Deboli, svantaggiati  -  Redazione P&D  -  19/06/2021

Il patto di rifioritura – Paolo Cendon

# 1 - Il rapporto Diritto Civile - Salute/Fragilità Mentale   si è sempre posto, nel nostro paese, in maniera problematica.

  1. 1986, bozza ADS Cendon >>> attenzione rivolta in prevalenza alle questioni economiche-patrimoniali del portatore di fragilità.
  2. Sin dal 2004, boom di richieste effettuate agli amministratori di sostegno, da parte di medici e chirurghi: in vista dell’emissione di un consenso sanitario informato, a vantaggio di un paziente privo di lucidità.
  3. Reazione all’inizio un NO secco: l’AdS non poteva servire tecnicamente a impieghi simili.
  4. Ben presto ecco l’orientamento rovesciarsi: non c’era altra strada praticabile nel sistema; da allora in poi l’indirizzo ‘’filo sanitario’’, nell’istituto, non è più venuto meno. 

 

# 2 - In realtà le cose potevano andare lisce, sulla carta, solo in certi frangenti: quelli di un paziente che  – nel suo stato di nebbia, più o meno profondo - non dicesse nulla in tema, oppure lasciasse intendere di essere d’accordo con il medico.

  I dubbi cominciavano nei tribunali, non appena si trattava  di un paziente dissenziente: che fare in questo caso?

  È ben noto cosa dica in generale l’art. 32 Cost. – (a) salute come diritto della persona e interesse della collettività – (b) TSO possibili solo in forza di una legge specifica, e sulla base di modalità rispettose della dignità della persona.

  L’occhio del Costituente rivolto ad Auschwitz, a Dachau, impegno a scongiurare scenari simili per sempre.

  Insufficiente pertanto, senza una precisa legge a monte, un provvedimento del giudice tutelare o un atto amministrativo che nel 2004 pretendesse di autorizzare il medico a fare qualcosa, rispetto a un paziente discorde.

  E siccome in materia esisteva solo il TSO della 180, quella e solamente quella poteva essere – ecco la conclusione - la via d’uscita.   Ove mancassero presupposti del genere non si poteva fare nulla, salvo che a livello penale.

  L’AdS come legge in vigore?  Non si era espressa esplicitamente, al riguardo; non andava bene come contenitore, in vista di un intervento sanitario imposto.

  Il beneficiario  dissenziente restava libero, in definitiva, privo di appoggi sanitari, senza cure di sorta: sostanzialmente abbandonato a se stesso.

 

  # 3 - Chi culturalmente-operativamente disapprovasse un vuoto del genere – familiare, giurista, psichiatra, assistente sociale, medico di famiglia, cancelliere, assessore … -  non aveva che da inventarsi lui,  si diceva,  una legge ad hoc. 

  E cercare di farla approvare dal Parlamento.

  # 4 - Ben presto si manifestarono, specie fra le associazioni dei familiari, serie perplessità rispetto a tale regime ‘’selvaggio’’.

  Anche perché i meccanismi del TSO psichiatrico cominciavano, via via,  a svelare i loro limiti: del tutto burocratica la competenza del sindaco, spesso astratta la garanzia dei due medici, troppo medicalistica  e a-relazionale l’impostazione normativa, eccessi di  macelleria e farmacologia nell’impianto applicativo, troppo pochi i sette giorni, o anche sette + sette nella maggioranza dei casi,  assente l’impianto esistenzialistico-relazionale,  tardivo il ruolo di controllo affidato al giudice tutelare.

  Basaglia avversava personalmente tutto ciò.

  E d’altro canto - a peggiorare il quadro - neanche un meccanismo farraginoso come il TSO psichiatrico del ’78 risultava applicabile al campo delle dipendenze.

  Dove si annidavano, in effetti, molti fra i casi umani più drammatici: alcol, droga, gioco, disturbi dell’alimentazione, soggezioni casalinghe o succubanze istituzionali alla vergogna e alla violenza, e così via. 

  Situazioni in cui la psichiatria ‘’non entrava abbastanza’’, e per quali il black-out protettivo riservato alla persona – ecco il verdetto - era davvero totale.

   Cosi,  di Pamele Mastropietro e di Desirèe Mariottini (ricordate?) ne sarebbero morte tante in  Italia.

  Le crisi in action della 180,  in tante zone del paese, il ridimensionarsi di tanti bei sogni del 1978, nella realtà, avrebbero provveduto a fare il resto.

 

  # 5 - Il boom dell’Ads negli ultimi 10 anni ha dato il colpo mortale, sul piano operativo, al vecchio impianto.

  È iniziata così, consolidandosi ben presto nei numeri, la propensione dei Giudici Tutelari a conferire agli amministratori di sostegno, nei vari decreti istitutivi, ampie deleghe d’intervento – di ordine anche esclusivo, più o meno incapacitante.

  • Deleghe conferite non soltanto, si badi, a livello patrimoniale (banca, fatture, condominio, locazioni, tasse, pensioni ..),  
  • oppure a livello familiare, personale e residenziale (no matrimonio, no quella badante, no testamento, no quella convivenza, no donazione, sì casa di riposo),
  • bensì anche a livello Medico, come adesione-approvazione   ai piani d’intervento via via proposti dalle autorità sanitarie.

 

  # 6 - Si faceva sentire in tutto ciò, dall’alto, la concezione generale di salute propugnata dall’OMS, ben nota a tutti:

  • Salute non soltanto quale medicina, siringhe, diagnosi, cartelle cliniche, interventi chirurgici,
  • Bensì salute quale benessere complessivo della persona,
  • Il che significherà in concreto - oltre alle voci della medicina - casa, diritti civili, matrimonio, scuola, lavoro, che funzionino, affettività, tempo libero, relazionalità, che prosperino, sovranità testamentarie, creatività, cittadinanza, libertà di gestire il proprio denaro.

  Perciò

     Se in presenza di determinati presupposti di ‘’non autonomia grave’’ e di ‘’seria fragilità individuale’’ era pacifica ormai, in sede di amministrazione di sostegno, l’ammissibilità di restrizioni e di vincoli,  introdotti sui vari crinali  di cui sopra, aventi a che fare con la salute in senso ampio,

   ebbene, come discriminare\ignorare l’altro ‘’spezzone salutistico’’, come non immaginare cioè soluzioni analoghe anche per voci come le pillole, le benzodiazepine, il litio, i test diagnostici, una contenzione prudente, l’astinenza farmacologica, la comunità, i neurolettici, la sedazione, i colloqui con uno specialista, e così via?

 

  # 7 - Questa la situazione odierna.

  Non abbiamo numeri precisi, non si sa esattamente quanti - dei 300.000 procedimenti di ADS oggi pendenti - si occupino di infermità mentali e di dipendenze.

Certamente non pochi.

  E non sono rari    i decreti che, per ragioni di quantità algebrica e di complessità emotivo-sociale delle vicende, soprattutto nei Tribunali meno attrezzati, mostrano oggi di venir   emessi frettolosamente, in condizioni di urgenza, provvisoriamente ma   in realtà semi-definitivamente,  con deleghe in bianco all’Amministratore di sostegno quanto alla concessione di consensi informati,  agli psichiatri che  via via lo richiedono.

  Licenza cioè, per il vicario civilistico, di intervenire in quel contesto    meglio se col consenso dell’interessato, ma eventualmente   anche senza consensi di sorta, agendo cioè - secondo il lessico del diritto civile  -  come rappresentante esclusivo del  beneficiario.

 

  # 8 - A suggellare formalmente tutto ciò, sancendo per tabulas la correttezza dell’impalcatura fin qui descritta, hanno provveduto due passaggi recenti.

  La legge sull’ADS del 2004 non parlava, come abbiamo detto, di rappresentanza esclusiva in ambito sanitario; ammetteva una risposta simile in via generale: riconosceva cioè la possibilità di incapacitazioni su tutti i terreni, imprecisatamente, di fronte a certi presupposti di inadeguatezza gestionale.

  Di scelte sanitarie si è invece parlato in modo esplicito quattro anni fa, con la legge n.219 sulle dat, del 2017.   E l’impeccabilità sistematica di tale indicazione è stata confermata più tardi dalla Corte Costituzionale. Il cerchio ormai si è chiuso.

  ‘’Rappresentanza esclusiva’’ in sanità vuol dire - sottolineiamo - che l’amministratore di sostegno decidera’  lui, in forza dell’investitura dal giudice tutelare, se le richieste formulate del medico vadano  oppure no accolte.

 Pazienza se il sofferente  e’  momentaneamente in disaccordo.

 

  # 9 - Anche l’infermo – si sottolinea -   ha insomma  dei doveri, verso se stesso, verso chi gli è vicino; inutile fingere che non ci siano in lui  momenti occasionali di pericolosità, verso la sua stessa persona, verso gli altri.

   E il paziente avrà comunque diritto che si tenga conto non già delle sue contingenti ombrosità e ribellioni autolesionistiche - bensì del suo segreto e profondo, anche se in quel momento imbavagliato, desiderio di uscita dal tunnel.

  Se un’indicazione pro esclusività decisoria è stata fornita sul terreno del fine vita, dal legislatore,  a maggior ragione essa potrà valere - si osserva – su terreni certo delicati,   per se stessi, ma sicuramente meno drammatici\irrevocabili, come quelli del disagio mentale o delle dipendenze.

  Anche se la ‘’ricerca del consenso del paziente’’ resterà sempre - rimarchiamo - un imperativo imprescindibile per lo psichiatra, da coltivare accuratamente, nei limiti delle possibilità, in tutte le fasi delle terapie.

 

  # 10 - Ecco allora il c.d.  ‘’patto di rifioritura’’, di cui all’ultimo comma dell’art.411 c.c., nel progetto di riforma Cendon-Rossi Franceschini, oggi pendente al Senato.

  Non più in avvenire, ecco sinteticamente, decreti giudiziali in bianco, automatici, laconici, stile fotocopia.

  Bensì - in un’ottica di rete, con ampi controlli periodici, a livello territoriale -   una serie di paletti posti al potere  del GT,  che attraverso l’AdS affidi il paziente ai  Servizi  sociosanitari.

Non quindi una neo- tenaglia liberticida, tutt’al contrario: una griglia di presidi piu’ minuziosi,  di garanzie,  per sventare i  rischi oppressivi che oggi esistono.

Il diritto civile ha comunque occupato i suoi spazi, oggigiorno, indietro non si tornerà.

No all’abbandono del malato, quindi,  al nulla antipsichiatrico - no però anche agli abusi, alla possibilità di oscure prepotenze\latitanze.

 

Necessità in particolare per il GT  (ecco il testo normativo)  di:

  (a)  “verificare se il rifiuto, totale o parziale, o la revoca del consenso agli accertamenti diagnostici o ai trattamenti indicati per la patologia o a singoli passaggi del trattamento stesso, non risulti in concreto espressione di appropriate capacità e volontà, da parte del beneficiario, in ordine alla salvaguardia del proprio equilibrio esistenziale, dovendosi in tal caso riconoscere alle stesse attenzione e tutela prevalenti”;

  (b)  “riconoscere e rispettare in generale i bisogni, le aspirazioni e i valori del beneficiario”;

  (c)  “procedere solo quando l’assenza di un determinato intervento rischi di pregiudicare gravemente la salute dell’interessato e minacci contestualmente il benessere dei suoi familiari, della parte dell'unione civile o del convivente”;

   (d)  “evitare che risulti compromessa oltre il minimo necessario, nella forma e nella sostanza, la libertà personale del beneficiario”;

  (e) “coinvolgere quest’ultimo, quanto più possibile, nella pianificazione e nell’aggiornamento dei piani terapeutici, trattamentali e di assistenza”.




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