagine, comunicazione e spazi radio-televisivi; - in termini di spettacolo, sponsor e risorse; - in termini di tutele economiche e previdenziali; - in termini di garanzie e riconoscimenti>>).
Nel successivo paragrafo 4.1 del Libro Bianco sullo Sport, dedicato alla specificità dello sport, la Commissione afferma che <<’attività sportiva è soggetta all’applicazione del diritto dell’U.E.>>. In particolare, lo sport è soggetto ad aspetti importanti del diritto dell’Unione europea, come <<il divieto di discriminazione in base alla nazionalità, le norme relative alla cittadinanza dell’Unione e la parità uomo-donna per quanto riguarda il lavoro>>. 

Il Parlamento europeo, nella Risoluzione sul Libro Bianco sullo Sport, adottata l’8 maggio 2008 (cfr. HYPERLINK "http://www.rdes.it" www.rdes.it), evidenzia, preliminarmente, che <<lo sport deve svolgere un particolare ruolo nella società quale strumento di inclusione e integrazione sociale>>; che <<a norma dell’art. 149 del Trattato Ce quale modificato dal Trattato di Lisbona, l’azione dell’Unione europea è intesa a sviluppare la dimensione europea dello sport>>; e che, <<nonostante taluni progressi conseguiti nel settore dell’uguaglianza di genere a livello europeo, continuano a persistere ineguaglianze tra uomini e donne nello sport>>.
Sulla base di tali premesse, il Parlamento europeo segnala, pertanto, che <<l’aspetto di genere non è adeguatamente tenuto in considerazione, soprattutto per quanto riguarda la parità di retribuzione per lavoro di pari valore e il fatto che le atlete guadagnino meno dei loro omologhi maschili>>; invita, altresì, <<gli Stati membri a valorizzare di più i successi conseguiti dalle donne nelle discipline sportive, prevedendo fin dall’inizio un riconoscimento di tipo economico e introducendo disposizioni legali onde impedire che siano realizzate competizioni sportive che assegnino alle donne premi monetari o di altro tipo a livello inferiore>>. 

Sotto tale profilo si ricorda che nell’ordinamento sportivo italiano esistono numerose discriminazioni, prevedendosi premi <<ridotti>>, anche del 50%, per i campionati femminili, rispetto a quelli maschili, a livello nazionale, europeo e mondiale, nell’ambito della stessa specialità. Tale riduzione vale anche per le borse di studio e gli investimenti da parte degli sponsor (sul punto si richiama la recente indagine effettuata da SWG sul tema <<Le donne, lo sport e le sportive>>, promossa dalla Regione Lazio, Assessorato alla Cultura, Spettacolo e Sport, Roma, 25 novembre 2008).
Il documento prosegue sollecitando <<gli Stati membri a promuovere una copertura mediatica delle attività sportive femminili per consentire la proposta di personalità di riferimento femminili e il superamento di stereotipi di genere, nonché ad offrire opportunità di carriera alle donne in settori legati al mondo dello sport, anche in funzioni decisionali>>.
Tali raccomandazioni erano state già enunciate e ampiamente sviluppate nella precedente Risoluzione del Parlamento europeo, risalente al 2003 e dedicata al tema <<Donne e Sport>>.
In particolare, in questo documento si sottolinea che <<l’obiettivo della parità di opportunità tende a sopprimere le barriere tra sport detto ‘maschile’ e sport detto ‘femminile’”, favorendo “un’apertura effettiva delle discipline sportive ai due sessi e permettere a ogni ragazza e a ogni ragazzo di esercitare l’attività fisica di sua scelta>>, promuovendo, altresì, <<l’integrazione delle donne portatrici di handicap nello sport>>, in quanto la partecipazione alle attività sportive delle disabili è inferiore a quella dei disabili (si ricorda che anche nella Risoluzione del Parlamento europeo del 13 novembre 2007, sul <<Ruolo dello sport nell’educazione>>, si è ribadita l’esigenza, per gli Stati membri, di <<incrementare la partecipazione delle ragazze alle attività sportive>>, monitorandone e valutandone l’efficacia <<attraverso la prospettiva di genere in bilancio>> (cd. Gender budgeting) e la <<valutazione dell’impatto di genere>>). 

Per quanto concerne il rafforzamento della partecipazione delle donne negli ambiti decisionali, il Parlamento europeo osserva che tale partecipazione <<si scontra con gli stessi ostacoli esistenti nei settori politici o economici e quindi esige il ricorso ad azioni positive>>, chiedendo, in tal senso, agli Stati membri di <<condizionare la propria autorizzazione e il sovvenzionamento delle associazioni e delle autorità sportive a disposizioni statutarie che garantiscano una rappresentanza equilibrata delle donne e degli uomini a tutti i livelli e per tutte le cariche decisionali>>. 

Per quanto concerne la salute delle atlete, il Parlamento europeo ricorda il <<diritto inalienabile delle sportive in materia di sessualità e di riproduzione>> e chiede che <<sia punito ogni atto lesivo di tali libertà>>. Sotto tale profilo, si deve ricordare come nell’ordinamento sportivo italiano soltanto di recente si è pervenuto al riconoscimento della tutela sportiva delle atlete in maternità. Il Coni, nei Principi Fondamentali degli Statuti federali, sopra richiamati e risalenti al febbraio 2007, all’art. 29 ha previsto, infatti, che <<gli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate devono garantire la tutela della posizione sportiva delle atlete madri in attività per tutto il periodo della maternità fino al loro rientro all’attività agonistica. Le atlete in maternità che esercitano, anche in modo non esclusivo, attività sportiva dilettantistica anche a fronte di rimborsi o indennità corrisposti ai sensi della vigente normativa, hanno diritto al mantenimento del rapporto con la società sportiva di appartenenza nonché alla salvaguardia del merito sportivo acquisito, con la conservazione del punteggio maturato nelle classifiche federali, compatibilmente con le relative disposizioni di carattere internazionale e con la specificità della disciplina sportiva praticata>>. Occorre rilevare che tale norma ha carattere precettivo ed è quindi immediatamente operativa, non potendo quindi essere disattesa anche in mancanza del suo recepimento negli statuti delle Federazioni sportive e delle Discipline sportive associate. 
Una particolare attenzione deve essere prestata alla salute, fisica e psichica, delle adolescenti che partecipano a competizioni di alto livello, <<valutando con estrema cura gli effetti che determinati impegni possono avere sulla salute sessuale e riproduttiva delle adolescenti e sul loro sviluppo fisico e mentale onde garantire che, in nessun caso, producano effetti contrari all’importante ruolo educativo dello sport>> (cfr., Risoluzione del Parlamento europeo del 13 novembre 2007, sopra citata).





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