-  Redazione P&D  -  07/07/2009

IL DIRITTO DEI MORTI - Paolo BECCHI

2. Lo status giuridico del cadavere

Con lo scopo senza dubbio auspicabile di salvare la vita di persone in attesa di un trapianto ci si è in larga parte dimenticati di coloro da cui gli organi sono prelevati. Ci sono oggi forti argomenti (non solo di natura filosofica, ma anche scientifica) per contestare l’equiparazione tra morte cerebrale e morte, ma qui intendo richiamare l’attenzione su un altro aspetto spesso dimenticato: pure i cadaveri hanno un loro status. Almeno per un certo tempo infatti continuiamo anche da morti ad esserci, nei cimiteri, come nei ricordi di coloro che restano. Certo, anche la pietà (un sentimento morale, ma con valenze giuridiche) è divorata da Crono; ma il distacco dal mondo dei vivi è graduale: la fiamma che oggi avvampa domani affievolisce e lento è il suo spegnersi. Non è un caso che in ogni paese esista un giorno dell’anno per commemorare i defunti; così come esistono usanze funerarie diverse per prendere commiato da chi se ne è andato. E questi fatti e consuetudini sociali sono pure registrati tanto dalla religione quanto dal diritto. Per rimanere nell’ambito della nostra tradizione basterà qui ricordare come per il diritto romano il cadavere umano e le sue parti venga considerato come un oggetto del tutto peculiare, dal momento che non è suscettibile di appropriazione e di commercio. E sin dalle origini il cristianesimo ci ha insegnato a vegliare i defunti e a venerare le reliquie dei Santi.

Anche se i defunti non possono più essere soggetti di rapporti giuridici i loro valori e le loro opere perdurano nel tempo e l’onorare la loro memoria rientra in quelle forme di rispetto reciproco che gli uomini da sempre si riconoscono. Il culto dei morti non è certo riducibile a quello dei cadaveri, ma è proprio l’alto valore simbolico della salma a far sì che anche i cadaveri meritino il nostro rispetto. In questo contesto può forse essere opportuno ricordare che nella cultura giuridica germanica vi fu chi tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del secolo successivo giunse persino a parlare di un Totenrecht, di un diritto dei morti, risalendo a radici germaniche lontane nel tempo, ma altresì tentando di trovare agganci con il diritto vigente. Per questa letteratura i confini della personalità non cominciano con la nascita e non si concludono con la morte, tanto che vi fu chi teorizzò esplicitamente un diritto postmortale della personalità.

Non è certo questo il luogo per approfondire questo tema (che filosoficamente si inserisce in un contesto più ampio di reazione antimaterialistica), ma è lecito chiedersi se di quel modo di pensare si possa trovare qualche traccia nell’immediato dopoguerra persino nella legge fondamentale tedesca, per la quale la tutela della dignità umana si estende anche al cadavere. Ed è comunque significativo che proprio questa letteratura di inizio secolo venga ripresa tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo, e cioè quando anche in Germania comincia tra i giuristi la discussione sulla “morte cerebrale”. Mentre in Italia in quegli stessi anni autorevoli giuristi auspicavano persino la “nazionalizzazione” dei cadaveri per esigenze pubbliche (il bisogno di organi da trapiantare), in Germania si cercava di ricostruire criticamente un diritto postmortale della personalità.

Beninteso, non più riconoscendo, come in passato, una capacità giuridica all’individuo dopo la morte, bensì ponendo l’accento sui familiari del defunto che diventano i “fiduciari” della sua dignità postmortale, oppure continuando a ritenere comunque necessaria una diretta protezione della personalità del defunto, oppure ancora introducendo l’ipotesi di una soggettività giuridica generale più ampia della capacità giuridica. Possono sembrare idee ormai superate, ma è sintomatico che esse siano ritornate d’attualità in Germania proprio negli anni che immediatamente precedono la promulgazione della legge sul trapianto di organi da cadavere. Anche in connessione al dibattito - tuttora in corso - intorno alla nozione di “dignità umana” è riaffiorata nuovamente l’idea di una “dignità dei morti”, rifondata in senso intersoggettivistico, ad essa vi è pure chi ha fatto riferimento discutendo il problema del trapianto di organi o quello del rispetto dovuto anche nei confronti dei feti nati morti o risultanti da parti prematuri o da interruzioni di gravidanza.

Tutto ciò, ovviamente, non comporta che non si possano prelevare gli organi da cadavere, ma soltanto che ciò avvenga nel rispetto di alcune condizioni ed in primis quelle che ritengo fondamentali sono da una parte il rispetto della volontà del defunto e dall’altra quella dei familiari a poter elaborare il loro lutto. La legge tedesca sui trapianti è costruita proprio sul rispetto di queste condizioni, consentendo il prelievo quando vi sia l’espresso consenso del donatore, o in mancanza di una sua dichiarazione, sia di consenso sia di opposizione, quando vi sia il consenso dei più prossimi congiunti, i quali tuttavia dovranno tener conto della presunta volontà del donatore. Dopo quanto poc’anzi si è detto non deve sorprendere se il legislatore sia stato rispettoso tanto della volontà del defunto quanto del sentimento di pietà dei congiunti.

A ben vedere però anche nella nostra organizzazione giuridica sono presenti alcune tracce che vanno nella stessa direzione. Se consideriamo la disciplina penalistica vigente è incontestabile che il cadavere sia fatto oggetto di una particolare attenzione (punendo il vilipendio di cadavere, la sua distruzione o il suo occultamento e gli usi illegittimi) e che si abbia altresì riguardo per il sentimento di pietà dei superstiti verso i defunti (artt. 410-413 c.p.). Un ulteriore aspetto di tutela concerne il diritto dei congiunti di disporre della salma per la sepoltura (diritto correlato al dovere da parte loro di darle un’adeguata destinazione).

Si potrebbe - da un punto di vista laico - replicare che molte delle disposizioni citate hanno ormai perso d’importanza o addirittura che ciò che prima era vietato - basti pensare alla dispersione delle ceneri - ora invece, entro certe condizioni, è ammesso. E magari sottolineare che non è compito dell’organizzazione giuridica tutelare disposizioni d’animo e sentimenti come la pietà. Se così fosse però non si vede allora per quale ragione quella medesima organizzazione dovrebbe d’altro canto sollecitare i propri consociati a compiere un gesto d’amore donando gli organi. Certo, la vita dei malati in attesa di un trapianto non è meno sacra del culto dei morti e della pietas familiare, resta però, a mio avviso, aperto un problema: un prelievo effettuato senza alcun coinvolgimento dei familiari contrasta palesemente con alcuni articoli del codice penale vigente. Ciò che in questo caso viene messo in discussione, è il diritto dei congiunti ad un’adeguata elaborazione del loro lutto. Con il morto se ne va anche una parte di coloro che restano ed è attraverso di loro che, in un certo senso, continua pure la vita del defunto. Il morto anche se non è più una persona resta pur sempre la proiezione oltre la vita di ciò che proprio quella determinata persona (diversa da qualsiasi altra) è stata. Anche se è dal nulla che siamo venuti, non è al nulla che ritorniamo dopo morti. Tanto la vita umana è fragile, quanto ostinata.

L’attuale legge italiana sui trapianti, perlomeno in linea di principio (dal momento che di fatto il criterio del silenzio-assenso non è mai entrato in vigore) sancisce invece la totale subordinazione del rispetto della salma e della pietà dei defunti all’interesse della collettività all’approvvigionamento degli organi. Ben inteso, un’adeguata elaborazione del lutto ed al culto pietoso della salma non vengono di per sé ostacolati da una decisione personale di donazione degli organi, ma lo sono quando il prelievo avviene sulla base della mera equiparazione del silenzio all’assenso e senza neppure concedere ai congiunti la possibilità di farsi interpreti della volontà del defunto, qualora questi non l’abbia espressamente dichiarata.

Da un punto di vista strettamente giuridico si potrà comunque replicare che trattandosi di conflitti fra leggi di pari grado esso possa essere facilmente risolvibile sulla base del criterio della prevalenza della legge successiva (lex posterior derogat legi anteriori). Resterebbe però da registrare un’incongruenza tra la disciplina codicistica vigente e l’attuale legge sui trapianti. Ma io credo che la legge presenti pure aspetti di incostituzionalità ed in questo caso, trattandosi di leggi di grado diverso, il criterio applicato non è più quello temporale, bensì quello gerarchico: lex superior derogat legi inferiori. E di questo intendo ora occuparmi.




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