-  Redazione P&D  -  14/04/2010

IL VALORE SUSSIDIARIO DEL NON PROFIT - Alceste SANTUARI

Molte regioni italiane sono storicamente definite da un contesto di welfare, anche normativo, in cui le finalità e gli obiettivi perseguiti dal settore non profit sono ritenuti meritevoli di tutela. Scopi di rilevanza pubblica “innestati su” iniziative che scaturiscono dalla società civile, che si sceglie le forme gestionali ed organizzative più adeguate per rispondere alla loro mission sociale.

Si tratta di una modalità di applicazione del principio di sussidiarietà, il cui perimetro comprende un ente pubblico impegnato a regolare e rafforzare i comportamenti virtuosi dei cittadini, intervenendo per garantire i diritti essenziali o “minimi” di assistenza, laddove non vi fossero condizioni sufficienti di risposta da parte dei soggetti non profit. In questo contesto, cooperative sociali, associazioni e fondazioni sono chiamati a “provare” non tanto una “bontà” a priori, ma ad affermare la libertà e la responsabilità dei singoli a migliorare la capacità di risposta ai bisogni dei cittadini, in specie di quelli più deboli.

Da ciò consegue che il finanziamento provinciale delle iniziative non profit non può considerarsi conditio sine qua non per “trasformare” gli enti senza scopo di lucro in enti “strumentali” dell’ente pubblico. Non è tentando di “impiegare” le organizzazioni non profit attraverso strumenti e modalità che ultimamente ne snaturano l’indole originaria e le peculiarità relazionali che la società civile può essere aiutata a crescere. Le organizzazioni non profit non sono – come talvolta anche il Fisco sembra considerarle – realtà dietro le quali si celano interessi “privati”, ma tentativi di fornire risposte alle situazioni di disagio (che non certo non mancano in questo periodo storico) che emergono nella società.

A chi sostiene che qualunque intervento del privato nell’assistenza, nella sanità, nell’educazione e nel tempo libero sia inevitabilmente portatore di interessi particolari in contrasto con il bene comune, occorre ricordare che la società italiana è ricca di esempi virtuosi di realtà in cui l’agire delle persone genera benefici per la collettività.

La sussidiarietà non può certo essere utilizzata come una clava agitata in aria da alcuni audaci sostenitori del non profit contro le istituzioni nemiche, affinché queste ultime soccombano e trionfi il privato. Ma nemmeno può invocarsi il diritto dell’ente pubblico di “plasmare” il settore non profit “a sua somiglianza”.

La situazione attuale sembra propizia per unire pubblico e privato (non profit e for profit) nella costruzione di una welfare community, in cui ruoli e responsabilità siano sì condivise, ma chiaramente identificabili e riferibili a modalità di azione e gestione diverse, che chiedono di essere rispettate nella loro autonomia decisionale ed organizzazione.




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