-  Antonio Arseni  -  07/03/2016

IL DANNO MORALE E LA SUA RISARCIBILITA' IN CASO DI LESIONI DI MODESTA ENTITA' PROVOCATE NEI SINISTRI STRADALI -Antonio ARSENI

Il danno morale è una sofferenza interiore caratterizzata da malinconia e tristezza. Esso va distinto dal danno biologico, che si sostanzia in un pregiudizio alla integrità psico-fisica del soggetto leso, medico-legalmente accertabile, e da quello esistenziale che attiene più propriamente alle dinamiche-relazionali di un vita che cambia per effetto del fatto illecito. Il danno morale è configurabile e risarcibile autonomamente, anche nel caso di micropermanenti, purchè venga allegato e provato da chi lo richieda. La dimostrazione dell'esistenza del danno morale può anche affidarsi a presunzioni.

 

La tematica del risarcimento del danno alla persona, nell'ultimo decennio, è stata al centro di un animato dibattito in dottrina e giurisprudenza che ha avuto come obiettivo quello di individuare soluzioni interpretative, nel quadro normativo vigente, che potessero garantire l'integrale ristoro del danno, al di là delle definizioni meramente nominalistiche dello stesso, evitando certamente duplicazioni ma anche vuoti risarcitori.

In tale direzione si è orientata la giurisprudenza di legittimità più recente prendendo le mosse soprattutto dalle famose sentenze di S. Martino del 2008 della Cassazione, che avevano raccomandato, per l'appunto, il perseguimento di tale obiettivo.

L'attuale sistema risarcitorio, che ne è derivato, è caratterizzato dalla ricorrenza di quelle che sono definite due macrocategorie: a) quella del danno patrimoniale, che si scandisce in danno emergente e lucro cessante essendo poi, ciascuna di dette sottocategorie compendiate da una pluralità di voci ed aspetti o sintagmi quali, ad esempio, con riguardo al danno emergente, il mancato conseguimento del bene dovuto o la perdita di beni del proprio patrimonio, il rimborso delle spese vive, ovvero, con riferimento al lucro cessante, la perdita della clientela, il discredito professionale, la perdita della capacità lavorativa specifica; b) quella del danno non patrimoniale di cui costituiscono aspetti o voci, il pregiudizio biologico, esistenziale, morale.

Più in particolare, ed in via di principio, è stato posto l'accento, dalla più recente elaborazione giurisprudenziale, sulla diversità ontologica della triade danno biologico-morale-esistenziale in cui si compendia la macrocategoria del danno non patrimoniale, laddove il primo viene inteso come pregiudizio alla integrità psicofisica della persona medico-legalmente accertabile, il secondo, come l'insieme dei patemi d'animo e la sofferenza psichica interiore, il terzo, infine, astretto a quegli aspetti dinamico-relazionali di una vita che cambia per effetto dell'evento lesivo.

Particolarmente eloquenti appaiono, al riguardo, due recenti decisioni (Cassazione 12/06/2015 n° 12211 e Cass. 27/11/2015 n° 24210, estensore per entrambe il Cons. Scarano, ma vedasi anche la precedente Cass. 22/08/2013 n° 19402) nelle quali, per l'appunto, viene sottolineata l'esigenza per il Giudice del merito di prendere in considerazione "tutti gli aspetti o voci in cui la categoria del danno non patrimoniale si scandisce nel singolo caso concreto, non essendovi in realtà differenza tra la determinazione dell'ammontare a tale titolo complessivamente dovuto mediante la somma dei vari addendi (è la c.d. personalizzazione della liquidazione del danno sulla base dell'atteggiarsi dell'evento lesivo che nello specifico può colpire la persona nei suoi molteplici interessi , meritevoli tutti di tutela attraverso l'integrale ristoro) e l'imputazione di somme parziali o percentuali del complessivo determinato ammontare a ciascuno di tali aspetti o voci "(cfr anche Cass. 23/01/2014 n. 1361).

Evitare duplicazioni risarcitorie che si hanno quando lo stesso aspetto o voce viene computata più volte sulla base di diverse formali distinzioni e cioè quando il medesimo pregiudizio viene liquidato due volte sebbene con l'uso di nomi diversi (cfr anche Cass. 06/04/2011 n° 7844; Cass. 30/06/2011 n° 14402): è questa la raccomandazione che spesso i Giudici di legittimità rivolgono a quelli di merito sollecitati "ad accertare l'effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, indicando quali ripercussioni negative sul valore persona si siano verificate e provvedendo alla relativa integrale rifusione" (così testualmente Cass. 12211/2015 e Cass. 24210/2015 già citate, ma anche v. anche Cass. S.U. 11/11/2008 n° 26972).

Purtuttavia, le decisioni del 2015 della Corte Regolatrice indicano, sulla base dell'avvertimento delle Sezioni Unite del 2008, che i "patemi d'animo e la mera sofferenza interiore sono normalmente assorbiti, in caso di liquidazione del danno biologico, cui viene conosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva." E, ciò, soprattutto quando la sofferenza morale non rimanga allo stadio interiore o intimo ma si obiettivizzi, degenerando in danno biologico o in danno esistenziale. In tal senso, essa rimarrebbe assorbita in tali tipi di danno e non potrebbe essere nuovamente risarcita sulla base della ricordata inammissibilità della duplicazione del danno sofferto.

Tale conclusione, che escluderebbe la risarcibilità del danno morale (ma non di quello esistenziale che non rimarrebbe sempre e comunque assorbito in quello biologico) trova altro referente nella decisione della Cassazione Sez. VI 14/05/2013 n° 11514 secondo cui "il danno non patrimoniale è categoria unica, connotato in senso descrittivo da singole voci risarcitorie che ne garantiscono l'integrale soddisfazione senza che possano condurre ad una inammissibile duplicazione di poste in cui il medesimo danno si sostanzia".

Ciò risulterebbe chiaro dall'art. 138 del Codice delle Assicurazioni che definisce il danno biologico "come il danno da lesione dell'integrità psico-fisica che esplica una incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali".

Con la conseguenza, quindi, che, sulla base di detta definizione, sarebbe risarcibile "la sofferenza causata dal peggioramento della qualità della vita, dal non poter più svolgere quelle attività realizzatrici della persona umana che precedentemente erano consentite al soggetto come conseguenza della lesione del diritto fondamentale alla salute ex art. 32 Cost..

Non sarebbe, invece, risarcibile il c.d. danno morale puro o sofferenza d'animo, che non trova materiale riscontro sul piano delle conseguenze dannose, oggetto di onere della prova per ottenere il risarcimento, in origine liquidato solo in caso di commissione di reati per effetto del combinato disposto dall'art. 185 c.p.c. e dell'art. 2059 CC. Nel senso anzidetto vedasi anche Cass. 20/11/2015 n° 23793.

Giunti a questo punto, sembra che la "partita" (per usare una espressione sportiva) sia stata chiusa escludendosi che il danno morale possa avere una sua "dignità giuridica" rimanendo inglobato nel danno biologico o esistenziale, comunque.

Ma non è proprio così.

Le mutevoli dinamiche interpretative in cui si contrappongono, da una parte, l'esigenza di soddisfare le aspettative di una società in continua evoluzione e, dall'altra, il bisogno di assicurare coerenza alle decisioni assunte (il che costituisce il grande dilemma del diritto vivente e che sembra evocare quanto diceva il raffinato giurista Prof. Orestano: "il diritto è ciò che da una data società, in un dato luogo geografico ed in un dato momento storico, si ritiene essere diritto) hanno prodotto una diversa soluzione, ispirata dalla saggia ed esperta penna del relatore Cons. Travaglino, al quale era stato affidato di estendere la motivazione della sentenza che aveva riguardato l'importante vicenda originata dal decesso di una donna per carcinoma all'utero, intempestivamente diagnosticato.

Ebbene, in tale ottica, la decisione in questione (Cass. 09/06/2015 n° 11851) sottolinea come possa essere riduttivo utilizzare una visione unitaria di danno non patrimoniale come sancito dalle sentenze del 2008, prevenendo all'affermazione dei seguenti principi.

Richiamando due fondamentali precedenti ( estensore lo stesso Cons. Travaglino) rappresentati da Cass. 20292 del 2012 e 22585 del 2013, nonché le indicazioni fornite dalle c.d. sentenze gemelle nel 2003 dalla S.C. e dalla coeva decisione della Corte Costituzionale n° 233 del 2003, nella decisione de qua viene precisato "che, al di là ed a prescindere dal formalismo delle categorie giuridiche, troppo spesso il modello del diritto, intriso da inevitabili limiti sovrastrutturali , che ne caratterizzano la stessa essenza, ha trascurato l'analisi fenomenologica del danno alla persona che altro non è che indagine sulla fenomenologia della sofferenza".

"Il semplice confronto con ben più attente e competenti discipline (psicologiche, psichiatriche, psicoanalitiche) consente (consentirebbe) anche al giurista di ripensare al principio secondo il quale la persona umana, pur considerata nella sua interezza, è al tempo stesso dialogo interiore con sé stessa ed ancora relazione con tutto ciò che è altro da sé.

"In questa semplice realtà naturalistica si cela la risposta (e la conseguente, corretta costruzione di categorie) all'interrogativo circa la reale natura e la vera essenza del danno alla persona: la sofferenza interiore, le dinamiche relazionali che cambiano".

In questo senso, continua la Cassazione," evidenti appaiono i due momenti essenziali della sofferenza dell'individuo: il dolore interiore e/o la significativa alterazione della vita quotidiana.

Ed è lecito affermare che trattasi di danni diversi e perciò autonomamente risarcibili ma solo se allegati e provati."

L'autonomia del danno morale sarebbe ancora più evidente, secondo detta pronuncia, sulla base dell'art. 138 Codice delle Assicurazioni in quanto la disposizione, dopo aver definito il danno biologico, nello stesso senso di cui al successivo art. 139, condiziona la personalizzazione del danno alla sussistenza di specifiche ripercussioni incidenti sugli aspetti dinamico-relazionali del pregiudizio arrecato alla persona.

In buona sostanza, siccome la previsione in commento riguarda solo la dimensione relazionale del pregiudizio e non anche la componente interiore, non codificata da detta norma, sarebbe sottratta alle limitazioni del calcolo tabellare, lasciando libero il Giudice di quantificarla con ulteriore equo apprezzamento.

In tale contesto, "al di fuori dell'ambito delle micropermanenti (in tema di sinistri da circolazione stradale) l'aumento personalizzato del danno biologico sarebbe circoscritto agli aspetti dinamico-relazionali della vita del soggetto in relazione alle allegazioni ed alle prove specificamente addotte, del tutto a prescindere dalla considerazione (e dalla risarcibilità) del danno morale, senza che ciò costituisca alcuna duplicazione risarcitoria". In altri termini, continua Cass. 11851/2015 "se le tabelle del danno biologico offrono un indice standard di liquidazione, l'eventuale aumento percentuale sino al 30% sarà in funzione della dimostrata peculiarità del caso concreto in relazione al vulnus arrecato alla vita di relazione del soggetto.

Altra e diversa indagine sarà compiuta in relazione alla patita sofferenza interiore, senza che alcun automatismo risarcitorio sia peraltro praticabile.

In conclusione, avverte la Cassazione che "ogni vulnus arrecato ad un interesse tutelato dalla Corte Costituzionale si caratterizza per la sua doppia dimensione del danno relazione/proiezione esterna dell'essere, e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza", tanto è che nel progetto di riforma dell'art. 2059 cc viene previsto che "il danno non patrimoniale è risarcibile qualora il fatto illecito abbia leso interessi o valori della persona costituzionalmente tutelati".

"Il risarcimento del danno non patrimoniale ha ad oggetto sia la sofferenza morale interiore, sia l'alterazione dei precedenti aspetti dinamico-relazionale della vita del soggetto leso"

"Sarà compito del Giudice, chiamato a valutare tali aspetti della sofferenza, procedere ad una riparazione che, caso per caso - nella unicità ed irripetibilità di ciascuna delle vicende umane che si presentino davanti a lui- risulti , da un conto, equa e dall'altro consonante con quanto realmente patito dal soggetto, pur nella inevitabile consapevolezza della miserevole incongruità dello strumento risarcitorio a fronte del dolore dell'uomo, che dovrà rassegnarsi a vedere trasformato quel dolore in denaro".

In definitiva le superiori osservazioni permettono di formulare le seguenti conclusioni.

è confermata la tesi predicativa dell'unicità del danno biologico "quale sorta di primo motore immobile del sistema risarcitorio, leviatano insaziabile di qualsiasi voce di danno";

anche all'interno del micro-sistema delle micro-permanenti, resta ferma la distinzione concettuale tra sofferenza interiore ed incidenza sugli aspetti relazionali della vita del soggetto. Una dimensione (quest'ultima) dinamica della lesione, dunque una proiezione esterna al soggetto, un vulnus a tutto ciò che è altro da sé rispetto all'essenza interiore della persona;

l'autonoma risarcibilità del danno morale, ove ricollegabile alla violazione di un interesse costituzionalmente tutelato, distino da quello biologico, sarebbe ammissibile nel caso di lesioni di non lieve entità e, dunque, al di fuori dell'ambito applicativo delle lesioni c.d. micropermanenti di cui all'art. 139 D.Lgs. 209/2005 c.d. Codice delle Assicurazioni. In questo senso, vedasi anche altra recente decisione della Cassazione 20/11/2015 n° 23793.

Ciò posto, la questione della autonoma risarcibilità si sposta sul piano probatorio essendo affermato che il concreto ristoro soggiace alla regola " iuxta alligata et probata partium".

Una prova che può essere fornita senza limiti ed anche avvalendosi delle presunzioni e del notorio.

Fermo restando tale necessità, ai fini del risarcimento del danno morale, contemporaneamente e successivamente alle sentenze 11859/2015 e 23793/2015, sono intervenute altre due importanti pronunce che hanno, per così dire, rimesso in gioco il principio della risarcibilità in ogni caso del danno morale, laddove allegato e provato, e, quindi, anche nelle ipotesi delle c.d. micropermanenti.

Ed invero con le decisioni 27/08/2015 n° 17209 e da ultimo 13/01/2016 n° 339, i Giudici di Palazzo Cavour hanno chiarito "che in linea di principio neanche con riguardo alle lesioni di lieve entità si può escludere il risarcimento del danno morale dal novero delle lesioni meritevoli di tutela risarcitoria, per valutare e personalizzare il danno non patrimoniale si deve però tener conto della lesione in concreto subita".

Opinando diversamente, aggiunge la S.C., si arriverebbe infatti "ad una incomprensibile differenziazione tra i danni di lieve entità derivanti da causa diversa da sinistro stradale, liquidati mediante ricorso al sistema tabellare equitativo, in virtù del principio di liquidazione totale del danno, ed i danni da sinistro stradale che comporterebbero una minor tutela del danneggiato".

"Ne consegue che anche in caso di danno da micropermanenti deve ritenersi consentita la liquidazione del danno morale come voce di danno non patrimoniale in aggiunta al biologico previsto dall'art. 139 Codice delle Assicurazioni private".

Ma il danneggiato, come ricordato, sarà onerato della allegazione di tutte le circostanze utili ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita in termini di sofferenza/turbamento e della prova degli stessi anche mediante presunzioni". Su tale linea interpretativa vedasi anche Cass. 12/12/2008 n° 29191.

Detto questo, non può non rilevarsi come non sia di semplice individuazione quella condizione di sofferenza/turbamento interiore che sostanzia il danno morale e che deve essere allegata e provata per la relativa risarcibilità.

La dottrina, soprattutto P. Cendon (nel suo libro "La prova ed il quantum nel risarcimento del danno non patrimoniale") paragona il turbamento psicologico, per differenziarlo dalla componente esistenziale del danno, allo SPLEE, termine quest'ultimo che sta ad indicare uno stato d'animo caratterizzato da malinconia, insoddisfazione, noia e fastidio di tutto, senza una ragione precisa che lo provochi.

Sostanzialmente nello stesso senso la definizione di Freud che disse come "qualsiasi esperienza che susciti una situazione penosa - quale la paura, l'ansia, la vergogna, il dolore fisico – può agire da trauma."

Occorre prestare adeguata attenzione, allora , quando si chiede il ristoro del danno morale, dovendosi specificamente indicare quali sono in concreto le circostanze che determinano quel turbamento psicologico soggettivo e transeunte causato dall'atto illecito.

Il ricorso alla testimonianza degli amici e familiari sarebbe consigliabile perché nessun più di loro può essere in grado di riferire la condizione di tristezza causata dall'evento dannoso.

Ma bisogna stare attenti a ben articolare la prova sui fatti concreti che dovranno riferire i testi e da cui desumere la prova del danno morale, tenendo in debito conto che il testimone non può essere chiamato ad esprimere valutazioni, pena l'inammissibilità della prova ed il rischio di non riuscire a dimostrare la domanda.

Anche una consulenza tecnica , per mezzo di uno psicologo forense, potrebbe essere utile alla causa, essendo in grado il CTU di riconoscere i sintomi ed i segni del perturbamento psicologico che rimane interiorizzato nel soggetto e che necessariamente non comporta la cessazione delle normali attività quotidiane e che non degenera in una psicopatologia, perché altrimenti quella stessa sofferenza potrebbe sostanziare un danno esistenziale o biologico in cui quello morale sarebbe irrimediabilmente assorbito, in ossequio a quei principi sopra indicati circa l'inammissibilità di duplicazioni risarcitorie.

Non senza rilievo, infine, appare la considerazione che in materia, come già accennato, il Giudice potrebbe evincere elementi di prova, in ordine alla sofferenza del soggetto danneggiato, sulla base della certificazione medica attestante, ad esempio, il fatto che il danneggiato si sia dovuto sottoporre a delle cure fisioterapeutiche e riabilitative determinanti normalmente dolori fisici.

Per fare un altro esempio, il rachide cervicale che riguarda una sintomatologia rientrante nelle c.d. micro-permanenti, comporta notoriamente, oltre che una riduzione dei movimenti del capo e delle spalle, capogiri, emicranie, senso di nausea, dolori al collo ecc. che possono essere valorizzati ai fini del riconoscimento del danno morale.

In buona sostanza, anche attraverso la documentazione medica che attesti tale condizione del soggetto danneggiato, il Giudice potrebbe considerare provato il danno morale ricorrendo al principio dell' id quod plerunque accidit.

È di estrema importanza, va ribadito, avvertendo la qualcosa la Cassazione, che senza l'allegazione delle circostanze \della sofferenza psicologica, e senza la prova (anche presuntiva) della relativa sussistenza nel caso concreto, "non si andrebbe ad alcuna parte".

Un ultimo cenno va fatto alla rinnovata sensibilità della Suprema Corte in ordine alla tecniche di liquidazione del danno morale, ma anche di quello esistenziale. Con tre recenti decisioni, 08/05/2015 n° 9320, 18/06/2015 n° 12594 e 22/09/2015 n° 18611, i Giudici di Piazza Cavour hanno chiarito che detti danni meriterebbero una valutazione autonoma rispetto al danno biologico apparendo incongrua quella operazione di appesantire il punto di base indicato nella tabella per la liquidazione del danno biologico, in quanto non permetterebbe di considerare appieno la perdita della qualità della vita del soggetto gravemente leso e tutte le componenti giuridiche e spirituali del dolore umano.




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