Pubblica amministrazione  -  Alceste Santuari  -  29/11/2021

Illegittimo l’obbligo per i concessionari di esternalizzare – Corte cost. 218/21

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 218 del 2021, ha dichiarato illegittimo l’art. 1, comma 1, lett. iii) della legge n. 11/2016 e dell’art. 177, comma 1 del Codice dei contratti pubblici che imponevano ai concessionari l’obbligo di esternalizzare la maggior parte degli appalti

Con sentenza non definitiva del 19 agosto 2020, il Consiglio di Stato, sezione quinta, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 1, lettera iii), della legge 28 gennaio 2016, n. 11 (Deleghe al Governo per l’attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), e dell’art. 177, comma 1, del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), per violazione degli artt. 3, secondo (recte: primo) comma, 41, primo comma, e 97, secondo comma, della Costituzione.

Le norme oggetto di censura da parte del Consiglio di Stato obbliga(va)no i titolari delle concessioni già in essere, non assegnate con la formula della finanza di progetto o con procedure a evidenza pubblica, a esternalizzare, mediante affidamenti a terzi con procedura di evidenza pubblica, l’80 per cento dei contratti di lavori, servizi e forniture, relativi alle concessioni di importo pari o superiore a 150.000 euro, nonché di realizzare la restante parte di tali attività tramite società in house o società controllate o collegate ovvero operatori individuati mediante procedura ad evidenza pubblica, anche di tipo semplificato.

L’obbligo in parola, riferendosi all’intera concessione, sarebbe “suscettibile di comportare uno stravolgimento degli equilibri economico-finanziari sottesi allo stesso rapporto concessorio in questione, su cui si fondano le scelte di pianificazione ed operative del concessionario/imprenditore”. L’attività di quest’ultimo sarebbe “ridotta a quella di una mera stazione appaltante, con l’unico compito di disciplinare ed attuare, secondo le direttive delle Linee Guida e degli enti concedenti, l’affidamento a terzi, estranei o a sé riconducibili, di quella che originariamente costituiva il proprium dell’unitaria concessione affidata dall’amministrazione”.

L’obbligo di dismissione totalitaria previsto dalle disposizioni censurate, ancorché diretto a sanare l’originario contrasto con i principi comunitari di libera concorrenza, impedirebbe in modo assoluto e definitivo di proseguire un’attività economica intrapresa ed esercitata in base ad un titolo legittimo e snaturerebbe il ruolo del privato concessionario, ridotto ad articolazione operativa dei concedenti, anziché ad operatore preposto all’esercizio di attività di interesse pubblico.

La Corte costituzionale, dopo aver ricostruito l’evoluzione normativa, europea e nazionale, che presidia la materia oggetto della pronuncia de qua, ha ribadito che trattasi di “una disciplina in costante oscillazione ma comunque piuttosto stabile nell’escludere un radicale obbligo di affidamento a terzi, finanche per le concessioni già assentite, rinnovate o prorogate.”

Del reasoning dei giudici costituzionali in questa sede preme evidenziare soprattutto il riferimento alla libertà di iniziativa economica sancita nell’art. 41 della Costituzione. Al riguardo, la Corte ha inteso sottolineare che l’art. 41 postula le legittime aspettative degli operatori, in particolare quando essi abbiano dato avvio, sulla base di investimenti e di programmi, a un’attività imprenditoriale in corso di svolgimento. Uno degli aspetti caratterizzanti della libertà di iniziativa economica è costituito dalla possibilità di scelta spettante all’imprenditore: scelta dell’attività da svolgere, delle modalità di reperimento dei capitali, delle forme di organizzazione della stessa attività, dei sistemi di gestione di quest’ultima e delle tipologie di corrispettivo.

Secondo la Corte, da ciò consegue che, se, legittimamente il legislatore, in base a quanto previsto dall’art. 41 Cost., “può intervenire a limitare e conformare la libertà d’impresa in funzione di tutela della concorrenza, nello specifico ponendo rimedio ex post al vulnus conseguente a passati affidamenti diretti avvenuti al di fuori delle regole del mercato, il perseguimento di tale finalità incontra pur sempre il limite della ragionevolezza e della necessaria considerazione di tutti gli interessi coinvolti. La libertà d’impresa non può subire infatti, nemmeno in ragione del doveroso obiettivo di piena realizzazione dei principi della concorrenza, interventi che ne determinino un radicale svuotamento, come avverrebbe nel caso di un completo sacrificio della facoltà dell’imprenditore di compiere le scelte organizzative che costituiscono tipico oggetto della stessa attività d’impresa.”

Le considerazioni sopra svolte hanno condotto la Corte a ritenere che la previsione dell’obbligo previsto nel Codice degli appalti rappresenti “una misura irragionevole e sproporzionata rispetto al pur legittimo fine perseguito”.

Poiché è necessario bilanciare tutti gli interessi in gioco, la pur legittima aspirazione e volontà del legislatore nazionale di ricondurre al libero gioco del mercato le concessioni ottenute in assenza di procedure ad evidenza pubblica, non possono non essere considerati gli altri interessi rilevanti. Al riguardo, è interessante il passaggio della sentenza de qua ove i giudici costituzionali hanno evidenziato che per quanto le disposizioni contenute nella legge delega n. 11 del 2016 e nel Codice dei contratti pubblici possano in astratto apparire idonee rispetto al fine di ripristinare condizioni di piena concorrenza, non si può certo dire che con “ess[e] il legislatore abbia dato la preferenza al “mezzo più mite” fra quelli idonei a raggiungere lo scopo, scegliendo, fra i vari strumenti a disposizione, quello che determina il sacrificio minore”.

In ultima analisi, la Corte costituzionale ha ribadito che la libertà di iniziativa economica, funzionalizzata al perseguimento di finalità di interesse generale, non può essere compressa a tal punto da alterare la libertà di organizzazione e di gestione dei servizi da parte di soggetti concessionari.


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