-  Zorzini Alex  -  22/06/2015

IL SISTEMA DI ASILO ITALIANO MESSO ALLA PROVA DALLA FAMIGLIA TARAKHEL (ECHR 326, 4.11.14) A. D. ZORZINI

"Il Sistema di Asilo Italiano messo alla prova dalla famiglia Tarakhel (ECHR 326, 4.11.14)".

Sistema Comune di Asilo

Regolamento di Dublino

Caso Tarakhel, ECHR 326, 4.11.14

ABSTRACT.

Le norme europee sul Sistema Comune di Asilo prevedono i criteri di ripartizione delle domande di cui al Regolamento di Dublino. L"esigenza di fondo è di evitare il cd. forum shopping e, quindi, la reiterazione della stessa domanda da parte dello stesso istante in Paesi diversi. Conseguentemente, una volta accertata l"identità o l"avvenuto deposito di una domanda di asilo, il diverso Stato chiamato ad esprimersi su una nuova istanza della medesima persona è tenuto a rigettarne la richiesta e a disporre il suo trasferimento verso il Paese competente.

Considerato che non tutti i paesi europei offrono i medesimi standard di accoglienza e di procedimento, vi possono essere dei casi in cui il Regolamento di Dublino preveda il trasferimento del richiedente verso un Paese le cui strutture di accoglienza sono al collasso e/o insufficienti e il cui sistema procedurale pecca -  quantomeno – di efficienza.

A tal proposito, le vicende della numerosa famiglia Tarakhel, più volte spostatasi all"interno dell"UE (§ 1) consentono di fare un check up al Sistema di Asilo Italiano (§§ 2 e 3) e di parametrare l"applicazione delle regole ai diritti custoditi Corte Europea per i Diritti dell"Uomo (§ 4).

 

1. L"insistenza della famiglia Tarakhel.

La famiglia Tarakhel, padre, madre e sei bambini afgani proprio non voleva restare in Italia.

Giunti su un barcone sulle coste della Calabria (il 16 luglio 2011), hanno presentato domanda di asilo politico e, dopo essere stati trasferiti al CARA di Bari, si sono dileguati.

Sono riapparsi in Austria, dove hanno presentato una seconda domanda di asilo.

Tuttavia, il Sistema EURODAC ha rilevato l"esistenza della competenza italiana.

Così, prima di essere qui trasferiti come richiede il Regolamento di Dublino, sono scomparsi di nuovo.

Sono quindi riapparsi in Svizzera, dove hanno presentato la terza domanda di asilo.

Anche qui il Sistema EURODAC ha comprovato la preesistente competenza Italiana.

In tal caso, la famiglia Tarakhel ha presentato ricorso (il 10 maggio 2012) alla Corte Europea per i Diritti dell"Uomo per bloccare il prossimo trasferimento.

 

2. I diritti nella pratica.

In conseguenza di tale ricorso l"intero Sistema di Asilo Italiano è stato esaminato dai giudici di Strasburgo.

Seconda la prassi inaugurata dal caso Hussein, la Corte ha proceduto all"analisi della situazione complessiva per poi giungere alla situazione individuale del richiedente, al fine di verificare la traduzione pratica dei diritti riconosciuti dalla Convenzione Europea sui Diritti dell"Uomo e dal diritto europeo, ivi compreso il Regolamento di Dublino, a beneficio del singolo richiedente asilo.

Benché il diritto d"asilo sia tendenzialmente accogliente (a differenza del diritto dell"immigrazione che è tendenzialmente respingente), simili verifiche hanno dimostrato che le persone e i mezzi presenti sul campo possono non raggiungere gli standard voluti dalle fonti internazionali, europee e nazionali.

La giurisprudenza europea, del resto, è ben consapevole della fallacità degli Stati membri nel dare attuazione pratica ai bellissimi diritti spettanti ai richiedenti asilo.

L"orientamento più recente, infatti, ha del tutto sepolto le decisioni con cui si affermava la presunzione di corretta applicazione del diritto europeo da parte di ogni Stato (K.R.S. c. Regno Unito, 2 dicembre 2008, ric. n. 32733/08; T.I. c. Regno Unito, 7 marzo 2000, ric. n. 43844/98).

Prevale ora l"orientamento secondo cui il richiedente non può essere espulso o trasferito in quello Stato membro in cui vi sia il rischio reale che possa essere sottoposto a trattamenti inumani, o degradanti, o a maltrattamenti, per quanto si sforzi a dare attuazione alle direttive europee (Saadi v. Italy , no. 37201/06, § 152, ECHR 2008; M.S.S. v. Belgium and Greece, n. 30696/09, ECHR 2011, § 365; Soering v. the United Kingdom, 7 July 1989, §§ 90-91, Series A no. 161; Vilvarajah and Others v. the United Kingdom, 30 October 1991, § 103, Series A no. 125; H.L.R. v. France, 29 April 1997, § 34, Reports 1997-III; Jabari v. Turkey, no. 40035/98, § 38, ECHR 2000‑VIII; Salah Sheekh v. the Netherlands, no. 19048/04, § 135, ECHR 2007‑I).

 

3. La tenuta del Sistema di Asilo Italiano.

La sentenza in commento, pertanto, prosegue la verifica caso per caso del sistema procedurale delle modalità di accoglienza poste in essere da ogni Stato membro, questa volta in riferimento ad una famiglia in cui vi sono anche sei bambini.

In particolare, la valutazione dei giudici di Strasburgo ha riguardato tre aspetti del Sistema di Asilo Italiano: (a) la procedura di identificazione dei richiedenti; (b) la capacità ricettiva dei centri di accoglienza e (c) le condizioni di vita in tali strutture.

Riguardo al primo aspetto, la Corte ha ritenuto infondata la pretesa lentezza del sistema di identificazione dei ricorrenti (per di più giunti dal mare) e ha anzi riconosciuto che le autorità italiane hanno impiegato dieci giorni per identificarli, considerato che essi avevano dichiarato delle false generalità.

Secondariamente, risulta dimostrato che il sistema italiano di accoglienza è insufficiente a fronteggiare la situazione attuale.

Facendo riferimento al report del Consiglio svizzero per i rifugiati (SFH-OSAR), alle osservazioni depositate incorso di causa dalle autorità elvetiche e italiane risulta che le grandi strutture come i C.A.R.A. (ex art. 20, d.lgs 25/2008) e i piccoli centri del Sistema P.R.A.R. (ex art. 6, d.lgs 140/2005) offrono 9.630 posti a fronte di 14.184 richiedenti asilo (giugno 2013). Gran parte dei richiedenti asilo, pertanto, non hanno una reale prospettiva di ricevere una qualche forma di accoglienza. Tra l"altro, si nota, il governo italiano non ha mai dichiarato che il sistema combinato C.A.R.A. – S.P.R.A.R. sia in grado di farsi carico di tutti.

In terzo luogo, per quanto riguarda le condizioni di vita all"interno delle strutture realizzate dalle autorità italiane, la Corte si è richiamata alle Raccomandazioni UNHCR del 2012 che non riferiscono di una situazione di violenza generalizzata o di condizioni insalubri; e al Rapporto del Commissario per i Diritti Umani 2012 che ha notato l"esistenza di problemi in alcuni centri riguardanti l"assistenza legale, cure mediche e psicologiche nei centri di prima accoglienza, il tempo per l"identificazione delle persone vulnerabili, il mantenimento dell"unità familiare in caso di trasferimenti.

A tal proposito, la Corte ha concluso che sussiste la concreta possibilità che un numero rilevante di richiedenti asilo qui trasferiti possa essere lasciato o senza alcuna sistemazione, o alloggiato in centri che, a seconda dei casi, sono sovraffollati, senza privacy, poco sicuri per la salute o per la violenza diffusa.

 

4. Non ci sono carenze sistemiche.

Probabilmente non avrà fatto piacere alla famiglia Tarakhel (che ha cercato in tutti i modi di liberarsi dalla presa italiana) sapere che le loro doglianze integrano violazione dell"art. 3 della Convenzione EDU solo nel caso in cui il loro trasferimento non sia preceduto da un"assicurazione individuale con cui le autorità italiane garantiscono a quelle elvetiche che essi saranno presi in carico con modalità adatte all"età dei figli minori.

La Corte, infatti, ha escluso che il trasferimento in Italia violi l"art. 8 CEDU (diritto all"unità familiare), ha escluso la violazione dell"art. 13 (diritto ad un ricorso effettivo) e, si può dire, accolto parzialmente la doglianza circa l"art. 3 (divieto di trattamenti inumani).

Nel fare ciò, la Corte - da un lato - ha escluso che la situazione italiana sia comparabile a quella greca trattata nel caso M.S.S. e - dall"altro - non ha richiamato il concetto di  carenze sistemiche elaborato dalla Corte di Giustizia, capaci di bloccare il trasferimento dublinese (C-411/10 e C-493/10, § 94).

In particolare, non è stato richiamato il caso Abdullahi (C-394/12) che consente al richiedente asilo di opporsi al suo trasferimento verso lo Stato competente solo in presenza delle citate carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza, in conseguenza delle quali vi è comprovato motivo di ritenere che il richiedente subisca trattamenti inumani o degradanti ex art. 4 della Carta (corrispondente all"art. 3 CEDU).

In conclusione, fra i trasferimenti perfettamente eseguibili e quelli non eseguibili perché contrastanti con gli artt. 3 CEDU e/o 4 della Carta dei diritti fondamentali, vi sono quelli che richiedono delle preventive garanzie scritte.

 

5.1 I fatti.

Una intera famiglia afgana formata da due genitori e dai loro sei bambini sono sbarcati sulle coste della Calabria il 16 luglio 2011, dopo aver abbandonato il loro Paese di origine ed essere transitati da Pakistan, Iran (dove la coppia ha vissuto per quindici anni) e Turchia (§§ 9 e 10).

In Italia sono stati identificati conformemente al sistema Eurodac – il che ha permesso di scoprire che essi avevano dichiarato una falsa identità – ed ospitati in un centro di accoglienza.

Dopo dieci giorni sono stati trasferiti al CARA di Bari da dove, poi, si sono allontanati.

La famiglia è quindi giunta in Austria dove ha presentato una seconda domanda di asilo.

Tale domanda è stata rigettata perché l"indagine Eurodac ha rivelato l"esistenza della competenza italiana (§§ 11 e 12).

La famiglia si è poi trasferita in Svizzera dove ha presentato una terza domanda di asilo al Federal Migration Office (FMO), esprimendo che le condizioni di vita in Italia erano difficili e che sarebbe stato impossibile per loro trovare lavoro (§§ 13 e 14).

La domanda è stata rigettata e il FMO ha chiesto alle autorità italiane di prendersi cura degli afgani che sarebbero stati trasferiti (§§ 15 e 16).

La famiglia ha presentato ricorso alla Federal Administrative Court sostenendo che il sistema di accoglienza italiano viola l"art. 3 della Convenzione EDU per le difficili condizioni in cui vengono a trovarsi i richiedenti asilo e che le autorità elvetiche non avevano prestato sufficiente attenzione al loro caso (§ 17).

La Federal Administrative Court ha rigettato il ricorso e ha confermato la decisione del FMO sostenendo che non era stata provata la violazione da parte dell"Italia della presunzione di ottemperanza degli obblighi derivanti dal diritto internazionale e che le autorità italiane non avevano avuto l"occasione di dare esecuzione a tali obblighi nei confronti della famiglia afgana perché allontanatisi dal territorio nazionale (§ 18).

La famiglia afgana ha presentato nuova domanda al FMO sostenendo che la loro istanza non era stata esaminata in dettaglio, poi trasmessa alla Federal Administrative Court. La corte amministrativa ha qualificato tale istanza come una richiesta di revisione e l"ha conseguentemente rigettata perché non fondata su fatti nuovi (§ 19).

 

5.2 Il ricorso alla Corte EDU.

I due genitori afgani hanno quindi presentato ricorso alla Corte EDU, chiedendo altresì la sospensione del trasferimento in Italia nelle more del procedimento (§ 20).

In particolare, i ricorrenti sostenevano la violazione dell"art. 3 CEDU nel caso fossero stati trasferiti dalla Svizzera all"Italia "in assenza di garanzie individuali sulla loro sicurezza" perché sarebbero stati soggetti a un trattamento inumano e degradante a causa delle sistematiche carenze delle modalità di accoglienza dei richiedenti asilo (§ 53).

Secondariamente, essi sostenevano la violazione dell"art. 8 CEDU nel caso fossero stati trasferiti in Italia dove non hanno legami, non comprendono la lingua e dove verrebbe violato il loro diritto alla vita familiare (§ 54).

A sostegno delle predette domande, i ricorrenti hanno depositato i seguenti report (§ 55):

- the Swiss Refugee Council (SFH-OSAR), Reception conditions in Italy: Report on the current situation of asylum seekers and beneficiaries of protection, in particular Dublin returnees, Berne, October 2013 ("the SFH-OSAR report");  

- PRO ASYL, Maria Bethke, Dominik Bender, Zur Situation von Flüchtlingen in Italien, 28 February 2011, www.proasyl.de ("the PRO ASYL report");  

- Jesuit Refugee Service-Europe (JRS), Dublin II info country sheets. Country: Italy, November 2011 ("the JRS report");  

- Office of the United Nations High Commissioner for Refugees, UNHCR Recommendations on important aspects of refugee protection in Italy, July 2012 ("the 2012 UNHCR Recommendations");  

- Nils Muižnieks, Council of Europe Commissioner for Human Rights, published on 18 September 2012 following his visit to Italy from 3 to 6 July 2012 ("the Human Rights Commissioner"s 2012 report);  

- the European network for technical cooperation on the application of the Dublin II regulation, Dublin II Regulation National Report on Italy, 19 December 2012 ("the Dublin II network 2012 report"). 

La Corte, richiamando il proprio potere di riqualificare i fatti dedotti dalle parti, ha ritenuto di esaminare il ricorso in riferimento all"art. 3 (e non anche dell"art. 8).

Secondariamente, poiché i ricorrenti hanno lamentato che le autorità svizzere non hanno preso sufficientemente in considerazione il loro caso, trova applicazione l"art. 13, letto congiuntamente all"art. 3 della Convenzione EDU (§§ 55 e 56).

 

5.3 Le contestazioni relative all"art. 3.

I ricorrenti hanno sostenuto la violazione dell"art. 3 in relazione a tre aspetti (§ 57).

a) Lentezza del procedimento di identificazione (§ 58).

In particolare, si è eccepito che l"effettiva accoglienza presso il CARA o in uno dei locali messi a disposizione dallo SPRAR avviene solo dopo la verbalizzazione della richiesta di asilo. In pratica, accade che fra la richiesta di asilo presentata in questura e la vera e propria registrazione della stessa [mediante la compilazione del cd. Mod. C3, ndr] possono trascorrere delle settimane, durante il quale periodo il richiedente rimane un homeless. Si è, tuttavia, riconosciuto che per i ricorrenti la situazione sarebbe stata differente in quanto essi sarebbero stati trasferiti in applicazione del Regolamento di Dublino e, quindi, titolari di accesso immediato al CARA, alla rete SPRAR e ai centri di accoglienza finanziati dal Fondo Europeo Rifugiati.

b) Capacità delle misure di accoglienza (§§ 59 - 65).

In particolare, si è  eccepito che il rapporto SFH-OSAR attesta 3.551 trasferimenti in Italia nel 2012 (di cui 2.981 dalla Svizzera), a fronte di soli 220 posti disponibili per i "Dublin returnees", per cui la famiglia afgana sarebbe stata priva di una sistemazione propria.

c) Condizioni di vita all"interno delle misure di accoglienza (§§ 66 - 68).

In particolare, si è  eccepito che i rapporti 2012 dell"UNHCR Recommendations  e del  Council of Europe Commissioner for Human Rights attestano condizioni di vita all"interno del CARA (in particolare di quello di Trapani) contrari agli standard della Direttiva Accoglienza e che il CARA di Bari (dove i ricorrenti sono soggiornati due giorni) era privo di privacy.

 

5.4 La decisione della Corte.

Ricevute le osservazioni del governo svizzero (§§ 69 - 75), dei governi italiano, danese, svedese, norvegese, inglese, delle organizzazioni internazionali quali Defence of Children, Centre for Advice on Individual Rights in Europe (AIRE Centre), European Council on Refugees and Exiles (ECRE) e Amnesty International (§§ 76 - 86); preso atto che la famiglia afgana, una volta trasferita in Italia, sarebbe stata ospitata in un Centro di Bologna finanziato dal Fondo Europeo per i Rifugiati - ERF (§ 87), ha ritenuto non contestata la responsabilità del  governo svizzero (§ 88).

In particolare, il giudice di Strasburgo ha ritenuto applicabile anche alla Svizzera il regolamento di Dublino in virtù dell"Accordo di associazione del 2004. Conseguentemente, trova altresì applicazione la cd. clausola di sovranità di cui all"art. 3, co. 2 che, in deroga a quanto stabilito dal comma 1, può consentire allo Stato di esaminare la richiesta di asilo, benché non competente.

In tal modo, si stabilisce, le autorità svizzere ben potrebbero evitare di disporre il trasferimento del ricorrente se ritenessero che lo Stato destinatario non adempisse ai propri obblighi internazionali e, secondariamente, non trova applicazione la presunzione di protezione equivalente (M.S.S. v. Belgium and Greece, n. 30696/09, ECHR 2011, par. 340, §§ 89 – 91).

 

5.5 La decisione di ammissibilità.

Per le ragioni poc"anzi esposte, la Corte ha dichiarato l"ammissibilità del ricorso (§ 92).

La discussione sul merito della questione prende avvio richiamando la propria giurisprudenza riguardante (§§ 93 - 104):

- la responsabilità dello Stato contraente ex art. 3 allorquando siano state esposte argomentazioni sostanziali per credere che il ricorrente andrebbe incontro a un rischio reale di essere soggetto a tortura, a trattamento inumano o degradante o a maltrattamenti (Saadi v. Italy , no. 37201/06, § 152, ECHR 2008; M.S.S. v. Belgium and Greece, n. 30696/09, ECHR 2011, § 365; Soering v. the United Kingdom, 7 July 1989, §§ 90-91, Series A no. 161; Vilvarajah and Others v. the United Kingdom, 30 October 1991, § 103, Series A no. 125; H.L.R. v. France, 29 April 1997, § 34, Reports 1997-III; Jabari v. Turkey, no. 40035/98, § 38, ECHR 2000‑VIII; Salah Sheekh v. the Netherlands, no. 19048/04, § 135, ECHR 2007‑I);

- il livello minimo di severità per valutare i maltrattamenti contrari all"art. 3, il cui standard è sicuramente relativo, in quanto simile valutazione deve tener conto di tutte le circostanze del caso concreto, come la durata di tali trattamenti, le conseguenze psicologiche e, in alcuni casi, l"età, il sesso e lo stato di salute della vittima (Kudła v. Poland, no. 30210/96, § 91, ECHR 2000-XI; M.S.S. v. Belgium and Greece, n. 30696/09, ECHR 2011, § 219);

- il divieto di interpretare il citato art. 3 come fonte per lo Stato contraente dell"obbligo di fornire ad ogni individuo posto sotto la sua giurisdizione di una casa (Chapman v. the United Kingdom, no. 27238/95, § 99, ECHR 2001‑I) o di un sussidio economico per mantenere un certo livello di vita (Müslim v. Turkey, no. 53566/99, § 85, 26 April 2005, and M.S.S. v. Belgium and Greece, n. 30696/09, ECHR 2011, § 249);

- e, per quanto riguarda i minori, deve essere data precedenza alla loro estrema vulnerabilità rispetto allo status di migrante illegale (Mubilanzila Mayeka and Kaniki Mitunga v. Belgium, no. 13178/03, § 55, ECHR 2006‑X; Popov v. France, nn. 39472/07 e 39474/07, § 91, 19 January 2012) e che essi sono titolari di specifici bisogni in considerazione della loro età, mancanza di autonomia e in quanto richiedenti asilo (Popov v. France, n. 39472/07 e 39474/07, § 91, 19 January 2012);

- il superamento della presunzione di rispetto della Convenzione da parte di ogni Stato contraente, partecipante al "Sistema Dublino", allorquando sussistano falle sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza per i richiedenti asilo, con conseguente trattamento inumano o degradante, ai sensi dell'articolo 4 della Carta, dei richiedenti asilo trasferiti nel territorio di tale Stato membro (M.S.S. v. Belgium and Greece, n. 30696/09, ECHR 2011).

Ricapitolati i principi generali, la Corte ha ritenuto necessario applicarli alla situazione individuale dei due ricorrenti afgani.

In particolare, il riferimento alla lentezza delle procedure di identificazione (lett. a del ricorso) è irrilevante, perché essi sono già identificati in dieci giorni, senza dimenticare che i ricorrenti hanno fornito una falsa identità (§ 107).

Secondariamente, quanto alla capacità del sistema di accoglienza (lett. b del ricorso), deve osservarsi che è evidente la discrepanza tra il numero di richieste di asilo nel 2012 e il numero di posti disponibili presso il CARA e il Sistema PRAR (§§ 108 - 110).

In terzo luogo, circa le condizioni di vita all"interno delle misure di accoglienza (lett. c del ricorso), preso atto che i reports depositati dimostrano che alcuni centri di accoglienza sono privi di privacy, non sempre salubri e con violenza diffusa, sorgono seri dubbi sulla capacità del sistema di accoglienza. Di conseguenza, la possibilità che un numero significativo di richiedenti asilo possa essere lasciato senza alloggio o ospitati in strutture sovraffollate, senza alcuna privacy, o anche in condizioni insalubri o poco sicuere, non può essere respinto in quanto infondato (§§ 110 - 115).

In riferimento, quindi, alla posizione individuale dei ricorrenti afgani, la Corte ha ritenuto che – a fronte della non infondatezza della possibilità che un certo numero di richiedenti asilo sia lasciata priva di accoglienza o sistemata in centri sovraffollati e privi di privacy – le autorità svizzere hanno l"obbligo di ottenere da quelle italiane la garanzia che i ricorrenti siano alloggiati in un centro idoneo all"età dei bambini e che la loro famiglia sia mantenuta unita.

Diversamente, senza una simile garanzia individuale da parte delle autorità italiane, la Svizzera si porrebbe in violazione con l"art. 3 CEDU (§§ 116 - 122).

5.6 Non c"è violazione dell"art. 13.

Per quanto riguarda la contestazione circa l"insufficiente attenzione da parte delle autorità elvetiche al caso della famiglia afgana, la Corte ha richiamato la propria giurisprudenza che impone la lettura coordinata dell"art. 3 con il successivo art. 13, secondo cui il concetto di tutela effettiva richiede, in primo luogo, un esame indipendente e rigoroso; secondariamente, la possibilità di sospendere l"esecuzione del provvedimento impugnato (§§ 123 - 129).

Nel caso de quo, considerato che i ricorrenti sono stati intervistati in una lingua a loro nota; che è stato loro richiesto di descrivere nel dettaglio le possibili conseguenze del ritorno in Italia; che essi non hanno fornito alla Corte amministrativa prove del rischio descritto; che tale organo federale ha, quando ritenuto necessario, dato applicazione alla clausola di sovranità ex art. 3, co. 2 del Regolamento Dublino, evitando il trasferimento del richiedente (§§ 130 e 131); ha conseguentemente rigettato la richiesta in quanto manifestamente infondata (§ 132).

 

5.7 Risarcimento del danno.

Da ultimo, la Corte ha osservato che le parti non hanno richiesto alcun risarcimento del danno patrimoniale, limitandosi a chiedere la somma di € 7.500 a titolo di indennizzo del danno non patrimoniale (§§ 133 - 135).

A tal proposito, il giudice di Strasburgo ha sostenuto che il trasferimento della famiglia afgana in Italia senza le dovute garanzie - come stabilito nel capo § 122 della sentenza - porrebbe le autorità elvetiche in violazione dell"art. 3, costituisce di per se stesso un adeguato risarcimento morale (Beldjoudi v. France, 26 March 1992, §§ 79 and 86, Series A no. 234-A; M. and Others v. Bulgaria, no. 41416/08, §§ 105 and 143, 26 July 2011; Nizamov and Others v. Russia, nn. 22636/13, 24034/13, 24334/13, 24328/13, § 50, 7 May 2014) (§§ 136 e 137).

Secondariamente, la Corte ha liquidato la somma di € 7.000 a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, ivi comprese le spese di lite e i costi di traduzione, più ogni tassa addebitabile ai ricorrenti (§§ 138 - 142).




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