-  Comand Carol  -  21/04/2014

IN TEMA DI MISURE CAUTELARI REALI - Carol COMAND

Il sequestro preventivo, disciplinato dall'art. 321 c.p.p., dovere quando si tratti di cosa pertinente al reato -fonda i suoi presupposti sul pericolo che la disponibilità del bene possa aggravare o protrarne le conseguenze ovvero agevolare la commissione di altri reati-, degrada a facoltà quando ne possa seguire confisca e costituisce nuovamente un obbligo, in relazione a taluni delitti.

Salve le ipotesi contemplate nell'art. 321 co. 3 bis, il relativo decreto (motivato) è adottato de plano dal giudice competente per il merito o, se in quella fase, dal giudice per le indagini preliminari. Il contraddittorio su quanto disposto è differito all'eventuale riesame o appello.

Per l'adozione di un provvedimento applicativo della misura, parrebbe dunque necessaria una c.d. "prognosi" di pericolosità, salvo si tratti di bene confiscabile obiettivamente pericoloso, o che la misura prescritta dalla legge non lasci alternative al giudicante.

Alle volte si è discussa, per lo più in giurisprudenza, la necessità di valutare la sussistenza della gravità indiziaria, giudizio di norma sotteso all'applicazione delle misure cautelari personali (art. 273 co.1 c.p.p.), in quanto contemplata da disposizioni non espressamente richiamate.

Sul punto sono intervenute diverse pronunce, fra le quali, Corte Cost. n. 48/94 che, con certa schiettezza e trasparenza pare aver chiarito come la stessa qualificazione della cosa come pertinente al reato, debba avere implicato una verifica circa la verosimile commissione di un reato (e perciò contestabile), quale necessario referente del menzionato nesso di pertinenzialità.

Corte Cost. n. 153/07, in tema di giudizio, in sede di riesame, dell'ordinanza applicativa della misura ha poi precisato, con riguardo ai diversi valori coinvolti nell'applicazione delle misure cautelari personali, piuttosto che reali, come risulti di fatto diversa l'ampiezza della verifica della stessa base fattuale, comprendente, nel primo caso, un giudizio relativo alla elevata probabilità di responsabilità del soggetto, nel secondo caso, il "diverso metro del fumus commissi delicti", richiesto in tema di sequestro e che dal giudizio di responsabilità prescinde.

Pare infine potersi aggiungere, che, sebbene il Tribunale chiamato al riesame1, non possa compiere accertamenti, è sempre possibile che possa procedere ad integrazioni, correzioni e modificazioni del provvedimento impugnato, sulla base dei documenti che gli sono pervenuti (Cass. Pen. 28.11.2012, n. 46295).

Diverse difficoltà si sono riscontrate, nel corso di procedimenti penali relativi ai delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A., facendo applicazione di quanto disposto dal comma 2 bis dell'art. 321, a mente del quale, come anticipato, il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca, anche per un valore corrispondente (240, 322 ter, 335 bis c.p.).

A prescindere, in questa sede, da qualsiasi tentativo di inquadramento delle nozioni di profitto, prezzo o prodotto del reato ivi contemplate, pare possibile osservare che, la maggiore complessità, si sia evidenziata in situazioni nelle quali si richiedeva l'applicazione della cautela reale, in via preventiva, dei beni confiscabili ai sensi dell'art. 322 ter, anche in relazione a beni in qualche modo connessi con l'attività di persone giuridiche.

Il primo comma di quest'ultimo articolo, contempla, nelle ipotesi in cui risulti impossibile la confisca diretta, la possibilità di agire, per un valore equivalente al prezzo o al profitto del reato, sui beni di cui l'imputato risulti avere la disponibilità.

Con recente sentenza2, la Corte di cassazione ha stabilito che, la determinazione del valore dei beni così confiscabili (nel caso di specie ci si riferiva alle quote di una s.r.l. di proprietà di uno dei concorrenti nel reato), deve potersi desumere da tutte le risultanze processuali, prese in considerazione e valutate in modo puntuale e coerente, motivando l'esito di eventuali riscontri.

Premesso poi, che le persone giuridiche, nel nostro ordinamento, non sono soggette a responsabilità penale ma di norma a sanzione amministrativa ai sensi del d.lgs 8.6.2001 n. 2313, per i delitti in esso contemplati, pare degno di nota quanto stabilito da una recente sentenza resa pubblica dalla Corte di cassazione4 circa la non assoggettabilità a sequestro "per equivalente" ai sensi dell'art. 322 ter c.p. (cui fa espresso riferimento l'art. 1 co. 143 della l. 24.12.2007 n. 244) del profitto del reato di omesso versamento di iva (art. 10 ter d.lgs 10.3.2000, n.74).

La questione risolta dalla Corte in composizione riunita, prendeva le mosse dall'accoglimento dell'appello5 del p.m. avverso il rigetto della richiesta applicazione della misura de quo sui beni della persona fisica, imputata del reato.

In quel frangente, la Corte, consolidando l'indirizzo maggioritario ha ribadito il principio secondo il quale, di un eventuale vincolo ai beni della persona giuridica, potrebbe discutersi solo nelle ipotesi di enti costituiti quale mero schermo fittizio, ovvero nelle ipotesi in cui si tratti di confisca del denaro o di altri beni fungibili direttamente riconducibili al profitto del reato, commesso dall'organo e nella sua disponibilità6.

Pare dunque potersi concludere che, nonostante gli inequivocabili limiti di applicazione, l'istituto si riveli caratterizzato (come voluto dal legislatore) da potenzialità di notevole portata, soprattutto a fini garantistici. (c.c.)

 

 

 

 

1La forma procedimentale, come per l'appello è quella disciplinata dall'art. 127 c.p.p. .

2Cass. Pen. Sez. VI, 9.1-8.4.2014, n. 15807.

3Salve comunque le diverse possibili obbligazioni civili ex artt. 185 ss c.p. o 11 co. 1 d.lgs 19.12.1997, n. 472, richiamato dallo stesso d.lgs n. 74, art. 19.

4 Cass. Pen. S.U. 30.1-5.3.2014, n. 10561.

5 Tale istituto, è stato introdotto nel codice di rito dall'art. 17 della l. 14.1.1991 n. 12. L'iniziale scelta del legislatore, si era peraltro già rivelata motivo di questione di legittimità costituzionale: Corte Cost., con ordinanza n. 71/91 si era infatti trovata a decidere sul punto a seguito di rifiuto, da parte del g.i.p., di non restituire quanto posto in sequestro dalla G.d.f. (3260 litri di benzina).

6 Diversamente potrebbe concludersi nelle ipotesi in cui l'ente risulti coinvolto in un reato di carattere transnazionale di cui alla l. 16.3.2006, n, 146.




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