-  Redazione P&D  -  06/12/2014

IO E RENZO, INTERDETTI DALLISTITUZIONE – Mario IANNUCCI

Firenze, 2 dicembre 2014. Un episodio di stamani, accaduto al Tribunale "Civile" della mia città. Si discute -dopo anni che combatto strenuamente perché ciò avvenga- la causa per la revoca dell"interdizione a un mio paziente affetto da una grave patologia mentale. Già, perché io sono uno psichiatra psicoanalista e lavoro anche per il servizio pubblico di salute mentale. Renzo -così chiameremo il paziente- lo conosco "da sempre". E" un tipo ancora arzillo, nonostante abbia superato la cinquantina. Ha comprato di recente una nuova city bike e, col suo caschetto regolamentare da me raccomandato, si sposta agevolmente fra il centro di salute mentale, la sua casa che divide con un altro "nostro" compagno, una "residenza" del Servizio che lo ha ospitato anni addietro e dove ha mantenuto buoni rapporti, la Pubblica Assistenza nella quale effettua l"inserimento socio-terapeutico. E" appassionato di foto e ha una bellissima macchina digitale.

Renzo non è sempre di buon umore. In passato direi che era spesso di cattivo umore. Anche perché, anni addietro, veniva ricoverato frequentemente in ospedale. Ha una dolorosa storia di famiglia: un padre alcolista, una madre inadeguata, due sorelle psicotiche entrambe morte precocemente, una per suicidio. Renzo era di cattivo umore quando -sono trascorsi ormai due lustri- approfondimmo un po" la nostra conoscenza: il precedente psichiatra lo propose infatti per un inserimento in una residenza di cui ero responsabile. Renzo, a quei tempi, era già transitato per altre strutture residenziali, senza risultati clinici apprezzabili. Dopo la morte dei genitori, insieme alle sorelle che allora c"erano ancora, aveva venduto la casa avuta in eredità e aveva sperperato una parte consistente del patrimonio. Quando i buoi erano quasi tutti scappati, lo psichiatra e l"assistente sociale si erano decisi a chiederne l"interdizione, ottenendola. Un piccolo gruzzolo era stato salvato e il tutore, di poi, si trovò a gestire anche la pensione di reversibilità dei genitori di Renzo.

Allorché giunse nella nuova residenza, Renzo stabilì legami significativi con gli operatori. Non finì più in ospedale e cominciò a fare progressivamente a meno delle celeberrime "spostature". Lavorò addirittura per qualche anno come "aiuto cuoco" in un "particolare ristorante" di Firenze. Come responsabile della "casa" che lo ospitava, verso il 2007 proposi allo psichiatra e al tutore il "passaggio" alla amministrazione di sostegno. Ferma opposizione del tutore, vago scetticismo dello psichiatra, irritazione comprensibile di Renzo di fronte all"atteggiamento di entrambi.

Nonostante lo psichiatra e il tutore, Renzo migliora, tanto che riusciamo a farlo transitare in una casa, assistita, di proprietà di un altro "compagno di cordata". Molti non scommettono un soldo su questa coabitazione, che invece va avanti per anni e dura fino ad ora.

Il "vecchio" psichiatra va infine in pensione e Renzo chiede che sia io a sostituirlo. Lo prendo in cura, nonostante i miei impegni, poiché so che esiste un legame di affetto tra di noi. Renzo continua, pur tra mille esitazioni, il suo percorso di autonomia. Propongo immediatamente, al tutore e al giudice tutelare, la revoca della interdizione e la nomina di un AdS. Il tutore si oppone con forza e il giudice non procede. Chiedo allora, in pieno accordo con Renzo, la sostituzione del tutore. Quest"ultimo, punto sull"onore, fa spontaneamente un passo indietro e il giudice nomina un nuovo tutore, un avvocato di sesso femminile. Costei, pur manifestando una certa inclinazione a trattare il materiale umano come se si trattasse di materiale giuridico cartaceo, partecipa però alle nostre riunioni. Insieme formuliamo un programma cui Renzo dovrà attenersi se vorrà "guadagnarsi", nel giro di qualche mese, il "diritto" alla revoca della tutela. Renzo si attiene al programma: sì, è vero, ogni tanto chiede qualche soldo in più al tutore, qualche volta litiga con la badante della "casa", del tutto sporadicamente fa piccole "spostature" anche agli operatori che gli vogliono bene, ma, nel complesso, non c"è chi non constati in lui una diversa adeguatezza al reale e una maggiore soddisfazione. Dana, storica fondatrice de "La Tinaia", espone le foto di Renzo nell"atelier del Servizio.

L"avvocato tutore, poiché Renzo è stato ai patti, propone lei stessa la revoca della tutela e la nomina (di sé medesima) come amministratore di sostegno. Il procedimento viene aperto e il giudice ordina una consulenza tecnica psichiatrica. Renzo mi chiede di assisterlo in questa faccenda e io accetto di essere nominato, del tutto gratuitamente com"è ovvio, consulente di parte. Nell"unica seduta peritale Renzo si comporta quasi "irreprensibilmente". Certo: vorrebbe potersi comprare un nuovo obiettivo per la macchina fotografica, manifesta una certa insofferenza per le maniere un po" spicce della badante ucraina, non dimostra troppo entusiasmo per l"impegno presso la pubblica assistenza. Il CTU in ogni caso, pur sottolineando le "carenze della capacità di critica del paziente", conclude sostenendo che la interdizione può essere revocata e che le necessarie protezioni nella gestione patrimoniale possono essere garantite attraverso una amministrazione di sostegno.

Viene dunque fissata l"udienza odierna. Io non sono convocato ma il paziente mi chiede di accompagnarlo. Lo faccio volentieri. Davanti al giudice, nella stanza, siamo in diversi: il tutore, Renzo, il giovane e gentile pubblico ministero, una educatrice domiciliare e io. Il giudice mi chiede subito a che titolo io, non convocato, sia intervenuto. "In veste di psichiatra curante e su richiesta di Renzo", rispondo. Vorrei aggiungere che sono lì anche perché vorrei essere vicino al paziente in un giorno felice, per lui e per me, dal momento che immagino non si possa che procedere speditamente alla revoca dell"interdizione, come è accaduto per altri miei pazienti. Non lo dico, però, e faccio bene: l"avvocato tutore infatti, subito dopo, invita il giudice a leggere con attenzione la storia clinica riportata nella ctu, sottolineando che Renzo viene in ogni caso indicato come una persona "incapace di intendere e di volere" e, secondo lei, bisognosa di una "protezione del tutto analoga a quella esercitata con la tutela". Renzo piega la testa mortificato. Il giovane pubblico ministero guarda sconcertato il tutore, essendosi dichiarato anticipatamente remissivo alle determinazioni del giudice, che immaginava fossero di revoca della tutela, in linea con le conclusioni della ctu. Io avverto una indignazione che appena controllo, poiché non sopporto che Renzo, al quale voglio bene, venga trattato in quel modo. L"avvocato tutore propone allora una nuova perizia. Cerco di prendere la parola, ma il giudice mi dice che non posso farlo e che la mia presenza è addirittura irrituale. Poi, dopo avere ribadito che, in un simile caso di "incapacità di intendere e di volere", la interdizione non le sembra che possa essere revocata, dà la parola a Renzo, chiedendogli perché desidera la revoca dell"interdizione. Renzo, molto tranquillamente, le risponde che a lui piacerebbe non solo avere più soldi dall"avvocato tutore, ma anche gestirsi in maniera più autonoma dal punto di vista economico: si capisce che lo disturbano i cordoni della borsa che giudica un po" troppo stretti. Il tutore spiega allora in che modo provveda a spendere tutto il mensile di Renzo per il suo mantenimento nel gruppo-appartamento, intaccando addirittura ogni mese, per piccole somme, i risparmi del paziente. A questo punto il giudice mi chiede cosa pensi io della "capacità di intendere e di volere" del paziente e quindi, secondo il suo modo di vedere, dei livelli di autonomia di Renzo. Rispondo al giudice che, per l"opinione che ho maturato in trentasette anni di professione, trentacinque dei quali come consulente presso il ministero della giustizia (che sempre più mi fa pensare al ministero della verità di Orwell), stento a comprendere come si possa ancora usare per il diritto civile una formula -la "capacità di intendere e di volere"- mediata dal diritto penale. Non nego che Renzo abbia sicure difficoltà nell"amministrazione anche ordinaria dei suoi beni e dei denari, ma non capisco perché privarlo di tante altre possibilità di agire nel diritto civile. Una privazione assai dannosa per Renzo, preclusiva addirittura di talune opportunità terapeutiche. Dico al giudice -con quella "fermezza" che l"età a la dimestichezza con le aule dei tribunali mi consentono- che mi ero già meravigliato che si fosse chiesta in precedenza una CTU in presenza di una dettagliata relazione con la quale il Servizio Pubblico di Salute Mentale (la Istituzione Sanitaria) chiedeva alla Istituzione Giudiziaria la revoca della interdizione, ma che sarei davvero rimasto basito se, di fronte alle conclusioni del CTU che il giudice aveva sul tavolo, fosse stata richiesta una nuova perizia psichiatrica. Quando il giudice mi ha chiesto se pensavo che Renzo potesse sposarsi, gli ho semplicemente risposto che egli, finora, non ha mai espresso questo desiderio: se lo esprimerà, lo valuteremo.

Poi il giudice ha di nuovo chiesto a Renzo cosa si attendesse dalla revoca dell"interdizione. Sottovoce, ma con una semplicità commovente, Renzo ha risposto: "Di non essere più considerato incapace di intendere e di volere".

E" stata di certo questa semplice risposta, data da un supposto "incapace", a indurre il giudice a riservarsi una decisione, senza procedere subito alla designazione di un altro CTU, magari questa volta preventivamente avvertito della opinione del giudice contraria alla revoca dell"interdizione (come ci ha insegnato Musil, l"angelo della medicina, nelle aule dei tribunali, ripiega spesso le sue ali fruscianti di fronte all"angelo della giustizia).

Comunque stamani, come mi accade con crescente frequenza, sono stato indotto a chiedermi perché mai stia continuando a lavorare in istituzioni pubbliche tanto cieche, degradate, aggressive e mortificanti. Non mi ha consolato nemmeno un po", quando alla fine ci siamo salutati, la decisa e solidale stretta di mano del giovane pubblico ministero. In ogni caso io, come già a suo tempo Gaetano Salvemini, se venissi accusato in questa repubblica italiana di avere stuprato la Madonnina in cima al Duomo di Milano, la prima cosa che farei sarebbe … prendere il passaporto e fuggirmene all"estero.

 




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