Con ordinanza disposta dal Magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia, veniva accolta l'istanza proposta in favore di un detenuto "volta a ottenere la cessazione del divieto di comunicare con altri compagni e della chiusura del blindo durante l'espiazione dell'isolamento diurno, disponendo l'immediata apertura del blindo medesimo". (…) «Dalla lettura dell'art. 73 DPR 2000/30, - osservava il predetto giudice - si evince che il divieto di comunicare riguarda esclusivamente l'isolamento come sanzione disciplinare e non anche l'isolamento diurno ex art. 72 cod. pen. che è una vera e propria sanzione penale e non una modalità di esecuzione della pena detentiva. Al contrario, il richiamo al lavoro, alle funzioni religiose e anche genericamente ad attività di formazione e istruzione in relazione all'isolamento diurno come sanzione accessoria mal si conciliava con una possibile estensione di un divieto che è proprio invece della sanzione disciplinare»".
Sicché, avverso siffatto provvedimento proponeva formale ricorso per cassazione l'Amministrazione della Giustizia in persona del Ministro in carica, rappresentata e difesa dall'Avvocatura dello Stato, ivi chiedendone l'annullamento.
Cinque, in particolare i motivi addotti dal ricorrente: "a) con il primo motivo di impugnazione veniva rilevato l'esercizio da parte del giudice di una potestà riservata dalla legge a organi legislativi o amministrativi non consentita ai pubblici poteri ai sensi dell'art. 606 lett. a) cod. proc. pen.; disponendo per vero che il provvedimento adottato avesse valore di indirizzo interpretativo nei confronti della direzione degli Istituti penitenziari di Parma, invitando la Direzione ad adeguarvisi in relazione a tutti gli altri detenuti, il giudice aveva svolto una potestà organizzativa riservata per legge all'amministrazione, dettando così regole generali di comportamento e, nella pratica, regolamentari";
"b) violazione degli artt. 72 cod. pen., 73 DPR 2000/230 e 203 RD 18 giugno 1931 n. 787 con conseguente inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche; veniva osservato che, dal combinato disposto degli artt. 73 DPR 2000/230, 203 RD 18 giugno 1931 n. 787, si evinceva che il detenuto soggetto a isolamento diurno non è ammesso alla vita in comune, salvo, in via di eccezione, a essere ammesso allo svolgimento di attività di elevato contenuto rieducativo";
"c) violazione degli artt. 72 cod. pen., 73 DPR 30 giugno 2000, n. 230 e 203 RD 18 giugno 1931 n. 787 con conseguente inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche e illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606 lett. b) ed e) cod. proc. pen.; in particolare il giudice aveva assegnato un significato al termine "isolamento' che non era proprio del suo tradizionale significato nella lingua italiana";
"d) violazione degli artt. 72 cod. pen., 73 DPR 30 giugno 2000, n. 230 e 203 RD 18 giugno 1931 n. 787 con conseguente inosservanza o erronea applicazione della legge penate o di altre norme giuridiche e illogicità della motivazione, ai sensi dell'art. 606 lett. b) cod. proc. pen.; nessuna violazione a norme costituzionali era infine ravvisabile nella separazione del soggetto dalla vita dei altri codetenuti".
Ebbene, sul punto l"intervento della Cassazione.
«Come è stato evidenziato dalla sentenza della Corte Costituzionale 14/18 ottobre 1996 n. 351, l'isolamento del detenuto dal resto della popolazione carceraria deve intendersi potenzialmente non ricompresa nell'ordinario trattamento penitenziario, dovendo intendersi che la regola generale sia quella dell'ammissione del condannato alla vita in comune onde consentire e favorire il suo processo di risocializzazione e il suo recupero al contesto sociale ai sensi dell'art. 27 comma terzo Cost. Ogni provvedimento che tende pertanto a una separazione in tal senso del detenuto deve intendersi di natura eccezionale. Ciò posto, - aggiunge -deve ritenersi tuttavia sussistere un regime derogatorio a quello ordinario di vita in comune, qual è quello dell'isolamento continuo (diurno e notturno) per le finalità previste dalla legge tra cui (oltre all'isolamento sanitario, giudiziario e disciplinare) l'isolamento come sanzione penale, disciplinato non dall'ordinamento penitenziario, bensì dall'art. 72 cod. pen. (…) Nonostante l'art. 72, comma terzo, cod. pen. precisi che la condanna all'isolamento diurno non precluda all'ergastolano di partecipare all'attività lavorativa, come specificato anche dal regolamento d'esecuzione che consente agli ergastolani di svolgere attività lavorativa, di istruzione e di formazione (diverse dai normali corsi scolastici) nonché di partecipare alle funzioni religiose (art. 73, comma quinto, reg. es.), deve rilevarsi che l'isolamento continuo come sanzione penale, proprio per la sua natura di sanzione penale si verifica un rovesciamento della regola ordinaria di non separazione perché giustificato dal fatto di costituire, esso isolamento, una sanzione di inasprimento dell'ergastolo, anch'essa sanzione penale».
Orbene, se tutto ciò è vero, - aggiungono i giudici della Corte- è altresì evidente che "prevedere l'apertura del blindo anche di giorno, svuota di contenuto la norma che prevede l'isolamento tout court di natura continua".
Infatti, «dalla lettura del combinato disposto dell'art. 73 DPR 30 giugno 2000, n. 230 e dell'art. 203 RD 18 giugno 1931 n. 787 si evince chiaramente che colui che è posto in isolamento non è ammesso alla vita in comune, in via di principio, con tutto ciò che tale divieto comporta, perché questa è la forma esterna della sanzione. Questo non significa tuttavia che tale misura porti a negare al condannato in isolamento ogni contatto con operatori penitenziari, educatori, esperti dell'osservazione e del trattamento" o che gli vieti "ogni possibilità di lettura, di corrispondenza e di colloquio" o di lavoro, ma solo che, in via ordinaria, il soggetto non è posto in contatto con altri detenuti trattandosi di un'intensificazione della pena detentiva perpetua dell'ergastolo. L'isolamento diurno previsto dall'art. 72 cod. pen. non è dunque una modalità di vita o di disciplina carceraria, ma costituisce una risposta sanzionatoria per i delitti concorrenti con quello punito con l'ergastolo».
Non può, dunque, che concludersi per l"accoglimento del ricorso in questione ponendo, altresì in evidenza un dato: il Magistrato di Sorveglianza che (come nel caso di specie) si occupi di una modalità esecutiva dell'isolamento che non gli compete, travalica la propria competenza funzionale.