-  Mottola Maria Rita  -  09/11/2008

IL TEMPO RITROVATO E LA GIOIA - Maria Rita MOTTOLA

Nelle comunità chiuse ciò che sfugge e si perde è il tempo e lo spazio.
Il tempo invenzione umana, scandisce i nostri comportamenti ma anche il nostro sentire, le emozioni e i ricordi sono pervasi dal tempo e si collocano nel tempo. Lo spazio ci restituisce la capacità di collocarci nel mondo di prendere le distanze dagli altri ma anche da noi stessi e di <<vederci>> ed anche <<comprenderci>>.
In uno spazio immodificabile il tempo fluisce senza che la persona rinchiusa possa in una qualche misura impossessarsene e così il tempo non esiste più, ma l'inesistenza del tempo <<blocca>> anche i pensieri e con essi i ricordi e così le emozioni si diradano e l'anima si inaridisce.
I sentimenti vitali si perdono in attimi infiniti e vuoti. Se di felicità è difficile parlare la gioia assume un contorno più chiaro e appare alla portata di tutti. La gioia è un sentimento meno complesso e più immediato. 

Le strutture totali (case di cura, ospizi, carceri, ma anche case famiglie e centri di accoglienza), tolgono senso al tempo e allo spazio. Tutto è gestito da altri. Il rapporto interpersonale si snatura e si impoverisce. La monotonia, la quotidianità hanno il sopravvento e annientano le differenze appiattendole nel grigiore e nella dissolvenza dell'io.
Come riportare alla vita coloro che sono obbligati a vivere entro un recinto di mura?
Gioia è espressione vitale, sorriso, incontro, commozione. Gioia è la dimensione emotiva di quiete e di serenità ed è, infine, appagamento. La gioia nasce anche dalla soluzione del dolore che passa attraverso il racconto di sé e l’esternazione delle proprie paure.
In situazioni di disagio l’uomo ha necessità di entrare in contatto immediato con l’altro e con se stesso. Le sensazioni devono essere di facile elaborazione e i rapporti non possono essere complicati da implicanze emotive. 

Vantaggi enormi nascono dal rapporto che si instaura con gli animali domestici. Il calore, l’affetto, il contatto sono immediatamente fruibili e consentono il recupero di sensazioni piacevoli ormai sopite. Una bella esperienza di pet therapy è avvenuta alla Casa di Riposo di Boario Terme ed ha visto coinvolti gli operatori, gli anziani e una femmina di cinque anni di samoiedo. <<Dopo le prime sedute si era formato un gruppo stabile di circa venti persone alle quali se ne aggiungevano altre, di tanto in tanto. Jaja si dimostrò subito a suo agio. Giocava, riportava la pallina e mostrava ciò che sapeva fare: seduto, terra, resta.Gli ospiti, la maggior parte dei quali sulla sedie a rotelle o con le stampelle, mostravano molto interesse. L’accarezzavano, facevano domande e, durante la settimana (mi riferivano le animatrici) chiedevano continuamente quando sarebbe tornata. Molti ospiti affetti dal morbo di Alzheimer furono talmente interessati al cane che si misero a raccontare le storie della loro giovinezza dove i cani erano attivi protagonisti come guardiani e conduttori di bestiame, ed ogni volta, il racconto era preciso e coerente con quello della settimana precedente. Al termine del progetto, tutto lo staff si dimostrò entusiasta dei risultati ottenuti dato che mai nessun’altra attività svolta sino a quel tempo aveva suscitato tanto interesse e partecipazione negli ospiti. passava in rassegna gli ospiti uno a uno e, arrivata davanti ad un altro paziente (che non le era mai capitato d’incontrare) si metteva ad annusarlo con metodo e molto impegno; poi, si soffermava a leccarlo sulle parti doloranti o vistosamente violacee della cute. Lo faceva ogni volta, con lo stesso sistema, sempre con un nuovo venuto all’interno del gruppo>> (Fossati 2002, 23). 

L’approccio istintivo consente di percepire immediatamente il contatto caloroso e il piacere che ne deriva si esprime nella volontà di narrare e di recuperare nella memoria i ricordi e di ripercorrere la propria vita.
La possibilità di raccontare se stessi è l’altro elemento indispensabile al recupero e alla qualità della vita emotiva soprattutto nella cura del disturbo psichico. L’intervento dello psicanalista che valuta la sofferenza dell’anima più che la malattia mentale consente di entrare in contatto emotivo con il paziente. <<Nessuna area del comportamento poteva essere riferita a processi puramente legati alla malattia, e neppure a costellazioni esclusivamente interne al soggetto; di queste non era possibile più dare una formulazione riferita a una dimensione esclusivamente mentale, da definire in sé, neppure come modalità fissata di comportamento, che forse un tempo aveva avuto una rilevanza interpersonale, ma che era ormai da ritenersi trasformata in forme permanenti di reazione, modalità interiorizzate di accostamento agli oggetti e alle situazioni, divenute immutabili, e così via. Si trattava di concepire le condotte del ricoverato come fenomeni personali, connessi a momenti attuali, e come risposte vive e attive a configurazioni ambientali presenti, materiali, simboliche e interpersonali >>(De Martis 1980, 195). 

All’interno della struttura è tutto statico: gli individui sono costretti in spazi angusti e lasciati privi di motivazione al movimento (assenza del dove), le occupazioni si ripetono con monotoni, sempre uguali a se stesse, così che il trascorrere del tempo non avviene ed è percepito come inesistente. E’, allora, necessario riaprire gli spazi, soprattutto dell’immaginazione, del dialogo, del confronto, del moto (l’andare verso). Da tale osservazione <<discende che la principale funzione che uno psicanalista deve svolgere è quella rianimativa. Il termine può apparire improprio, se rapportato all’idea di attività a cui rimanda e che in contrasto con l’attesa e l’ascolto, elementi classici del lettino e del lavoro analitico, ma rende bene l’idea della necessità di creare un clima vitale al cui interno possano circolare fantasia, speranze, progetti. E’ assolutamente necessario riflettere sugli spazi della quotidianità, dove si costruiscono quei rapporti che possono collocarsi in uno spazio intermedio fra relazione comune e relazione specializzata, fra spontaneità dell’incontro umano e intenzionalità dell’aspetto terapeutico>>( Schinaia 1998, 8). 

Vi è infine anche la necessità di rielaborare la propria vita per affrontare con dignità e coraggio gli ultimi momenti.
<<Il processo del morire è “la” situazione o il passaggio critico per eccellenza, nel quale di solito avvertiamo il bisogno impulsivo di comunicare – benché non sempre riusciamo a farlo a livelli verbale – e compiamo un bilancio dell’intera vita. Talvolta, la vita che abbiamo vissuto ci potrà allora sembrare spietata ma, in realtà, la risposta adeguata a questo sentimento è l’accettazione veramente profonda, forse non ancora compiuta, del radicale essere limitato che è proprio del vivente. Qui si apre un orizzonte diverso, che impone delle scelte e dunque – esplicite o implicite – esse avvengono comunque. Possiamo lasciarci andare alla depressione e persino pensare al suicidio, oppure possiamo trovare chi ci restituisca la fiducia nella vita che abbiamo vissuto, ci aiuti a portare a compimento l’identità, ad entrare in contatto autentico con noi stessi e con le ragioni che ci hanno guidato nella vita>> (Màdera 2002, 65). 

Questi brevi cenni ci consentono di portare l'attenzione sull'importanza delle scelte che un amministratore di sostegno deve fare per consentire al proprio amministrato di pienamente realizzare se stesso, perché <<al di là di questo cerchio, si apre il campo, sempre più vasto, delle decisioni non patrimoniali: dei consensi che riguardano la sorte fisica della persona e i suoi legami affettivi immediati, e più ampiamente quella vasta identità che si conserva solo attraverso la gestione dei diritti della personalità: la dignità, l’intimità privata, il pudore, l’immagine, la vita di relazione. Come vivere, con chi vivere, a chi affidarsi, come farsi curare, come morire, cosa chiedere ai congiunti per il tempo oltre la propria morte. Siamo in un territorio aperto alla sofferenza, e spesso generato dalla sofferenza: dove è necessario consentire a una decisione di farsi strada nella confusione, nella paura e nel dolore, nella debolezza fisica che agita e annebbia la mente, nella fragilità delle barriere che ci separano da angeli e demoni interiori: là dove si è esposti al gesto, alla domanda, alla freddezza, all’ansia di chi sta vicino>> (Zatti 1999, 10)

BIBLIOGRAFIA
De Martis A.
1980 <<Il Paese degli specchi>> 
Fossati R.
2002 <<Pet Therapy il cane fa da medicina>> in I nostri cani, ENCI, Betagraf Industrie Grafiche, Bologna n. 8
Màdera R.
2002 <<La morte in massa. Violenza, Sopravvivenza, Utopia>> in <<La qualità della morte>>, FrancoAngeli Milano
Schinaia C.
1998 <<Che cosa ci fa uno psicanalista in un ex manicomio?>> in Speciale legge 180 www.pol.it Zatti P.
1999 <<Oltre la capacità>>, Atti del convegno in Psichiatria forense www.pol.it




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