La dovizia del lessico cendoniano, la passione sinonimica e analogica sottende il doppio intento di liberare le parole della tribù dal loro senso veramente impuro (il senso giudicante, discriminatorio) e di ampliare a opportuna dismisura il vocabolario del diritto, per esempio ospitando parole cruschevoli come «malestanti» e al contempo accogliendo vocaboli elementari adeguati alla basilarità delle istanze morali – bene e male, bontà e cattiveria, pentimento e redenzione - , nonché modi colloquiali talvolta elevati a sentenza. Il thesaurus di Cendon è nutrito dall’amplissimo sguardo sull’umano, sul vivente, sull’essere, che comprende “«Animali, piante, pianeti» (Rifiorire) e si fa aguzzo sulla casistica infinita di fragilità, lesioni, risarcimenti.
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La tessitura metaforica è scintillante – l’uso del linguaggio è dunque marcatamente connotativo, traslato, figurato – anche in testi di tipo specialistico, di solito incardinati a un uso denotativo, referenziale, letterale: in Rifiorire, in cui il taglio discorsivo mima lezioni accademiche in forma di conversazione, la macro-metafora della rifioritura, della vita possibile di nuovo dopo la rovina, dissemina irresistibilmente immagini relative al campo semantico della vegetazione, recuperando in chiave antropologica l’idea della natura e dei suoi cicli come prima matrice di significato: l’impoverirsi dell’esistenza è senz’altro un «avvizzire». Anche le richieste concettuali spingono a usi metaforici che, pur mai neutri, mai tendono al criptico: «Il “grande cielo della fragilità” dentro e fuori il codice civile; brandelli dell’umano mal stare, trepidare, accostati fra di loro. Il campionario degli individui imperfetti, meno dotati, a 360 gradi. [...] I consumatori a rinvigorire le battaglie contro la sanità, dunque; il mondo dei bambini che stinge sull’handicap, sulle violenze agli anziani. Gli animali e i morenti che s’intendono, vicendevolmente, lo stalking che insegna qualcosa alla famiglia, la sofferenza che rinsangua il biodiritto. “Sognatori poco fortunati di tutto il mondo, unitevi» (I diritti dei più fragili).
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A tratti, poi, il linguaggio si fa immaginifico, e l’Amministratore di sostegno diventa esperto ‘’in ristagni, in crepuscoli”, mentre in Rifiorire i fragili sono «soggetti impacciati al timone della barca, persi dentro qualche labirinto».
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La barriera tra testo letterario e testo non letterario, si è anticipato, va assottigliandosi: si sconfina addirittura – e non soltanto nei romanzi, quando deliberatamente si scrive letteratura – nei territori del poetico. E’ assidua la cura per i valori del significante, a partire dai suoni: forse da leggere anche su questo versante fonetico è la preferenza sempre più spesso accordata, rispetto al termine «debole», all’affine «fragile», con il suo fonosimbolismo (-fr-) carico di risonanze appunto poetiche. Ricorrono ovunque figure di ordine quali l’inversione, che anticipa il termine anche foneticamente più cospicuo: «Netto è stato il giudice, categorico» (g).
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Le figure retoriche semantiche sono comprensibilmente privilegiate: non solo, come si è visto, la metafora, ma anche l’ossimoro, utile a esprimere ipotesi nuove, complicate ma indispensabili, come le «coazioni benigne».