-  Ziviz Patrizia  -  30/10/2013

I (PRESUNTI) PECCATI DEL DANNO ESISTENZIALE - Patrizia ZIVIZ

A distanza di un lustro da quelle pronunce delle Sezioni unite destinate, secondo la lettura formulata da molti interpreti, a far rintoccare le campane a morto per la categoria del danno esistenziale, tale figura mantiene un ruolo centrale in ambito giurisprudenziale. La stessa corte di legittimità continua a pronunciarsi sul punto, schierandosi ora a favore ora contro tale voce di pregiudizio. E" interessante, allora, analizzare quali siano – sul fronte negativo – i peccati che vengono imputati al danno esistenziale, onde verificare se le critiche messe in campo appaiano effettivamente fondate.

 

Volendo confinare la nostra analisi alle sentenze più recenti, vediamo quali sono state le argomentazioni messe in campo dalla S.C. per respingere le richieste risarcitorie rivolte ad ottenere il ristoro di una voce di pregiudizio qualificata nei termini di danno esistenziale.

In un caso di lesione alla salute del familiare, i giudici di legittimità (Cass. 24 maggio 2013, n. 12985) respingono la richiesta di ristoro del danno esistenziale, richiamando l"orientamento delle SS.UU. del 2008, "le quali hanno statuito che non è ammissibile nel nostro ordinamento l'autonoma categoria di "danno esistenziale", inteso quale pregiudizio alle attività non remunerative della persona, atteso che: ove in essa si ricomprendano i pregiudizi scaturenti dalla lesione di interessi della persona di rango costituzionale, ovvero derivanti da fatti-reato, essi sono già risarcibili ai sensi dell'art. 2059 cod. civ., interpretato in modo conforme a Costituzione, con la conseguenza che la liquidazione di una ulteriore posta di danno comporterebbe una duplicazione risarcitoria; ove nel "danno esistenziale" si intendesse includere pregiudizi non lesivi di diritti inviolabili della persona, tale categoria sarebbe del tutto illegittima, posto che simili pregiudizi sono irrisarcibili, in virtù del divieto di cui all'art. 2059 cod. civ. (Sez. Un. n. 26972/08)".

Ripropone esattamente le medesime affermazioni una successiva sentenza, relativa alla richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale da parte di un consumatore, che aveva incontrato gravi difficoltà a far valere la garanzia in relazione ai vizi del proprio autoveicolo; la S.C. (Cass. 21 giugno 2013, n. 15707) aggiunge, inoltre, la considerazione che "il danno biologico, conseguente alla lesione del diritto alla salute garantito dall'art. 32 Cost., è ontologicamente diverso dal danno derivante dalla lesione di un diverso diritto costituzionalmente protetto, non potendo, quindi, essere risarcito come danno biologico il danno, cosiddetto esistenziale, che si affermi essere derivato da "stress psicologico da timore", per la compromissione della serenità e sicurezza del soggetto interessato, giacché detto stress è soltanto una conseguenza della lesione di un possibile interesse protetto il quale necessita di una previa individuazione, affinché possa venire poi in considerazione il pregiudizio che, in ipotesi, sia derivato dalla lesione dello stesso, con la precisazione, altresì, che la serenità e la sicurezza, di per sé considerate, non costituiscono diritti fondamentali di rango costituzionale inerenti alla persona, la cui lesione consente il ricorso alla tutela risarcitoria del danno non patrimoniale (cfr. Cass. 3284 del 2008)".

Da tali considerazioni emerge un"idea fondamentalmente errata quanto al ruolo che è destinato a svolgere il danno esistenziale: voce attraverso la quale si intende descrivere una componente dell"area non patrimoniale del danno – quella riguardante la compromissione delle attività realizzatrici della persona – con lo scopo di illuminare in maniera completa la modificazione negativa subita, a seguito dell"illecito, dall"universo della vittima. Si tratta di ripercussioni negative che si manifestano sul piano della realtà concreta, e che come tali vanno ricondotte a tale figura descrittiva. Quanto alla risarcibilità delle stesse, nessuno ha mai perorato alcun automatismo sul punto; bisogna, infatti, dare applicazione all"art. 2059 c.c. – oramai destinato a comprendere tutte le voci non patrimoniali del pregiudizio. Emerge, dunque, in maniera ben evidente che il danno esistenziale non rappresenta affatto una voce "ulteriore", che va ad aggiungersi al danno non patrimoniale; bensì esso ricade all"interno di tale nozione, descrivendone una componente ben precisa. Del pari, trattandosi di una figura "descrittiva", non ha alcun senso tacciare la stessa di illegittimità; più semplicemente, si tratta di constatare che, in applicazione della regola dell"art. 2059 c.c., si evidenzieranno danni esistenziali risarcibili e danni non risarcibili, così come accade per le altre voci non patrimoniali. La portata selettiva di quest"ultima disciplina dipende esclusivamente dalle modalità attraverso le quali si fa luogo ad una lettura costituzionalmente orientata della norma: problema, questo, del tutto autonomo ed indipendente rispetto a quello riguardante la scomposizione della nozione di danno non patrimoniale in una serie di componenti descrittive – tra la quali il danno esistenziale – atte a meglio rappresentare la modificazione negativa avvenuta nella sfera personale della vittima a seguito del torto (che nel caso di specie andava confinato entro il perimetro della responsabilità da inadempimento, senza dover scomodare la rilevanza costituzionale della serenità e sicurezza della persona: beni ben distanti dall"essere intaccati da un banale caso di mancata prestazione di una garanzia contrattuale) .

Veniamo, così, alle obiezioni che la Cassazione ha messo in campo – in un altro caso di gravi lesioni alla salute del congiunto – per respingere la domanda di specifico ristoro del danno esistenziale da parte dei familiari (Cass. 23 settembre 2013, n. 21716): a tal fine viene evocata la conferma dei " principi enunciati da questa Corte a sezioni unite, con sentenza 11 novembre 2008 n. 26972, secondo cui non è ammissibile nel nostro ordinamento l'autonoma categoria del "danno esistenziale" né è consentito procedere ad autonoma liquidazione delle suddette conseguenze pregiudizievoli, ma dei danni inclusi nell'ambito di tale categoria va tenuto conto nel determinare l'unica somma destinata a risarcire tutti i pregiudizi di carattere non patrimoniale concretamente patiti dalla vittima, tramite adeguata personalizzazione della somma complessivamente dovuta in risarcimento, rispetto a quella che risulterebbe dalla mera applicazione delle tabelle di liquidazione dei danni biologici e morali.
Resta quindi preclusa l'ammissibilità - all'interno dell'unica fattispecie risarcibile "danno non patrimoniale", di cui all'art. 2059 cod. civ. - del separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno esistenziale, ecc.), con l'effetto di incorrere in duplicazioni risarcitorie, fermo restando l'obbligo del giudice di tenere conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi del danno non patrimoniale nel singolo caso, tramite l'incremento della somma dovuta a titolo risarcitorio in sede di c.d. personalizzazione della liquidazione".

Da tali considerazioni emerge, dunque, il riconoscimento – da parte dei giudici di legittimità - che la ricorrenza di un pregiudizio di carattere esistenziale può ben constatarsi nella realtà dei fatti e che di tale circostanza dovrà tenersi conto ai fini della liquidazione. La critica, in questo caso, viene mossa esclusivamente alla possibilità di procedere ad una valutazione separata delle varie voci risarcitorie, prospettandosi la necessità di procedere comunque ad una liquidazione unitaria, quale strumento essenziale per evitare possibili duplicazioni. La componente esistenziale, dunque, viene fatta rifluire all"interno della generica nozione di danno non patrimoniale, senza distinzioni di sorta. Il fatto è che proprio un meccanismo del genere rende poco trasparente il processo liquidativo: se non è chiaro quale sia il peso risarcitorio attribuito a ciascuna delle componenti dell"area non patrimoniale, non è possibile accertare se sia stato o meno rispettato il principio di integrale risarcimento: che le stesse SS.UU. proclamano rappresentare il cardine su cui fondare il ristoro del danno non patrimoniale complessivamente inteso. E" proprio in un"ottica favorevole a tener distinte le diverse componenti del pregiudizio che vanno – allora – accolte le conclusioni della sentenza della S.C (Cass. 28 giugno 2013, n. 16413): la quale ha respinto le istanze di chi intendeva far valere la ricorrenza di una duplicazione, a fronte del ristoro del danno esistenziale in presenza di un caso di demansionamento. I giudici di legittimità osservano che "non si riscontra alcuna duplicazione laddove le voci risarcitorie hanno distintamente riguardato (come si rileva dalla confermata sentenza di primo grado il cui testo è stato riprodotto in sede di controricorso) il danno biologico (inteso come mera lesione della integrità psicofisica), il danno morale (inteso come sofferenza interiore temporanea causata dalla commissione di un fatto illecito), il danno esistenziale (inteso come umiliazione delle capacità ed attitudini lavorative con pregiudizio all'immagine del dipendente sul luogo di lavoro).
Si ricorda, sul punto, che in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato, rileva non il nome assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall'attore (biologico, morale, esistenziale) ma unicamente il concreto pregiudizio preso in esame dal giudice. Si ha pertanto duplicazione di risarcimento solo quando il medesimo pregiudizio sia stato liquidato due volte, sebbene con l'uso di nomi diversi (cfr. in tal senso Cass. n. 10527/2011, v, anche Cass. n. 15414/2011 cfr., in materia di danno subito dal lavoratore, anche Cass. n. 9238/2010, n. 23053/2009 nonché la più recente Cass. 20 novembre 2012 n. 20292 secondo cui il danno biologico - cioè la lesione della salute -, quello morale - cioè la sofferenza interiore - e quello dinamico - relazionale - altrimenti definibile esistenziale, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l'illecito abbia violato diritti fondamentali della persona -costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; né tale conclusione contrasta col principio di unitarietà del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della Corte di cassazione, giacché quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione atomistica dei suoi effetti)".

Profili di ambiguità nella gestione della figura del danno esistenziale emergono – peraltro - anche presso le sentenza favorevoli alla categoria. In un ennesimo caso di lesione del rapporto parentale, la S.C. (Cass. 22 agosto 2013, n. 19402) afferma che "il danno biologico, il danno morale ed il, danno alla vita di relazione rispondono - per così dire - a prospettive diverse di valutazione del medesimo evento lesivo. In altre parole, un determinato evento può causare, nella persona stessa della vittima come in quelle dei familiari, un danno alla salute medicalmente accertabile, un dolore interiore ed un'alterazione della vita quotidiana; si tratta, all'evidenza, di situazioni diverse ma pure tra loro collegate. Ciò non significa - come si potrebbe essere portati a pensare ragionando in astratto - che il giudice di merito sia tenuto per ciò solo, in via automatica, alla liquidazione di tutte queste singole poste di danno, con un effetto di sommatoria che rischia di riproporre i problemi di duplicazione che la sentenza delle Sezioni Unite ha inteso superare definitivamente; per il danno biologico, ad esempio, deve essere dimostrata la sussistenza di una lesione rilevante da un punto di vista medico (provando che, in conseguenza della morte di un familiare, anche la persona sopravvissuta ha contratto una qualche malattia legata da nesso di causalità con il lutto subito). Il giudice di merito, invece, dovrà dare conto - in rapporto alla domanda giudiziale davanti a lui proposta ed alla luce delle prove raccolte - di aver tenuto presente i diversi aspetti della fattispecie dannosa, evitando duplicazioni ma anche "vuoti" risarcitori". In particolare, ai fini della liquidazione del danno esistenziale, "il giudice di rinvio non sarà chiamato - alla luce dei precedenti di questa Corte - a verificare la sussistenza di semplici mutamenti delle abitudini e delle condizioni di vita, che sono da ritenere impliciti in presenza di un evento come la morte di un figlio ventenne; bensì dovrà accertare, con onere della prova a carico dei richiedenti, se in conseguenza del fatto si siano determinati autentici sconvolgimenti nella vita dei familiari superstiti, tali da comportare scelte radicalmente diverse. Soltanto in presenza di una simile eventualità potrà trovare giustificazione il riconoscimento di una ulteriore e diversa posta risarcitoria".

Sembra, allora, emergere qui l"idea che di danno esistenziale possa parlarsi esclusivamente laddove si manifestino quelli che vengono definiti quali "autentici sconvolgimenti dell"esistenza", mettendo in campo – all"interno di un fenomeno generale identificato nei termini di modificazione peggiorativa della sfera di esplicazione personale della vittima – una soglia, ritenuta indispensabile affinché si possa parlare di danno esistenziale. Anche qui il discorso non appare formulato in maniera corretta: un conto è descrivere un determinato fenomeno (corrispondente alle compromissioni delle attività realizzatrici della persona), altro è chiedersi se lo stesso sia rilevante ai fini risarcitori. Di danno esistenziale, dunque, possiamo tranquillamente parlare a fronte di alcune giornate di vacanza rovinata a seguito dell"inadempimento del tour operator: il quale si presterà ad essere risarcito senza che debba essere messo in campo alcun radicale sconvolgimento di vita in capo alla vittima. Tanto più, dunque, un pregiudizio del genere dovrà trovare riscontro laddove l"illecito abbia privato il familiare del rapporto con il congiunto, determinando una serie di ripercussioni esistenziali negative correlate al venir meno della comunanza di vita.

Infine, si tratta di ricordare il peccato che più di frequente viene imputato al danno esistenziale: il quale viene rammentato da una recente pronuncia, schierata a favore della categoria. Si tratta di un caso di gravi lesioni alla salute subite da un lavoratore a seguito di un infortunio, a fronte del quale quest"ultimo lamenta l"omessa considerazione del danno morale, nonché del complesso di compromissioni determinate dall"illecito nell"esplicazione della propria personalità. Nel riproporre, a fronte di tale richiesta, i principi in precedenza affermati da Cass. 20292/2012, la S.C. (Cass. 3 ottobre 2013, n. 22585) sottolinea la necessità di tender conto "tanto dell"aspetto interiore del danno (la sofferenza morale) quanto del suo impatto modificativo in pejus con la vita quotidiana (il danno esistenziale)": rilevando, con riguardo a quest"ultimo, come sia lecito ipotizzare "che la categoria del danno esistenziale risulti "indefinita e atipica". Ma ciò è la probabile conseguenza dell"essere la stessa dimensione della sofferenza umana, a sua volta, "indefinita e atipica" ". Emerge, qui, un malinteso alquanto diffuso: vale a dire che il danno esistenziale possa essere considerato quale figura indeterminata per il fatto che lo stesso appare ricollegabile ad una serie variegata di illeciti. Anzi tutto si tratta di constatare che una caratteristica del genere è propria di tutte le voci di danno, compreso il danno patrimoniale (con l"unica eccezione del danno biologico, in vista del fatto che lo stesso comprende quel pregiudizio che corrisponde alla menomazione dell"integrità fisica e psichica, e come tale si ricollega necessariamente al torto lesivo della salute). Ciò posto, si tratta di ribadire che la figura individua una serie di ripercussioni negative tutt"altro che indeterminate: vale a dire le compromissioni delle attività realizzatrici della persona. Laddove un pregiudizio del genere venga in essere sul piano dei fatti, si porrà il problema della relativa risarcibilità; ed è – semmai – su quest"ultimo piano che si manifesta un"indeterminatezza, dal momento che a tutt"oggi risulta discussa la portata dell"ampliamento interpretativo cui è stato sottoposto l"art. 2059 c.c. Si tratta, d"altro canto, di una discussione che non coinvolge il solo danno esistenziale, ma investe l"area non patrimoniale del pregiudizio vista nel suo complesso.




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