La recentissima pronuncia della Suprema corte (Cass. civ., sez. I, sentenza 2 agosto 2012 n. 13917 -Pres. Luccioli, rel. Piccinini) costituisce occasione utile per affrontare il non sopito problema in ordine al rapporto sussistente tra misure di protezione del soggetto debole e ricorso a strumenti ormai anacronistici come l"interdizione sorta in un"epoca in cui detto soggetto non era percepito come persona vulnerabile quanto piuttosto come elemento di disturbo per l"apparente equilibrio della società del tempo.
E, infatti, dalla lettura della motivazione emerge come il Collegio abbia affermato che "L'amministrazione di sostegno non presuppone necessariamente l'accertamento di una condizione di infermità di mente, ma contempla anche l"ipotesi che sia riscontrata una menomazione fisica o psichica della persona sottoposta ad esame, che determini, pur se in ipotesi temporaneamente o parzialmente, una incapacità nella cura dei propri interessi".
Ebbene facendo ricorso alla regola empirica per cui il più contiene il meno deve osservarsi che la pronuncia, nell"affermare che uno dei presupposti per l"adozione dell"amministrazione di sostegno è l'accertamento di una condizione di infermità di mente, non fa altro che confermare lo stretto rapporto che viene a porsi tra il ricorso a tale strumento e quello dell"interdizione.
Per un verso l"art. 404 c.c. prevede che il soggetto che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, sia nell"impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi può essere assistita da un amministratore di sostegno.
Per altro il disposto di cui all"art 414 c.c. stabilisce che il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovino in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, possono essere interdetti al fine di assicurare loro una adeguata protezione.
Entrambe le misure hanno, pertanto, come presupposto comune la condizione di infermità di mente del soggetto debole ma si risolvono in strumenti con effetti completamente divergenti e, per alcuni effetti, dirompenti: l"interdetto perde la capacità di compiere gli atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione mentre il beneficiario dell"amministrazione di sostegno è assistito nella cura della propria persona e nei propri interessi dall"amministratore di sostegno, dal momento che questo ultimo non si sostituisce all"incapace ma, come correttamente affermato[1], sceglie con questo il suo "best interest".
La pronuncia in esame non fa altro che sollevare ulteriormente il problema dello stretto rapporto tra tali strumenti di protezione ed offre l"occasione per domandarsi se il ricorso all"interdizione possa essere considerato un rimedio necessario e utile rispetto all"evoluzione del sistema normativo ed alla introduzione dell"istituto dell"amministrazione di sostegno a fronte del comune presupposto costituito dalla condizione di infermità fisica del beneficiario.
Già la Corte delle leggi ha avuto modo di affermare che tanto l"interdizione quanto l"inabilitazione sono misure residuali e alternative rispetto all"amministrazione di sostegno non potendo coincidere i rispettivi ambiti di applicazione (Corte costituzionale 09 dicembre 2005 n. 440).
Da ciò si può desumere che l"eventuale comune presupposto costitutivo dalla condizione di infermità dell"incapace non si risolve in una identità delle misure di protezione dal momento che, come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, amministrazione di sostegno e interdizione si differenziano non tanto in termini quantitativi, e cioè dalla maggiore o minore gravità della malattia o dell'handicap della persona interessata, ma piuttosto in ragione di un criterio funzionale, e cioè nella natura e nel tipo di attività che l"incapace non è più in grado di compiere da sé. Ne segue che il giudice nell"adottare la relativa misura di protezione deve valutare tutte le circostanze del caso concreto (tipologia di attività che deve essere compiuta per conto e nell'interesse del beneficiario, gravità e durata dell'infermità o dell'impedimento materiale, ovvero natura e loro durata), alla luce di un criterio che assicuri la massima tutela all'incapace, col suo minor sacrificio (Cass. civ. sez. I 12 giugno 2006 n. 13584).
L'amministrazione di sostegno è strumento che opera ogniqualvolta il giudice ritenga che tale misura sia più idonea ad adeguarsi alle esigenze del beneficiario, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa stante la complessità e le limitazioni che discendono dal ricorso agli istituti a tutela degli incapaci, quali la interdizione e la inabilitazione.
Ora se è vero che la l. 9 gennaio 2004 n. 6, art. 3, nell"introdurre nel nostro ordinamento l"amministrazione di sostegno non ha soppresso ma solo modificato detti istituti di tutela è altrettanto certo che l"esperienza pratica e l"attività interpretativa della giurisprudenza maturate in ordine all"istituto di nuovo conio hanno evidenziato dei punti di contatto talmente stringenti da far ritenere, a parere di chi scrive, che le pregresse misure di tutela non sono più attuali in quanto anacronistiche perché non più idonee a soddisfare proprio la protezione dei soggetti deboli.
Si è osservato[2] che secondo il dizionario internazionale sono vulnérables "gli adulti che, a causa di un"alterazione o di una insufficienza delle facoltà personali, non sono in grado di curare i propri interessi" e che la condizione di vulnerabilità costituisce la pietra fondante su cui si basa l"intera architettura dell"operato dell"amministratore di sostegno: e, allora, se per soggetto vulnerabile si intende il beneficiario della misura di protezione di cui l"accertamento dello stato di infermità di mente è uno dei presupposti, quale senso può avere il ricorso ad una misura come l"interdizione che finisce per rendere detto soggetto come un "oggetto" destinatario di altrui decisioni in quanto privato di qualsiasi capacità di agire da parte di quello stesso ordinamento che lo vorrebbe tutelare?
Emerge, quindi, una contraddizione in termini tra la proclamata intenzione di riconoscere al soggetto vulnerabile una piena dignità giuridica attraverso il ricorso ad una limitazione contenuta della capacità d"agire rispetto ai soli atti dispostivi che possano risolversi in un pregiudizio a carico dello stesso e il mantenimento di un istituto che, invece, adottabile sulla base dello stesso sul presupposto richiesto per l"accertamento della condizione di vulnerabilità come individuata sopra (stato di infermità mentale) si risolve nella privazione della capacità di agire del soggetto tutelato ridotto ad essere non già una persona ma un "oggetto" della tutela.
Certo restano nodi assai complessi da risolvere in ordine agli effetti che deriverebbero dall"abolizione della misura dell"interdizione: non può negarsi come sul piano processuale dovrebbero essere previsti appositi e specifici rimedi in presenza di una volontà "oppositiva" all"adozione della misura da parte del beneficiario che consentano tanto all"amministratore quanto al Giudice Tutelare di assumere decisioni capaci di tutelare l"interesse di detto soggetto anche quando questi non è in grado di rendersi conto della necessità dell"intervento protettivo.