-  Redazione P&D  -  03/05/2017

Il paziente Ulisse e la libertà perduta: dal TSO alla S.V.A.M.A. - Paolo Zatti

Il  paziente Ulisse e la libertà perduta: dal TSO alla S.V.A.M.A.

 

Chiamerò il mio amico Ulisse. Ha 74 anni. E"stato ed è  un uomo molto intelligente, colto, conversatore piacevolissimo, dal  tratto gentile ed elegante che facilmente  conquista. Se scrivesse un"autobiografia, racconterebbe di una storia familiare segnata da grande sofferenza; direbbe di  una sua lotta solitaria per affermarsi, di un curriculum  sfavillante di studente universitario,  di un posto di rilievo nell"amministrazione pubblica; direbbe dei molti  personaggi che ha conosciuto, di amicizie e cenacoli, di amori  sempre condotti – come gli piace dire – "secondo le regole della cavalleria";  direbbe di saggi  che ha scritto, pubblicati in riviste di rilievo.

E qui, alla sua età d"oro, forse si fermerebbe, perché andare oltre sarebbe doloroso. Qui comincia la storia che gli ho chiesto di poter raccontare.

Attorno ai  cinquant"anni, con un"accelerazione progressiva, tutto si oscura e si sgretola.

Ulisse attraversa grandi delusioni, scacchi e ostilità. Ne risente profondamente, inizia a vedere nemici dappertutto. Il suo senso di giustizia lo spinge a gesti di denuncia: si crea nemici veri. Contrasti crescenti nell"ambiente di lavoro diventano emarginazione: si trova relegato senza mansioni in un ufficio deserto. Si chiude in una solitudine crescente, il senso di persecuzione diventa dominante. Non si presenta al lavoro, prima per giorni, poi per settimane. Infine, senza dare dimissioni,  non si fa più vivo. Perde il posto, è inseguito da intimazioni a restituire una somma rilevante di stipendi indebitamente riscossi.  Si dilegua. Cambia città, vive finché può bruciando i risparmi, e poi del ricavato della vendita di un piccolo immobile al paese natale. Non ha più amici né aiuti. Totalmente solo,  senza più denaro, con familiari lontani e ostili,  si trova sulla strada. Conosce l"asilo notturno, le cucine popolari.  Il giorno gira  per la città. Si  aiuta  con l"alcol.

Passano  così più o meno sette anni.  La salute ne risente fortemente. Sempre più spesso Ulisse  si ritrova al Pronto Soccorso: viene ricoverato, ripulito, curato e sistemato per qualche giorno, poi riprende la vita di prima.

Un giorno, circa otto anni fa,  ha un malore più grave del solito. Nuovo ricovero. Questa volta  gli esami rivelano  un tumore. Ulisse è operato, si riprende. Dopo una ventina di giorni, è trasferito a Psichiatria per una cura e una  lunga  convalescenza.

Si avviano intanto pratiche per l"assistenza e per la pensione.  Ulisse finalmente è dimesso, e avviato a  una casa di accoglienza di una Fondazione benefica, alla quale versa una retta mensile di 800 Euro dalla sua pensione. Non  si avvia alcun procedimento sul piano della capacità di agire: Ulisse è  ragionevole e parsimonioso; ha ora  un gruzzolo, formato da arretrati della pensione, sulla cui consistenza vigila con molta attenzione. Per gli atti burocratici è aiutato dagli operatori della casa di accoglienza.

Fa una vita limitata, perché i suoi antichi interessi sono difficilmente recuperabili dopo tanti anni.  Ma nella nuova casa ha una camera per sé; le relazioni con gli operatori sono  tutto sommato buone; la cosa cui più tiene  è uscire  da solo per lunghe camminate;  rispetta gli orari di rientro. Ha colloqui periodici al  CSM:  dopo il malore e  l"operazione soffre di ipocondria, che tormenta lui e gli operatori e lo rende frequentatore abituale del Pronto Soccorso. Si sente spesso spento, senza stimoli; chiede e ottiene di poter fare qualche gita da solo con una destinazione e dei tempi che rispetta puntualmente.

Ma in realtà soffre di non essere indipendente e   spesso fantastica di potersene andare a vivere per proprio conto.

Passano così diversi anni, fino alla primavera del 2014.

*  *  *

Nel Febbraio di quell"anno, durante una passeggiata, Ulisse si presenta a un"agenzia immobiliare. Chiede di poter affittare un appartamentino.  Nel suo modo elegante, dà corrette informazioni sulla sua pensione. Gli viene fatta una proposta, un mini ammobiliato ma centrale,  in un immobile un po" acciaccato ma dignitoso. L"affitto e le spese di condominio sono sostenibili con la metà della pensione. Ulisse accetta. Viene presentato alla proprietaria,  che conquista con un perfetto baciamano e una elegante conversazione. Dopo qualche giorno si firma il contratto. Ulisse versa il deposito. E  annuncia alla casa di accoglienza la novità e la sua decisione di andarsene.

Sorpresa e sconcerto. Che fare? Si tenta di persuaderlo a sciogliere subito il contratto. Ulisse rifiuta ostinatamente: non è interdetto né inabilitato, i soldi sono suoi, la vita è la sua. Gli si fanno presenti le difficoltà: chi gli farà da mangiare? chi gli pulirà la casa? chi lo aiuterà la mattina a farsi la barba e a vestirsi come si deve? chi gli farà il bucato? chi lo  accompagnerà negli uffici, e dal medico? chi lo aiuterà se la notte avrà paura di sentirsi male? A tutto Ulisse ha una sua risposta: mangerà come un tempo,  alle cucine popolari; spenderà dalla sua pensione per  far pulire la casa una volta la settimana; per vestirsi e farsi la barba, se la caverà; la biancheria la porterà in lavanderia. Sottovaluta: ma si arrocca, e non si lascia persuadere.

Gli operatori avvisano l"assistente sociale e lo psichiatra del CSM.  Il caso ha delle singolarità. Si fa una riunione con il responsabile della casa di accoglienza. Dopo ampia discussione, si decide di tentare un" assistenza  a domicilio: Ulisse riceverà una volta al giorno dal Comune  un contenitore con i due pasti; avrà ogni mattina  a casa un"operatrice per un paio d"ore,  per seguirlo nelle pulizie personali e rassettare la casa.

Ulisse si impegna a ritirare le sue pastiglie al CSM 5 giorni la settimana: il Venerdì riceverà le dosi del Sabato e della Domenica.  Quanto alla gestione della parte burocratica – banca, pensione, documenti, pratiche -  Ulisse sarà aiutato da due amici   che si impegnano a seguirlo  per il tempo necessario a nominare un amministratore di sostegno; accetta di proporre la domanda, a patto di conservare l"amministrazione ordinaria del suo peculio. Si farà periodicamente  il punto della situazione.

La cosa si avvia  bene, e prosegue senza difficoltà per mesi. Ulisse impara ad usare il microonde, fa la spesa per quel che gli manca, continua la sua vita di camminatore, frequenta qualche bar senza mai prendere alcolici. Non ci sono guai con i vicini. La casa è pulita.

Con il passare dei mesi, e il primo inverno, le visite al CSM si diradano. Come tante persone nel suo stato, Ulisse è convinto di poter vivere senza terapia. Dovrebbe essere seguito a domicilio.  Non si potrebbe avere, riducendo gli altri aiuti, la visita di un infermiere almeno tre volte la settimana, per la terapia? Pare di no: chi paga pasti e pulizia è il Comune, l"infermiere è della Ulss;  la destra non sappia quel che fa la sinistra. Un servizio a domicilio per far assumere le pastiglie non si dà.

Nonostante questo, si va avanti tutto sommato bene per un anno e mezzo. Nel  secondo inverno le cose peggiorano. Le  visite al  CSM si diradano, la terapia diventa irregolare: Ulisse - sempre in ansia per la sua pressione- comincia ad autoprescriversi Valium e  diuretici, che riesce ad avere in farmacia. La notte, preso da spavento per disturbi che sente,  chiama aiuto dai vicini o telefona al pronto Soccorso. Un brutto giorno, alla porta della sua farmacia favorita, cade  a terra; il farmacista lo soccorre, chiama l"ambulanza. Ma si è trattato di un eccesso di diuretici, Ulisse è "rilasciato" e torna a casa sulle sue gambe. Ma per poco:  un episodio fa precipitare le cose. 

*  *  *

Nel secondo anno di libertà, dopo aver "bruciato" diversi medici di medicina generale, Ulisse ha  la fortuna di trovare un medico accogliente e paziente, che  lo segue per quasi tutto il tempo della sua  vita indipendente. Ma  pochi giorni dopo le dimissioni, per un rifiuto ricevuto, Ulisse cambia medico; e ne  sceglie un altro "al buio" , cioè in base all"indirizzo.

Incappa in un professionista di buona fama, ma con un difetto non raro tra i medici di base: considera il paziente psichiatrico come un impiccio gravosissimo e un rischio di responsabilità.  Nel primo incontro,  c"è solo impazienza e incomprensione. Ulisse non ha appuntamento,  non ha la documentazione,  si dilunga sui suoi problemi di pressione. Il medico ha in mente altro : come mai  questa persona in terapia psichiatrica e con un malore recente, è stata rimessa in circolazione? si scaricherà su di lui il compito di seguirla e forse il rischio di più gravi malori? e come mai non ha il certificato psichiatrico? Invano Ulisse tenta di usare, come  suole,  la massima cortesia,  e  si esibisce in ripetute  attestazioni di grande stima. Bisogna recuperare il certificato .  Il medico chiama  il CSM, e dopo  breve spiegazione telefonica,  rinvia la questione all"indomani. La  mattina successiva non sente ragioni e  chiede il TSO .

La libertà di Ulisse è finita.

*  *  *

Ma non finisce la cronaca, che anzi qui diventa interessante per i giuristi .

Ulisse rimane ricoverato nel reparto Psichiatrico per circa un mese. Nel frattempo, si pensa al suo futuro. Si esclude di riprendere l"esperimento di vita  autonoma, che si considera fallito. La casa di accoglienza da cui è uscito due anni prima non è più disponibile. Non resta che la soluzione di una casa di riposo per anziani.

Ulisse riceve la notizia  che sarà dimesso; ma gli si spiega che riprendere la vita autonoma è impossibile e che lo aspetta un posto in una casa per anziani.  Ulisse, che anelava  al suo appartamentino, vorrebbe resistere; ma non c"è alternativa. Ulisse si adatta all"idea: in "casa di ricovero" , a 73 anni, si può anche andare; sarà una vita da collegio, ma non da ospedale psichiatrico.

Il giorno delle dimissioni diventa  dunque il giorno del trasferimento. Un"ambulanza trasporta  Ulisse a destinazione. La casa per anziani  è un grande e composito  edifico: ha  un giardino, un largo atrio con bar interno, salette di lettura con con un paio di scaffali di libri, giornali. C"è una sala dove spesso si fa  musica popolare o  altri intrattenimenti. Una palestra. Il personale è gentile, salvo le inevitabili eccezioni. C"è lo psicologo, il medico, gli infermieri.

Il reparto cui Ulisse è assegnato è  piccolo:  una decina di stanze a due letti in un corridoio angusto. Si esce e si entra  solo dall"ascensore – salvo la scala di sicurezza. Ulisse divide una camera con una persona non in grado di comunicare né di lasciare il letto. Gli ospiti sono tutti in carrozzella, i più soffrono anche di  gradi diversi di demenza.  Il vitto e gli orari sono quelli  adatti ai degenti. Il pranzo alle 11.45, la cena alle 17,45. Tutti a letto alle 19.30 . Chi ha la televisione in camera, può vederla fino alle 21. Dopo quell"ora, si dorme.

Quando Ulisse esplora i locali "comuni", si accorge che che la situazione è eguale o simile nei vari reparti. Dei tanti ospiti,  è uno dei pochi che possono camminare, leggere,  comunicare senza difficoltà. Ma soprattutto, le regole della casa prevedono che Ulisse – come tutti i ricoverati – non possa uscire dalla struttura se non accompagnato. La casa può garantire un accompagnamento di un"ora e mezzo la settimana. Di più, si può avere a pagamento.

In pochi giorni Ulisse si rende conto di essere "in trappola": è in sostanza recluso a tempo indeterminato. Dopo un paio di settimane, Ulisse è ossessionato dal senso di reclusione. Gran camminatore solitario, ha a disposizione tre corridoi e un giardino cintato ampio ma "di città".

Di giorno sente noia e si butta a letto; si assopisce, e la notte non dorme: ma non può uscire dalla camera. Gli spettacolini non lo interessano, legge i giornali ma non è più da tempo un lettore di libri. Gira per l"atrio, su e giù. La notte ha attacchi di claustrofobia.

Gli amici si ingegnano per farlo uscire. Si organizzano anche uscite con accompagnatore a pagamento.  Ma l"unico piacere rimasto a Ulisse erano le  sue lunghe solitarie  passeggiate per la città, la sosta al bar,  vedere la vita.  Quella era la sua libertà: uscire un"ora accompagnato, è solo un esercizio fisico. E poco.

Si  fa domande: come possono proibirmi di uscire? Sono forse  qui in TSO? No, il TSO è finito, sono stato dimesso dal reparto psichiatrico. Non sono interdetto. L"amministratore di sostegno non ha titolo a decidere una mia reclusione.  Non ho, come tanti altri ospiti, difficoltà di deambulazione. Dal punto di vista organico non sono a rischio se cammino.Non soffro di disturbi dell"orientamento.  Conosco la città come le mie tasche. Per sette anni nella casa di accoglienza sono uscito e rientrato sulla parola. Sono rientrato anche la sera in cui avevo le chiavi del mio appartamento.

Ulisse pensa: e se domani esco, chi mi può fermare o riportare qui?

*  * *

Le risposte ad Ulisse stanno  in un meccanismo che non tutti conoscono, perché  dal diritto nazionale di fonte legislativa si passa a quello di livello  regionale e regolamentare.

Operazione preliminare per l"accoglienza in una casa di riposo è la "Valutazione multidimensionale dell"anziano", che riguarda: salute, autosufficienza, rapporti sociali, situazione economica.  La valutazione viene effettuata dalla Unità valutativa multidimensionale distrettuale (Uvmd), cioè da un'équipe di operatori sociali (assistente sociale) e sanitari (medico di famiglia – nel caso Ulisse, il medico che ho ha "conosciuto" per mezz"ora! - infermiere, medico di distretto…). La valutazione  è raccolta in una scheda cosiddetta S.V.A.M.A.,  che riassume tutte le informazioni utili a descrivere, sotto il profilo sanitario e socio-assistenziale nonché delle abilità residue, le condizioni dell'anziano ed  è composta da 4 sezioni che valutano ciascuna  un aspetto diverso.

Orbene, una delle 4 sezioni della S.V.A.M.A. riguarda l"autosufficienza della persona. Questa valutazione si riassume in un punteggio finale sulla base di 120 punti. Fino alla soglia dei 60 punti, la persona è qualificata come autosufficiente: sopra la soglia dei 60 comincia la non-autosufficienza.

"Autosufficienza" è, naturalmente, un concetto poliedrico: ci sono aspetti diversi di non-autosufficienza, che possono riguardare specifiche abilità. Ma nella S.V.A.M.A. quel che conta è il punteggio complessivo, e la conclusione non è "mirata" ma totalitaria : autosufficiente o non-autosufficiente. Non autosufficiente a che? Non interessa: se il punteggio  supera 60, si esclude "l"autosufficienza"  senza perdersi in specificazioni: e la persona non uscirà più  da sola: se lo facesse, la struttura sarebbe responsabile di ogni danno  che la persona – dichiarata non-autosufficiente –cagionasse  a sé o agli altri. Quindi, porte chiuse salvo accompagnamento.  Punto.

Soluzioni intermedie in qualche istituto? Scomparse: l"ambiente "case di riposo" si è da tempo organizzato in due standard di ospitalità, i nuclei "aperti" per  autosufficienti e i nuclei "chiusi" per  non-autosufficienti. Il primo standard ha le caratteristiche proprie della "vera" casa di riposo per anziani; il secondo ha piuttosto le caratteristiche di un ospedale per lungodegenti. Difficilissimo, forse impossibile trovare uno standard intermedio.

In questo ambiente a rigido schema binario, il  reduce da TSO, se richiede qualche cura personale più assidua o ha un"incostanza nella terapia,  è destinato allo standard della non-autosufficienza. E dunque, è recluso in una struttura di tipo ospedaliero per persone non autosufficenti. La differenza rispetto al TSO esiste: non si tratta di reparti psichiatrici- semmai di persone con problemi degenerativi; ma il risultato è : clausura a vita.

Un"ultima osservazione, sugli effetti perversi delle provvidenze di welfare. Nel determinare la  sorte dell"anziano influisce   sottilmente ma inesorabilmente  il meccanismo previdenziale che collega  alla qualifica di non-autosufficienza l"erogazione di un contributo per pagare la retta della casa di riposo .  Poniamo un caso X in cui si apra una valutazione con S.V.A.M.A  per richiesta di ricovero  e la persona abbia necessità di prestazioni di cura della persona e terapie.  Se la persona ha mezzi sufficienti a pagare un"alta retta,  si può forse ottenere di ricoverarlo come autosufficiente. Ma se i mezzi personali non bastano, il problema si risolve superando – anche di un solo punto -  i 60 punti nella S.V.A.M.A.

Ulisse ha  una pensione di 1100 Euro.  Un  ricovero  con accudimento e assistenza adeguata prevede una retta di 1900 Euro. Ci vuole un  contributo che gli consenta di pagare la retta di 1900 Euro al mese.  La valutazione di Ulisse è di 68 punti. Tutto a posto.

* * *

Potrebbe Ulisse, che si sente prigioniero,  chiedere di passare a una casa per autosufficienti? Magari dopo avere dimostrato la sua capacità di uscire solo e di mantenere l"impegno al rientro?

In teoria si potrebbe tentare: chiedere la revisione della S.V.A.M.A., anche se con il rischio di una conferma "tombale". Ma come persuadere l"U.d.v.m., o che altro sia, a sancire una riqualificazione  che implica una riconquista di  libertà, e metterebbe una casa di riposo nella condizione di dover seguire il caso, patteggiare un impegno a rispettare regole,  assumere forse dei rischi di responsabilità se Ulisse, una volta, non stesse ai patti o avesse un incidente?  E poi – o anzitutto-  come pagherebbe la quota Ulisse, dopo avere perso il contributo per non-autosufficienti?

Ulisse sogna: se un giorno salutasse e prendesse la porta? Non è in TSO, non è interdetto : perché – pensa qualche volta – non andarmene? Chi potrebbe fermarmi?  E" duro rispondergli, perché a dire  le cose come stanno, e non come dovrebbero stare, l"Ulisse dichiarato non-autosufficiente, uscito da un TSO,  a spasso per il mondo contro le regole della casa,  entro il giro di ore si ritroverebbe con un nuovo TSO, e più diverrebbe "non-autosufficiente" con un punteggio più alto.

Ulisse è dunque prigioniero, ma non di Circe: della S.V.A.M.A.; in un reparto di lungodegenza,  luogo certo  ben diverso da  ospedale psichiatrico - ma con le porte chiuse e vigilate .




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