-  Redazione P&D  -  30/07/2013

ILLEGITTIMO OBBLIGARE AL CAMBIO DI COGNOME DOPO L'ACQUISTO DELLA CITTADINANZA - Cass., 17.7.2013, n. 17462 - Walter CITTI

Il cambio di cognome coatto, imposto a seguito dell'acquisto della cittadinanza, viola il diritto all'identità personale.

La Corte di Cassazione, con la sentenza 17 luglio 2013, ha accolto il ricorso  presentato da un cittadino peruviano che si era visto mutare il proprio cognome originario ad opera del Ministero dell"Interno  mediante il decreto con il quale gli era stata conferita la cittadinanza italiana per naturalizzazione; decreto che aveva originato la rettifica del cognome anche dei propri figli da parte dell"Ufficiale di stato civile in asserita applicazione dell"art. 98, comma 2 del d.P.R. n. 396/2000. Il Tribunale di Milano aveva accolto in primo grado il ricorso del cittadino peruviano, ma tale decisione era stata ribaltata in secondo grado dalla Corte di Appello di Milano, a seguito dell"opposizione del Comune di Milano e del Ministero dell"Interno. La Corte di Appello di Milano, infatti, aveva ritenuto che la rettifica del cognome sarebbe imposta dall"art. 1 della Convenzione di Monaco che stabilirebbe che "i cognomi e i nomi di una persona vengono determinati dalla legge dello Stato di cui è cittadino", e che " a questo scopo, le situazioni da cui dipendono i cognomi e i nomi vengono valutate secondo la legge di detto Stato", con la precisazione che "in caso di cambiamento di nazionalità, viene applicata la legge dello Stato di nuova nazionalità".

Sulla base di analoga interpretazione,  il Ministero dell'Interno - Dipartimento delle libertà civili e dell'immigrazione -, competente per le procedure di cittadinanza, ai fini della stesura del decreto di conferimento della cittadinanza italiana, utilizza i criteri della legge italiana per la formazione del cognome, imponendo quello paterno, mentre  in diversi ordinamenti stranieri il cognome registrato alla nascita non coincide con quello paterno: dai paesi latinoamericani che prevedono l'attribuzione al minore sia del primo cognome paterno sia del primo cognome materno, ai paesi di tradizione islamica (come nel caso dell' Egitto) ove la parte costituente il cognome è formata dal nome del padre, del nonno o del bisnonno; alla Macedonia e Bulgaria che attribuiscono alla persona di sesso femminile il cognome paterno, ma declinato. Ugualmente, in alcuni Paesi dell"Est europeo, come la Polonia, a seguito del matrimonio, le donne abbandonano o aggiungono al cognome originario quello del coniuge.

Diverse sono dunque le situazioni in cui, al momento del conferimento della cittadinanza italiana, l"interessato/a si ritrova attribuito un cognome diverso da quello originario o posseduto sino a quel momento, con grave lesione del proprio diritto al mantenimento dell"identità personale. Risulta infatti che le circolari del Ministero dell"Interno – Dipartimento Libertà Civili e dell"immigrazione, abbiano disposto  solo per i cittadini spagnoli e portoghesi la conservazione nel decreto di cittadinanza del cognome di cui all'atto di nascita, mentre per tutti gli altri neo cittadini e cittadine italiane il decreto presidenziale o ministeriale adottato riporta il cognome secondo le regole vigenti in Italia (cognome paterno), così modificando eventualmente il cognome dell'interessato/a, di nascita o eventualmente acquisito successivamente. Appare inoltre paradossale che questo sembra avvenire anche con riferimento alle cittadine bulgare, nonostante  la decisione amministrativa presa nei confronti dei cittadini spagnoli e portoghesi sia stata determinata dal recepimento di una sentenza della Corte di Giustizia europea (Garcia Avello C-148/02) e come tale applicabile perlomeno a tutti i cittadini di Paesi membri dell'EU e non solo ad alcuni.

La  giurisprudenza italiana, tanto civile quanto amministrativa, ha più volte sanzionato come illegittima la prassi del Ministero dell'Interno - Dipartimento delle libertà civili e dell'immigrazione, anche con riferimento ai cittadini non comunitari, in quanto in contrasto con una corretta interpretazione della Convenzione di Monaco del 1980:  "il cambiamento di nazionalità cui fa riferimento il 2° comma dell'art. 1 della Convenzione" deve essere inteso solo per il futuro ovvero solo per quelle vicende che possono incidere sul cognome verificatesi dopo l'acquisizione della corrispondente cittadinanza, mentre non può autorizzare a modificare arbitrariamente  e retroattivamente il nome del nuovo cittadino"  poiché "una diversa interpretazione sarebbe contraria allo spirito della citata Convenzione che favorisce l'unificazione del diritto relativo ai nomi e cognomi, ma pur sempre nel rispetto dei diritti fondamentali di ogni cittadino, tra i quali non può non annoverarsi il diritto a mantenere il cognome acquisito quale autonomo segno distintivo della propria personalità e parte essenziale della persona umana" (Tribunale di Reggio Emilia, decr. 29 agosto 2012; Tribunale di Reggio Emilia, decr. 28 maggio 2007, ma anche  Tribunale di Cagliari 18 maggio 2005; Tribunale di Torino 10 marzo 2000, Corte di Appello di Torino 3 giugno 1998, per la giustizia amministrativa: Tar Veneto, sent. 13/2008).

Tali conclusioni vengono ora confermate dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza del 17 luglio 2013. La Corte  infatti afferma che "il nome è incontrovertibilmente un diritto della personalità, tutelato anche a livello costituzionale, oltre che dalla normativa ordinaria (art. 6 c.c.)", per cui "deve ritenersi che una modifica coattiva del cognome potrebbe essere consentita solo in presenza di diritti di rango parimenti elevato". In tale chiave esegetica, va dunque interpretata la norma della Convenzione di Monaca sui cognomi e nomi –prosegue la Suprema Corte – poichè l"acquisizione di una doppia cittadinanza non implica il cambiamento di nazionalità originaria.

Ne consegue - concludono i giudici della Suprema Corte- che il ricorrente, nato in Perù da genitori stranieri, e che ha conseguito la cittadinanza italiana per naturalizzazione, ha diritto  a portare anche in Italia il proprio doppio cognome.

Come  sottolineano i giudici di Cassazione, la prassi del Ministero dell"Interno e degli Ufficiali di Stato Civile che la implementano appare  incoerente con le stesse istruzioni ministeriali diramate con la circolare del 15 maggio 2008, la quale, con riguardo alla specifica ipotesi di cittadino italiano in possesso della cittadinanza di un Paese UE, o anche extraeuropeo, ha escluso la possibilità di correggere, senza il consenso dell"interessato, il cognome attribuito nell"altro Paese di cittadinanza, secondo le norme ivi vigenti.

Appare paradossale inoltre che tale prassi degli uffici amministrativi del Ministero dell"Interno competenti in materia di procedimenti di cittadinanza continui ad essere attuata, quando altri uffici collocati nel medesimo Ministero ne affermino - sostanzialmente, ufficialmente  ed espressamente - l"illegittimità.  E" il caso della circolare n. 14/2012 dd. 21.05.2012 del Ministero dell'interno - Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, che reca disposizioni attuative al d. P.R. n. 54 dd. 13.03.2012, con il quale è stata mutata la normativa e le relative procedure relative alle istanza di cambiamento del cognome, in un"ottica di snellimento amministrativo, per cui ora l"attribuzione del potere decisionale spetta direttamente in capo al Prefetto, mentre al Ministero dell"Interno viene assicurato il compito di emanare le opportune direttive nella materia al fine di assicurare la necessaria coerenza normativa e l"applicazione omogenea della medesima sul territorio. Detta circolare, infatti, richiama la giurisprudenza costituzionale, per cui il cognome della persona ha "funzione di strumento identificativo della persona e, in quanto tale, costituisce parte essenziale ed irrinunciabile della personalità" (sentenza 24.01.1994, n. 13) e, dunque, deve esserne assicurata la tendenziale stabilità ed immutabilità, escludendo quindi che una variazione possa avvenire per atto d"Autorità. La circolare ministeriale, pertanto, dà disposizione ai Prefetti di accogliere, in linea di massima senza preclusioni di sorta, le istanze di ripristino del cognome di origine, proposte da neo cittadini/e italiani/e che si sono visti modificarlo in sede di concessione della cittadinanza italiana, "anche alla luce degli orientamenti costituzionali in materia e ai principi rinvenibili nella decisione della Corte di Giustizia europea (C-353/2008), che ha riaffermato il principio generale dell"intangibilità del cognome originario, con riguardo alla precedente decisione  C-148/02), in quanto identificativo della persona…". Tuttavia, perché obbligare gli interessati a sottoporsi ad un nuovo procedimento amministrativo di ripristino del cognome originario –e per di più a proprie spese e con ulteriori adempimenti e perdite di tempo-  piuttosto che far cessare una prassi palesemente illegittima ed in contrasto con diritti fondamentali della persona?. Onestamente, non si può parlare in questo senso di "semplificazione amministrativa"!!!!

Si ricorda che sulla vicenda l'ASGI aveva già inviato nel febbraio 2009 una lettera al Ministero dell'interno chiedendo una revisione della prassi ritenuta illegittima degli uffici competenti in materia di procedimento di cittadinanza. Alcune amministrazioni comunali, come quella di Bologna, avevano pure espresso la propria contrarietà alla prassi ministeriale.

A cura di Walter Citti, servizio antidiscriminazioni dell"ASGI.




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