-  Costanzo Sara  -  29/11/2012

I VOLTI DEL DISAGIO-Sara COSTANZO

Mi sono spesso chiesta quali sono i volti del disagio psichico e dunque, di converso, ciò che è riteniamo parte essenziale della salute mentale...E, sempre, sempre, ho ritrovato in questa esperienza una possibilità enorme...

Il disagio psichico comporta innanzi tutto una parte di "sofferenza" strettamente legata ai sintomi. Questo aspetto del disagio tocca sostanzialmente due ambiti: uno legato al "sentire" : angoscia, ansia, dolore, inquietudine, solo per citarne qualcuno; un altro dipendente dalle ricadute "pratiche" di tale condizione: il disagio psichico impone determinati comportamenti, un certo stile di vita, particolari abitudini. A seconda della tipologia e gravità esso incide dunque sulle capacità e possibilità lavorative, affettive, di svago e su quella parte della vita che è speranza, fiducia, attesa. In sintesi, l' aspetto sintomatologico, oltre ad essere "voce" di disagi collocati altrove nella psiche , nelle relazioni, nella vita del paziente, non resta mai un dato isolabile da tutto il resto: esso impone un particolare modo di sentire, di essere e di vivere che il paziente avverte (almeno nel momento in cui il sintomo gli appare come tale) non rispondente a se stesso, alle proprie esigenze, ai propri desideri e talenti. Ciò che dunque caratterizza la salute mentale è innanzi tutto un adeguato compromesso coi i propri aspetti sintomatologici. Non ho usato il termine assenza per una mia profonda convinzione: e cioè che il sintomo resti sempre una "traccia" all'interno della vita del paziente. Con questo termine non intendo tanto rifermi ad un aspetto (pressoché accettato) che la sintomatologia resti uno "stato" sempre latente anche laddove esso scompare del tutto: una evenienza cioè che in momenti particolari potrebbe ritornare, seppur in forma e intensità completamente diverse. Ciò a cui mi riferisco a che fare invece con un aspetto del sintomo maggiormente legato al nostro destino, alla strada che esso ci costringe a compiere e alla libertà di scegliere ch è parte essa stessa del disegno.

Ciò che definiamo malattia mentale è nella realtà un ventaglio di possibilità pressoché enorme: per gravità, tipologia, condizioni ambientali che favoriscono ostacolano la guarigione, personalità e possibilità cognitive o emozionali, occasioni più o meno casuali e un insieme di fattori "misteriosi" che danno alla nostra storia un senso anziché un altro. D'altro canto il sintomo non è mai solo il sintomo ma una parte di un vissuto molto più ampio. Ci sono casi in cui la remissione sintomatologica è solo parziale e frutto di sintomi ulteriori . Ne sono un esempio i disturbi dell'umore in cui spesso la remissione degli stati depressivi o maniacali comporta la forzata convivenza con gli effetti collaterali dei farmaci o un costante compromesso con quella parte di se stessi che desidera non curarsi e che non vede il suo stato psichico come un problema. Qui il sintomo (e la sua gestione, compresa la convivenza con possibilità i ricadute che i farmaci non possono evitare tout court ) è talmente parte della vita del paziente che è molto difficile stabilire una linea di confine tra i due: molte delle sue esperienze- in varia misura ovviamente- sono state determinate dal disagio cosi che esso è diventato non solo espressine di problematiche altre (ogni sintomo, anche quelli che si considerano genetici sono sempre anche espressione di fattori altri, siano essi rintracciabili al'interno della psiche del paziente o nel suo mondo relazionale) ma parte stessa del suo modo di essere, punto di arrivo di una certa storia e di partenza per un'altra si spera diversa. Caso analogo può essere quello della dipendenza da alcol o altra sostanza o comportamento: qui la guarigione è frutto di un compromesso costate tra la accettazione del problema e dunque uno stile di vita che escluda il contatto con l'oggetto di abuso e la consapevolezza che esso rappresenta non solo il limite ma anche ciò che più di ogni cosa può riportarlo a se stesso. anche in questo caso il sintomo è molto più che un comportamento disturbato o espressione di problematiche altre: esso è occasione di grandi trasformazioni nella prospettiva di vita del paziente, porta di accesso ad una guarigione che coinvolge le sue stesse convinzioni riguardo all'uomo, alle sue priorità, alla vita in genere. Non a caso i gruppi anonimi nascono in questo ambito e a tutt'oggi rappresentano una realtà importante nel settore. Non solo in quanto possibilità di cura ma anche (e io direi soprattutto) come stile di cambiamento da favorire per la guarigione.

Ovviamente i casi clinici sono tanti e molto differenti a seconda di tutti quei fattori sopra delineati che rendono ogni storia di disagio e di guarigione unica. In sintesi, quando parlo di miglior compromesso possibile intendo riferirmi alla tipologia di contatto che riusciamo a stabilire con quella parte di storia , di noi stessi, delle nostre convinzioni e aspettative che il sintomo ha veicolato, promosso, organizzato. Tale modalità, può avere forme diverse e comportare trasformazioni più o meno radicali ma in ogni caso presenti, tangibili, e con una caratteristica che vedremo meglio successivamente: la sensazione e al tempo stesso la possibilità di sentirci vicini alla nostra essenza e originalità più "vere".

 

Seppur in modo diverso per ciascuno, il disagio psichico ha inoltre sempre qualcosa a che fare con quella che chiamiamo individuazione. In estrema sintesi questo processo riguarda – da più punti di vista, personale, familiare, sociale- la possibilità di guardare alla propria storia con curiosità, passione, comprensione, significato e quel senso di speranza e crescita che nasce dal sentirsi immersi in un tempo che riprende a scorrere; la possibilità di scegliere quali sono i valori, le idee, le esigenze in base a cui valutare ciò che è tradizione e dunque appropriarsi in modo creativo di una parte di essa; comprendere quali aspetti di se stessi e della vita vanno solo accettati e la possibilità di scorgere in questa accoglienza un profondo senso di libertà e di appartenenza; di trovare in ultima analisi il proprio personale modo di essere, di sentirsi parte di qualcosa e al tempo stesso portatore di un destino assolutamente originale. Sintomo di salute mentale è dunque una maggiore libertà. Qualunque sia il tipo di problema, alla fine di una terapia dovrebbero verificarsi sostanzialmente due condizioni tra loro collegate: da una parte il paziente è più libero di decidere come essere e come vivere, cosa fare e come rapportarsi al mondo; dall'altra è capace di accettare in modo creativo quella parte della vita che sfugge per sua natura al nostro controllo. Tali aspetti possono non differire molto da quelli che aveva precedentemente solo che ora sono frutto non solo di una maggiore consapevolezza ma anche, entro certi limiti, scelti e soprattutto indirizzati. Detto in altri termini la libertà di cui gode il paziente ha in se una caratteristica importante: è cioè finalizzata ad un progetto che egli sente in ultima analisi più rispondente a se stesso, più suo, più meritevole di esser vissuto e in quanto tale intrinsecamente piacevole al di la delle inevitabili difficoltà. Questo aspetto della libertà è legato alla sensazione di essere presenti a se stessi, di vivere in modo personale e originale e al tempo stesso di essere parte di qualcosa di molto più ampio, di una storia che ci trascende e alla quale dobbiamo contribuire. Essa dunque rispecchia, in modo più o meno evidente, due lati diversi: la possibilità di scegliere relazioni e modi di essere che facilitano, supportano, promuovono i nostri progetti e dall'altra una maggiore fiducia in se stessi e nella vita che questo è, entro limiti, possibile. Tale libertà ha dunque non solo una finalità ma anche una speranza. Resta a questo punto la domanda sulla natura di tale tipo di libertà, se cioè essa deve necessariamente dirigersi "libera" verso alcuni valori o se, ai fini della salute mentale, tale direzione non deve interessare. Vedremo dopo meglio che questo "problema" apre il campo a molte considerazioni e tocca ognuno degli aspetti che stiamo esaminando.

 

Un ultimo aspetto del disagio psichico è legato ad una sorta di mancata integrazione dell'individuo: tra parti diverse di se, aspetti della propria storia. Non sfugge che il disagio risponde in modo paradossale a questa esigenza "unendo" queste parti diverse intorno al tema della malattia. Qualunque sia il tipo di problema, alla fine della terapia il paziente dovrebbe sentirsi dunque sostanzialmente più integrato, più se stesso, più coerente nei propri pensieri, nelle azioni, nelle convinzioni, nel senso dato alla propria storia e al proprio scopo di vita. tale integrazione ha una caratteristica che per certi versi abbiamo visto parlando di "valutazione". Il paziente cioè è maggiormente in grado di avere dei parametri in base ai quali esaminare la realtà, appropriarsi del vissuto, fare delle scelte. Tali parametri (che pure aveva anche prima essendo naturalmente impossibile non averne nessuno) sono però sentiti come maggiormente suoi, rispondenti a se stesso e al tempo stesso non ambivalenti o contraddittori (cosa che è tipica di molte patologie). Essi inoltre sono per lo più naturalmente applicati, come se la psiche, il cuore, la mente andassero non solo unite verso qualcosa ma operassero ad un livello più istintivo, meno cosciente e dunque meno dispendioso di energia, fatica, impegno. Detto in altri termini, il paziente è maggiormente "libero" di essere e dunque più coscientemente impegnato ad operare nel mondo. Questo non vuol dire che il suo sé non cambia o che le esperienze non hanno una ricaduta su di lui. Solo che questo processo è meno vitale, meno essenziali sono gli elementi che toccano il cambiamento, meno confuso è il percorso. Come è evidente, questo aspetto della integrazione è molto vicino a quello precedentemente esaminato e condivide con questo le domande relative alla finalità di tale integrazione: se essa ciè sia un valore in se (e dunque in quanto tale sintomo di salute mentale) o se deve rispecchiare alcuni valori.




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