Letteratura  -  Redazione P&D  -  26/07/2022

Il porcaro e il sanaporcelle - Massimo Paradiso

Tredicesimo giorno. Il buon Sancho avvertiva come sempre più pesante il fardello del giudicare. Sembrava che in quell’isola – a proposito: com’è che tutti ne parlavano come di una città mentre era sicuro trattarsi di un’isola? Forse che i duchi di Alba e Villahermosa non l’avevano preposto a un’isola, come gli avevano annunciato? E su questo si ripromise di chiedere chiarimenti –. Dunque, sembrava che in quell’isola non vi fosse null’altro da fare se non ascoltare litigi e far da giudice; il che gli procurava regolarmente un gran mal di testa, dandogli continuamente da lambiccare il cervello. Solo la sua Dama, ormai, gli dava sollievo e lo confortava un po’; poi però lo metteva immancabilmente in letto, ma senza quei... conforti che sarebbe legittimo attendersi da una dama compiacente... Così, pensava Sancho, la cui testolina si affinava man mano che passavano i giorni. Aveva comunque nostalgia: del suo signore, della sua casa, della sua piccola Sanchita, e sospirava il giorno della riunione con i suoi. Non sapeva però decidersi: era lui che doveva tornare a casa o erano piuttosto i suoi familiari che dovevano venire, per vederlo in tutto il suo splendore di Governatore di un’isola? Rassegnato, si avviò comunque alla sala tomenti, pardon: alla sala d’udienze.

Anche oggi bifolchi, pensò, nel vedere farsi avanti due uomini male in arnese, e così scordando che quella era la sua stessa condizione. Se uno di essi ben poteva passare per contadino, l’altro era sicuramente un pastore: se non altro, non lasciava dubbi il gigantesco paracqua portato a tracolla, di traverso sulle spalle, di un inconfondibile colore rosso. Aveva imparato a riconoscerli per quel particolare: quasi una divisa che accomunava tutti i pastori, di mucche o di pecore. E tale era anche costui, non di pecore né di mucche però, bensì di porci. E fu lui a parlare, dopo molte esitazioni e ripetuti inviti del giudice.

«Vostra Signoria deve sapere che io sono porcaro di porci, e sono figlio di pecorai di pecore che erano figli di vaccari di vacche, che...». «Va bene così – l’interruppe il giudice – Abbiamo capito chi siete, o almeno che cosa fate nella vita. E qui, dite, che cosa ci fate, perché siete venuto? Per chiedere giustizia?». «Oh – rispose il pastore – che mi avete letto nella testa o nel cuore? E come avete fatto?». Tacque l’uomo, che teneva in mano un cappello a falde larghissime: vi si sarebbero riparate almeno tre persone. «Visto che siamo d’accordo sul motivo per cui siete venuto – riprese il Governatore – perché non mi dite contro chi volete giustizia? Verso l’uomo che vi è accanto?». Il pastore stava per rinnovare la sua meraviglia per l’intuizione del giudice ma la faccia scura che questi fece gli fecero in qualche modo capire che doveva venire al sodo.

«Eccellenza, sì. Vostra Signoria però deve prima sapere che essendo io, come sono, porcaro di porci, vendo i porci a chi li vuole... Per mangiarli» aggiunse dopo una breve pausa. «E non per averne compagnia?» se ne uscì il giudice, che non era riuscito a trattenersi, suscitando le risa degli astanti. Il porcaro invece, sovrappensiero, non rilevò l’interruzione e proseguì. «Ora deve sapere vostra Signoria che ci sono tanti tipi di porci, che i porci sono suini e che i porci mangiano tanto, si strafocano a più non posso». Anche qui, dopo l’usuale pausa, parve garbato a Sancho commentare: «Sì, certo. Sappiamo, sappiamo». «Oh – disse il porcaro – ero certo che vostra Signoria s’intende di porci, che chissà quanti ne avrà visti, così come s’intende di porcari...». Impossibile arrabbiarsi con lui, pensò Sancho. C’è solo da evitare commenti. Se no, domani saremo ancora qui. 

«Dunque – riprese l’uomo – Cosa dicevo? Ah, sì. La gente è ignorante e dice porco e basta. Eh, no! Si fa presto a dire porco. C’è porco e porco e i porci sono tutti suini, ma ci sono suini che porci non sono. Vostra Signoria me l’insegna a me: ci sono porci, porcelli e porcellini, maiali, maialini e maialotti, maiali bianchi, maiali neri e maiali pezzati; e poi, cinghiali, cinghialini e cinghialotti, verri e babirussi, potamoceri e iloceri, pècari e facoceri: ma questi solo in Africa che io ci sono stato e li ho mangiati. Buoni, ma sanno di selvatico. E ci sono poi le scrofe e le troie, che però non sono le puttane che vostra Signoria sicuramente conosce, ma le femmine di questi nobili animali...» E qui il buon Sancho si coprì il viso con le mani, mentre tutti si trattenevano a stento dal ridere.

«Ora vostra Signoria deve anche sapere che, se anche i porci mangiano che si strafocano, alla gente piace che mangiano ancora di più: la carne viene più grassa ed è tutto grasso che cola... Però c’è un però. Vostra Signoria m’insegna che, quando il suino si accoppia con la sua scrofa – e dico sua perché è con la femmina suina che si accoppia, non perché sia sua come la moglie è sua di un uomo – dicevo quando il suino si accoppia la sua carne diventa dura e perde il lardo, e perciò c’è meno grasso che cola e la gente piace meno». Insomma, superato l’imbarazzo iniziale al porcaro s’era sciolta la lingua e parlava a ruota libera: allentato lo scilinguagnolo e data la stura alla loquacità, la sua parlantina tracimava ormai in logorrea. Il buon Sancho s’era rassegnato e si guardò bene dall’interromperlo: avrebbe solo allungato la sua verbosità.

«Certo la Signoria vostra sa – continuò imperterrito – che, senza castrazione, la carne suina è riscaldante, infetta, tanto che viene accostata a quella di animali impuri, magari colpiti da panicatura. Ed è per questo che si dice “sanare” il maiale, ma si dice anche regolare o affrancare, e cioè liberare gli animali dalla turbolenza degli umori: l’operazione rende la carne fredda come il ferro, sana e di facile conservazione. Ora trattandosi dei i maschi li castriamo direttamente noi porcari: basta tagliare i..., come si dice...?». «Sappiamo. Sappiamo – intervenne il giudice – andate avanti». «Sapevo di poter contare su persone esperte – riprese il porcaro –. Ad ogni buon conto, saprete anche che per le femmine la sanazione è invece un’operazione difficile, e però sempre necessaria se si vuole migliorare la qualità delle carni. Per questa operazione noi porcari ci serviamo del sanaporcelle, o come anche si dice del castrino, che è un cerusico specializzato nella castrazione delle femmine suine». Certe cose le sapevo pure io, pensava il buon Sancho, ma questo è un vero professore di... suineria, gli venne fatto di pensare. Comunque ne aveva abbastanza. «O ci dite perché siete venuto a darci una lezione di suineria o vi faccio cacciar fuori» intimò. 

«Certo, sua Signoria. Sanate che furono le mie porcelle da quest’uomo, le ho affidate a mio cugino per la stabulazione... e cioè per tenerle chiuse in una stalla e così fare in modo che le carni venivano ancora più tenere e grasse. Erano 12 porcelle, una più bella dell’altra, rosee che parevano rose di maggio. E, visto che erano così belle e tenere, le avevo già vendute al dispensiere del duca d’Alba e ci tenevo a fare bella figura: era previsto un grande pranzo per il suo anniversario di nozze e non si poteva fallare.» «E invece?» investigò il giudice. «Invece quando sono tornato dalla transumanza – io porto gli altri porci al pascolo nelle montagne qui attorno – le ho trovate tutte gravide: certe bestiacce che neanche meritano il nome di porci le avevano coperte e quelle troie si sono fatte ingravidare!». Il porcaro fece una pausa ad effetto, perché tutti considerassero l’enormità dell’accaduto, poi concluse: «Al grande banchetto s’è mangiata solo carne di porco comune, il dispensiere s’è preso sette giorni di carcere duro e, quando è stato liberato, mi ha fatto frustare dalla testa ai piedi ed ha voluto restituito il denaro dei porcelli». 

Si girò verso il pubblico, il querelante, come a chiedere solidarietà. Poi: «Chiedo perciò alla sua Signoria di potere riversare a questo truffatore travestito da sanaporcelle le frustate che ho incassato al posto suo: e dico “riversare” perché sono sue, spettandogli come ricompensa per la sua opera. Chiedo poi di essere rimborsato dei denari che ho dovuto restituire al dispensiere, 500 reali, più i 48 reali ho pagato a questo furfante e altri 200 reali come risarcimento, per i porci che ho consegnato al posto delle porcelle, per le frustate che ho preso e perché ho ormai perduto un cliente come il duca d’Alba». 

L’uomo tirò il fiato, si guardò in giro come a richiamare l’attenzione del pubblico, e riprese: «Chiedo infine di essere rimborsato per quanto dovrò spendere nei prossimi anni per mantenere tutti i porcelli che saranno figliati dalle mie non più intonse porcelle: quelle che ormai devo rassegnarmi a chiamare scrofe se non troie. E il conto è presto fatto: 12 scrofe figlieranno almeno 10 porcellini a testa, per un totale di 240 porcellini. Io non la volevo questa figliolanza delle scrofe perché non la posso mantenere: come ho già detto, pratico l’allevamento in transumanza e perciò sono sempre in giro per lavoro. E neppure la posso affidare a mio cugino per la stabulazione: non ha abbastanza spazio, e poi mi costerebbe troppo. E neppure posso vendere i porcellini appena nati: chi, se non il duca, potrebbe fare una spesa del genere? Ma il suo favore, come ho detto, me lo sono giocato per sempre. E poi, se la vogliamo dire tutta, le mie scrofe, di razza purissima, sono state coperte da maialacci d’infima categoria: non so che cosa ne nascerà. Certo si è che hanno ormai perduto la loro reputazione e non so quali mai altri porci vorranno in futuro accoppiarsi con loro». Si tacque alfine il povero porcaro, in attesa di giustizia. 

«Cos’avete da dire a vostra difesa?» domandò il giudice all’altro uomo, che ora sapeva essere una sanaporcelle (o almeno per tale si faceva passare), nel mentre si augurava che costui dicesse qualcosa che lo aiutasse a decidere: era infatti più confuso che persuaso. L’interrogato assunse un’aria tra il sussiegoso e l’offeso: «Non creda, Eccellenza, a quanto or ora detto da questo porcaro. Chi vi parla è Feliciano Mendoza, soprannominato “Mastro Rosso”. Per comune riconoscimento, sono il miglior professionista del settore, al punto che sono conosciuto come “il cerusico dei suini”: ormai da molti anni pratico la flebotomia su suidi di ogni genere e specie, e mai, mai nessuno s’è lamentato dell’opera mia, a partire dalla mie, dirò così, pazienti». «Volete dire – ironizzò il buon Sancho – che le porcelle non hanno avanzato rimostranze di sorta?». «Voglio dire – rettificò con qualche imbarazzo Felipe – che quasi mai è capitato che qualcuna di esse emettesse lamenti, e cioè gridasse nel corso dell’operazione. E l’operazione avviene senza anestetico!». 

«E come spiegate allora – intervenne il Governatore – che le porcelle non vennero sanate, al punto che stanno per figliare?». «Il fatto è certamente da imputare a una particolare congiunzione astrale: il transito di Urano nel Toro. È a tutti noto che Urano transita in Toro ogni 84 anni e vi resta per circa due anni e mezzo ogni decade. Ed è altrettanto noto che l’effetto di Urano è sempre energetico, avendo questo pianeta una forte “personalità”. Non a caso, in astrologia Urano rappresenta l’imprevisto, le scoperte, l’energia, rende effettivamente più dinamici e più carichi di forza, spinge ad abbandonare i condizionamenti del passato e a cogliere nuove opportunità. È chiaro perciò che l’organismo delle porcelle ha reagito: non ha subito passivamente l’asportazione delle ovaie. Probabilmente ha utilizzato l’energia infusa da Urano per formare nuove ovaie. Ecco perché le porcelle di sono trasformate in scrofe. Ma tutto questo io lo sapevo; tanto vero che volevo aspettare ancora un mese prima di fare l’operazione. È lui che non ha voluto» concluse indicando il porcaro. «Eccellenza, non potevo aspettare: eravamo ormai a fine aprile. Dovevo portare gli altri porci in pianura! E questa storia... strologica la sto sentendo solo adesso».

Il pubblico si era diviso in due fazioni: una parte parteggiava per il porcaro, l’altra propendeva per dar ragione al cerusico, il nostro Sancho inclinava per andarsene a pranzo dove lo aspettava la fida Dama Juana. Ma non si poteva. Ancora una volta occorreva occuparsi dei fatti altrui, quando invece gli era sempre stato detto di occuparsi dei propri. Dunque, rimuginava tra sé, ci sono in ballo: belle porcelle che vanno sanate prima di farle finire allo spiedo, un porcaro piagnone che sa tutto della suineria e che chiede come risarcimento tanti reali quanti mai ne ha visti in vita sua e che forse neanche riesce a sommare. C’è infine un sanaporcelle sedicente importante, anzi il primo sanaporcelle di tutta Castiglia e Aragona, che parla di sé come di un cerusico... astrale e che s’intende più d’astrologia che di sanar porcelle. 

Alla fine, risolse di attenersi alle parole dei contendenti. Disse dunque: «Avete entrambi mancato all’onestà e due furbastri non fanno un galantuomo. Il porcaro quando ha provato a spacciare dei porci comuni per porcelle castrate. Ma anche voi, Mastro Rosso, a quanto pare competente in astrologia non meno che in suineria vi siete portato male. Avreste dovuto avvisare il porcaro della particolare congiunzione astrale, se le cose veramente stanno così, e comunque astenervi dal fare un’operazione così a rischio, nonostante le altrui insistenze. Un cerusico-chirurgo quale voi siete infatti non può piegarsi alle istanze del malato quando il suo sapere lo sconsiglia. Vi condanno perciò a restituire i 48 reali malamente incassati e a risarcire i 500 reali che il porcaro ha dovuto restituire al dispensiere. Nulla dovrete invece per i porci consegnati al posto delle porcelle, trattandosi di una frode ordita dal porcaro per coprire l’inganno. Il quale, perciò, si terrà anche le frustate, visto che sono state incassate come ricompensa per la frode. Quanto ai danni futuri paventati da quest’ultimo, chi vivrà vedrà: aspettiamo che danni si diano, così da apprezzarne l’effettiva misura invece di far congetture campate in aria [queste, almeno, le parole registrate nel verbale d’udienza]. La seduta è tolta». 

Brano tratto da

“Chiedo giustizia, Eccellenza..." Resoconto esattissimo delle udienze di giustizia tenute da S.E. don Sancho Panza Governatore dell’isola di Baratteria




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