-  Mazzon Riccardo  -  05/02/2013

IL DANNO CAGIONATO DA ANIMALI: E' RESPONSABILITA' OGGETTIVA? - Riccardo MAZZON

Il tenore della norma che, nel nostro ordinamento, prevede la responsabilità da animali in custodia, risulta pressoché sovrapponibile, nella sua formulazione, a quella che disciplina la responsabilità da cose in custodia: 

"il proprietario di un animale risponde ai sensi dell'art. 2052 c.c. sulla base non già di un proprio comportamento o di una propria attività, ma sulla base della mera relazione (di proprietà o di uso) intercorrente fra lui e l'animale, nonché del nesso di causalità sussistente fra il comportamento di quest'ultimo e l'evento dannoso" (Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2006, n. 1210, GCM, 2006, 1 - cfr., amplius, da ultimo, "Responsabilita' oggettiva e semioggettiva", Riccardo Mazzon, Utet, Torino 2012).

Infatti, l'articolo 2052 del codice civile, nell'affermare che il proprietario di un animale - o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso -,

"in tema di danni provocati da animali, l"art. 2052 c.c. prevede che siano soltanto il proprietario o l"utilizzatore dell"animale a dover rispondere, peraltro in termini oggettivi, dei pregiudizi che derivino causalmente da una condotta del medesimo: e ciò, sulla base non già di un proprio comportamento o di una propria attività, ma di una mera relazione fattuale (di proprietà o di uso) intercorrente con l'animale" (Trib. Nola, sez. II, 22 gennaio 2009, n. 213, Redazione Giuffrè, 2009)

è responsabile dei danni cagionati dall'animale - sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito -, salvo che provi il caso fortuito, ricalca la dizione utilizzata dall'articolo 2051, stesso codice, autorizzando l'interprete a ricavarne le medesime conclusioni interpretative

"siamo in presenza di un caso di responsabilità oggettiva: non è necessario provare la colpa, il padrone e l'utente rispondono anche se incapaci" Branca, Sulla responsabilità oggettiva per danni causati da animali, in RTDPC, 1950, 258;

si confronti, ad esempio, la recentissima pronuncia che segue, con la quale la Corte di Cassazione, in virtù del principio di diritto predetto, ha escluso che l'ingresso di una bimba in un giardino, recintato e chiuso da un cancello in cui si trovava l'animale, avesse il carattere dell'eccezionalità e della imprevedibilità, atteso che l'animale si trovava sì in un luogo privato, recintato e chiuso, ma era stato lasciato libero in un giardino con un cancello che non aveva idonea chiusura, tanto da essere facilmente aperto da una bambina di tre anni, e che di conseguenza il custode non aveva adottato cautele idonee in concreto ad evitare l'ingresso di estranei:

"la responsabilità ex art. 2052 c.c., prevista a carico del proprietario in relazione ai danni cagionati da un animale di cui è proprietario, trova un limite solo nel caso fortuito, ossia nell'intervento di un fattore esterno nella causazione del danno, che presenti i caratteri della imprevedibilità, della inevitabilità e della assoluta eccezionalità. Conseguentemente, all'attore compete solo provare l'esistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, deve provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere detto nesso causale, non essendo sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell'animale" (Cass. civile, sez. III, 20 luglio 2011, n. 15895, DeG, 2011).

Anche qui, dunque, come nel caso riguardante la responsabilità per cose in custodia, la giurisprudenza opta per un'interpretazione della locuzione "salvo che provi il caso fortuito" diretta a descrivere la fattispecie astratta de qua in termini di responsabilità oggettiva:

"la responsabilità del proprietario dell'animale, ex art. 2052 c.c., si fonda, non su un comportamento del proprietario, ma su una relazione intercorrente tra questi e l'animale, per cui solo lo stato di fatto e non l'obbligo di vigilanza o di controllo può assumere rilievo. Correlativamente la prova liberatoria ha per oggetto un fattore (il caso fortuito) che attiene non a un comportamento del responsabile, ma al profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre all'esterno, anzichè all'animale che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi" (Cass. civ., sez. III, 21 gennaio 2010, n. 979, GDir, 2010, 8, 77).

Ciò comporta, sul piano strettamente probatorio, che al danneggiato sarà sufficiente provare il rapporto convenuto/animale e il nesso eziologico animale/evento, restando liberato il presunto responsabile solo dalla prova positiva dell'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere detto nesso causale - il "caso fortuito", che può consistere anche nel fatto del terzo o nella colpa del danneggiato, 

"in tema di danno cagionato da animali, il proprietario o utente dell'animale, per sottrarsi alla responsabilità presunta ex art. 2052 c.c., è sì tenuto a fornire la prova del caso fortuito, che può consistere anche nel fatto del terzo, o nella colpa del danneggiato, ma solo dopo che sia stata dimostrata in modo univoco la sussistenza del nesso di causalità tra il comportamento dell'animale e il danno causato. La prova liberatoria da parte del danneggiante presuppone l'esistenza del nesso causale" (Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2009, n. 9350, GDir, 2010, 18)

non essendo sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell'animale (esemplare, in argomento, la seguente pronuncia, dove il giudice del merito aveva ritenuto che integrasse l'ipotesi di caso fortuito la condotta del danneggiato, vittima di lesioni per l'aggressione da parte di un cane pit bull

"non si richiede che l'animale appartenga ad una determinata specie oppure abbia una speciale ferocia: non si tiene conto del fatto che le bestie siano domestiche, randagie, feroci, domate o selvatiche" Geri, La responsabilità civile da cose in custodia, animali e rovina di edificio, Milano, 1974, 225

che si trovava all'interno di uno stabile, al quale il danneggiato stesso aveva avuto accesso tramite il cancello di ingresso aperto, assumendo che i proprietari e custodi del cane avevano adottato tutte le misure idonee ad evitare, in regime di normalità, l'aggressione - apposizione sul cancello di un cartello con la scritta « attenti al cane », sebbene non visibile proprio per essere il cancello aperto; catena lunga tre metri alla quale il cane era legato; posizionamento del cane in luogo distante dal cancello di ingresso - mentre era da reputarsi imprevedibile la circostanza della visita per affari, da parte della vittima, la mattina del 26 dicembre, allorché i proprietari  

"nel caso in cui l'animale appartenga ad una famiglia, si ritiene che debba essere chiamato a rispondere del danno soltanto il capofamiglia, il quale può comunque eccepire che solo qualcuno dei membri della famiglia aveva l'uso esclusivo dell'animale" Di Giovine, La R.C. per danni cagionati da animali, in Cendon (a cura di), La responsabilità civile, Torino, 1998, 395

del cane erano assenti dall'abitazione, e rilevando altresì la sua età - ottanta anni - tale da non consentirgli di ritirarsi con prontezza dall'attacco di un cane legato ad una catena; la Suprema Corte, in applicazione del principio sopra riportato, ha cassato la sentenza impugnata, reputando inconferente l'argomentazione relativa all'età del danneggiato ed osservando che, in un contesto in cui il cartello di pericolo non era visibile, non poteva assumersi come atto determinante l'aggressione del cane il solo fatto di varcare un cancello aperto con accesso ad uno stabile):

"la responsabilità di cui all'art. 2052 c.c., prevista a carico del proprietario o di chi si serve dell'animale per il periodo in cui lo ha in uso, in relazione ai danni cagionati dallo stesso, trova un limite solo nel caso fortuito, ossia nell'intervento di un fattore esterno nella causazione del danno, che presenti i caratteri della imprevedibilità, della inevitabilità e della assoluta eccezionalità: con la conseguenza che all'attore compete solo di provare l'esistenza del rapporto eziologico tra il comportamento dell'animale e l'evento lesivo, mentre il convenuto, per liberarsi, deve provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere detto nesso causale, non essendo sufficiente la prova di aver usato la comune diligenza nella custodia dell'animale" (Cass. civ., sez. III, 15 aprile 2010, n. 9037, GCM, 2010, 4, 545; FI, 2010, 10, 2705).

 




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