-  Redazione P&D  -  21/01/2015

IL COLORE DEGLI OCCHI CHE NON SI APRONO PIU' - Giulio LOBINA

Amministrazione di sostegno

 

Storie di amministratori di sostegno

 

Valorizzazione del beneficiario

 

Quando R è entrato in coma, dopo un soffocamento da occlusione delle vie respiratorie mentre cenava, non sono riuscito a dirlo subito alla madre. Quando R è entrato in coma io ho trascorso una notte intera a pensare a come avrei potuto dirglielo, a quali parole usare, al perchè abbia scelto un impegno dove le persone che seguo possono andarsene da un momento all'atro senza lasciarti neppure il tempo per comprendere se in qualche modo e per qualche tempo tu le abbia o no aiutate.

 

Mi chiedevo, qualche anno fa, con quale forza uno specializzando in medicina scelga oncologia, ematologia o psichiatria. Con quale forza si sceglie di lavorare tutta la vita amando occhi che, quando si chiudono, non sappiamo mai se si riaprono...poi ho scelto di fare l'Amministratore di sostegno e continuo a pensare che conoscere le persone in profondità, dai loro silenzi e dai loro sguardi, sia quanto di più bello esista nel mondo. Non c'è malizia o vergogna. Non c'è bugia o falsità. Quando guardi negli occhi una persona extra-ordinaria, ci sei tu e lei. E basta. 

 

Tu e lei. 

 

E' come se loro avessero risposte che noi non immaginiamo neppure. Come la storia di quelle nuvole grigie disegnate col sole giallo e coi suoi raggi al centro del foglio. L'avreste mai detto che loro, le nuvole dico, erano belle almeno quanto il sole perchè erano cariche d'acqua e l'acqua fa crescere i fiori e gli alberi? 

 

Ecco, io l'ho scoperto quest'anno. Perchè anche da piccolo ero abituato a disegnare il sole al centro del foglio, coi suoi raggi e le nuvolette rimanevano bianche. Non avevo certo la fantasia di riempirle di pioggia. Erano vuote.

 

Così, quando R ha chiuso gli occhi senza più aprirli, mi sono chiesto se mai avessi avuto il tempo di conoscerne almeno il colore. R non Amava soffermarsi con le persone. Non amava chiacchierare. Lui leggeva molto, pregava e camminava. Sempre di corsa. Aveva un disturbo "Schizoaffettivo" e i farmaci che prendeva facevano sì che avesse sempre fame, e tremavano le mani e le labbra quando parlava ed era assente, a volte. Sospeso, credo, tra questo mondo e l'altro, in una dimensione che noi non conosciamo.

 

Quando R è entrato il coma, io non ho avuto il coraggio di dirlo alla madre.

 

Ho avvisato uno zio. Qualcuno che conosceva la madre anni e anni prima di me. Qualcuno che avrebbe certamente saputo come dirglielo, che l'avrebbe abbracciata, che avrebbe pianto con lei e che l'avrebbe consolata. Non è semplice "svestirsi" del ruolo che il Tribunale ti consegna come un sarto con un vestito e vivere la morte di un tuo assistito come fosse qualcosa di naturale. 

 

Eppure lo è. La morte è forse l'unica cosa che ci fa apprezzare la vita, l'unica cosa che ci ricorda che siamo vivi e che dobbiamo offrire il nostro tempo per la vita. Un po' come il bianco e il nero. Un po' come il ruvido e il liscio, l'asciutto e il bagnato. Sono le emozioni e ancor prima le sensazioni che ci fanno riconoscere il mondo.

 

Ricordo che il giorno del funerale di R la madre non si è presentata. L'ho vista alla finestra della sua casa, con la serranda esterna socchiusa. L'ho vista perchè ha accompagnato il figlio con gli occhi fino a quando la bara è stata caricata sull'auto. 

 

L'ho vista anche ieri, perchè mi serviva il certificato di morte del figlio per chiudere la pratica in tribunale e per far chiudere il conto in banca. Compiti conclusivi di una Amministrazione di sostegno. Ieri ha messo una sedia accanto alla sua, sotto la finestra che guarda una delle nostre Città Sarde in tutto il suo splendore. Dal suo palazzo. Aveva i capelli biondissimi e ben pettinati, un bel vestito lungo che ricopriva tutto il suo corpo come fosse un bruco nel suo rifugio prima di volare via come una farfalla. 

 

Mi ha chiesto di trattenermi un po' e guardava la chiesa dalla finestra del suo palazzo. Diceva che da lì, anche quando R era piccolo, lo osservava mentre andava a scuola e mentre prendeva l'autobus. Lo benediceva quando entrava in Chiesa ed era come se ascoltasse la messa anche lei, anche se stava lì ferma. Lei e il figlio erano la stessa cosa. Ieri mi ha detto: "Io sono morta con lui".

 

"Ma tu perchè non hai fatto l'Avvocato? A cosa serve prendersi a cuore così le persone, se tanto se ne vanno?"

 

Io le ho detto: "E' proprio per questo che bisogna prendersi a cuore le persone, perchè se ne vanno".

 

Dalla sua finestra si vede anche il mare. Si vede la gente che cammina, le storie che raccontano, la loro fretta, il passo veloce e quello lento. Si vedono i colori dei capelli e dei vestiti. Quasi si sentono respirare quando al semaforo, ferme, aspettano il verde.

 

Avevo paura che ieri mi chiedesse perchè non le avevo detto subito che era in coma. Avevo paura che mi rimproverasse, e forse ne avrebbe avuto anche il dovere, di rimproverarmi, dico. Invece mi ha solo chiesto: "Rimani a pranzo con me?"

 

"Non posso, Signora, devo andare al Santissima Trinità".

 

Poco prima di salire per otto piani di scale, a piedi, per questo colesterolo alle stelle che non scende (e perchè soffro di claustrofobia e non prendo ascensori e in galleria prendo fiato e non respiro finchè non finisce) è caduta un'altra mia assistita...e se "sospettano" una frattura al bacino e alle vertebre bhè, devi arrivare prima di lei in pronto soccorso e poi in reparto. Perchè tu firmi, tu parli con i medici, tu vieni informato delle operazioni da fare, tu autorizzi gli interventi e i piani terapeutici concordandoli con medico di base, la clinica, l'ospedale.

 

E quando un tuo assistito muore, sei tu che devi dirlo alla madre.

 

Magari un giorno potrò fare anche questo senza tenermi dentro la morte neppure per una notte intera. Magari un giorno, anzichè scrivere una lettera alla madre nella quale cerco in ogni modo di trovare le parole giuste per dirle che il figlio è morto, avrò il coraggio di presentarmi da lei e abbracciarla, svestendomi di un ruolo che a volte mi sta troppo stretto.

 

A me piace scrivere fiabe.

 

Ma quando non scrivo qui sto cercando di occuparmi al meglio della vita degli altri e così, anche della mia. Tutto ciò che possiamo fare, tutto ciò che sappiamo fare deve essere messo a disposizione di chi ha bisogno. Non ha nessun senso costruirsi case enormi per spolverarle...o riempire gli armadi di roba costosa e tenerla lì dentro più di quanto possiamo tenerla addosso. 

 

Sono tempi in cui per noi possiamo fare poco...e allora, forse, è bene fare qualcosa di più per gli altri! La nostra generazione è quella che ha il dovere di far ripartire tutto quanto, come se fossimo reduci da una guerra. 

 

Come se non avessimo nulla di nulla e fosse tutto da costruire.

 

E allora, perchè non iniziare col ricordarci almeno il "nome" delle persone con cui ci scambiamo un saluto veloce? O ancor più il colore dei loro occhi? Ci sono occhi, come quelli del Signor R che erano d'un verde che neppure il mare poteva mai superare in bellezza. Occhi grigi come le nuvole piene di pioggia, o scuri come il buio.

 

"Non ti dimenticare di me"

 

"No, Signora, non mi dimenticherò di lei, e neanche di R".




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