-  Costa Elisabetta  -  09/10/2012

IL LODO E LA SUA IMPUGNABILITA' - Elisabetta COSTA

La celerità del procedimento arbitrale rappresenta l"aspetto più caratterizzante della procedura in esame e ne determina la preferenza rispetto alla procedura giudiziaria.

L"art. 820 c.p.c. individua il termine di duecentoquaranta giorni entro il quale il lodo deve essere pronunciato.

La norma in questione recita: «Le parti possono, con la convenzione di arbitrato o con accordo anteriore all'accettazione degli arbitri, fissare un termine per la pronuncia del lodo. Se non è stato fissato un termine per la pronuncia del lodo, gli arbitri debbono pronunciare il lodo nel termine di duecentoquaranta giorni dall'accettazione della nomina. In ogni caso il termine può essere prorogato: a) mediante dichiarazioni scritte di tutte le parti indirizzate agli arbitri; b) dal presidente del tribunale indicato nell'articolo 810, secondo comma, su istanza motivata di una delle parti o degli arbitri, sentite le altre parti; il termine può essere prorogato solo prima della sua scadenza. Se le parti non hanno disposto diversamente, il termine è prorogato di centottanta giorni nei casi seguenti e per non più di una volta nell'ambito di ciascuno di essi: a) se debbono, essere assunti mezzi di prova; b) se è disposta consulenza tecnica d'ufficio; c) se è pronunciato un lodo non definitivo o un lodo parziale; d) se è modificata la composizione del collegio arbitrale o è sostituito l'arbitro unico. Il termine per la pronuncia del lodo è sospeso durante la sospensione del procedimento. In ogni caso, dopo la ripresa del procedimento, il termine residuo, se inferiore, è esteso a novanta giorni».

L"esistenza di un preciso termine di durata del processo rappresenta una garanzia per le parti, le quali sono edotte dalla circostanza che eventuali slittamenti potranno verificarsi unicamente con il loro consenso o nei pochi casi previsti dalla legge.

Nonostante esistano opinioni contrastanti, sembra escluso che le parti possano decidere di rinunciare del tutto al termine della decisione o di lasciare agli arbitri il tempo che vogliono. La previsione di un termine rappresenta l"elemento distintivo ed essenziale della procedura arbitrale e nemmeno la concorde volontà delle parti può privare l"arbitrato di tale caratteristica.

Una pattuizione del genere sarebbe nulla e, di conseguenza, andrebbe applicata la norma legislativa prevista nel caso in cui le parti non avessero previsto alcunché circa la durata della procedura.

A completamento di quanto disposto dall"art. 820 c.p.c., l"art. 821 c.p.c. stabilisce la rilevanza giuridica che deve essere attribuita al decorso del termine.

In virtù del combinato disposto delle due disposizioni appena citate emerge la questione relativa all"interpretazione che deve essere assegnata all"art. 820 c.p.c. quando esso stabilisce che nel termine di duecentoquaranta giorni gli arbitri devono pronunciare il lodo.

Tale problema trova una soluzione alla luce dell"art. 823, comma 4, c.p.c. secondo cui il lodo acquista efficacia vincolante tra le parti dalla sua ultima sottoscrizione.

Dalla disposizione appena richiamata emerge che il lodo viene giuridicamente ad esistere solo nel momento in cui venga deliberato a maggioranza, con la partecipazione di tutti gli arbitri, nonché in forma scritta, rispettando tutte le formalità indicate puntualmente all"art. 823 c.p.c.

Dall"analisi strutturale del lodo si rileva che, indipendentemente dal fatto che l"arbitrato in esame sia rituale o irrituale, lo stesso non presenta rilevanti differenze con la sentenza giudiziale sotto il profilo della procedura.

Entrambe le procedure si caratterizzano nell"applicare e interpretare la norma al caso concreto o, nel caso di pronuncia secondo equità, nell"utilizzare i poteri equitativi in accordo con il criterio di giudizio prescelto dalle parti.

Le maggiori differenze si riscontrano semmai osservando che il giudice ordinario svolge la propria attività all"interno di un"istituzione mentre l"individuazione del luogo in cui gli arbitri si riuniscono segue una disciplina meno vincolante in cui la scelta della sede dell"arbitrato spetta alle parti o, in subordine, agli arbitri.

Dalla data della sua ultima sottoscrizione il lodo produce i medesimi effetti della sentenza pronunciata dall'autorità giudiziaria e, in tema la pubblicazione del lodo, la decisione degli arbitri deve essere portata a conoscenza delle parti in qualsiasi modo, dovendosi riconoscere al lodo carattere recettizio.

L"art. 827 c.p.c. statuisce che il lodo può essere soggetto ad impugnazione unicamente nei casi espressamente previsti, ossia per: "Per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo".

Il primo e più rilevante motivo d"impugnazione del lodo è rappresentato dalla nullità dello stesso (artt. 828-830 c.p.c.)

La legge stabilisce il termine di novanta giorni a decorrere dalla notificazione del lodo entro il quale deve essere proposta l'impugnazione per nullità davanti alla corte d'appello nel cui distretto vi è la sede dell'arbitrato.

Decorso un anno dalla data dell"ultima sottoscrizione del lodo non sarà più possibile proporre alcuna impugnazione.

Quanto disposto dall"ultimo comma dell"art. 828 c.p.c., richiede di fare un preliminare riferimento al tema della correzione del lodo.

Ai sensi dell"art. 826 c.pc. è previsto che, su istanza di almeno una delle parti, gli arbitri possano correggere nel testo del lodo omissioni, errori materiali o di calcolo.

Gli arbitri potranno altresì integrare il lodo con uno degli elementi indicati nell'articolo 823 c.p.c. (il nome degli arbitri; l'indicazione della sede dell'arbitrato; l'indicazione delle parti; l'indicazione della convenzione di arbitrato e delle conclusioni delle parti).

Tornando a quanto disposto dall"art. 828, comma 3, c.p.c. in tema d"impugnazioni per nullità è previsto che l'istanza per la correzione del lodo non sospende il termine per l'impugnazione ma, tuttavia, può essere proposta l"impugnazione del lodo limitatamente alle parti corrette nei termini ordinari, a decorrere dalla comunicazione dell'atto di correzione.

Così come evidenziato a suo tempo dalla corte di Cassazione con sentenza 7.8.1972, n. 2630, l"elencazione dei motivi d"impugnazione prevista all"art. 829 c.p.c. è tassativa, in ragione del carattere d"impugnazione a critica vincolata.

In considerazione del medesimo principio discende il divieto per la corte d"appello di esaminare d"ufficio i motivi di nullità non dedotti dalle parti, con l"unica eccezione dei casi d"inesistenza.

In caso di accoglimento dell"impugnazione per nullità la corte d'appello dichiara con sentenza la nullità del lodo.

Viene riconosciuta espressamente la possibilità che se il vizio incide su una parte del lodo che sia scindibile dalle altre, la corte d"appello dichiara la nullità parziale del lodo, riconoscendo l"efficacia tra le parti della parte non viziata del lodo.

Su istanza di parte, anche successiva alla proposizione dell'impugnazione, la corte d'appello può decidere di sospendere con ordinanza l'efficacia del lodo, a condizione che ricorrano i gravi motivi previsti dall"art. 830, ultimo comma, c.p.c.

Come già si è avuto modo di dire, il lodo è soggetto all'impugnazione anche per revocazione e per opposizione di terzo (art. 831 c.p.c.).

Sul punto, assume grande rilievo l"ultimo comma dell"art. 831 c.p.c., che dispone: «La Corte d'appello può riunire le impugnazioni per nullità, per revocazione e per opposizione di terzo nello stesso processo, se lo stato della causa preventivamente proposta consente l'esauriente trattazione e decisione delle altre cause.»

In relazione a quanto disposto all"ultimo comma in tema di riunione dei mezzi d"impugnazione, risulta tuttora aperto il dibattito se possa procedersi alla sospensione del lodo e, nell"eventualità, quale dei tre giudizi debba avere la priorità.




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film