-  Mottola Maria Rita  -  07/10/2014

JOB ACT, RITO FORNERO, DIRITTO AL LAVORO - Maria Rita MOTTOLA

E' stata presentata in questi giorni una proposta di modifica della l. 92 del 2012 che introduceva il cd rito Fornero, a firma dell'on. Venittelli al fine di abrogare le norme processuali. Di difficile comprensione l'introduzione delle modifiche del rito del lavoro, difficile alla luce della semplice considerazione che la lentezza dei processi non è certo riconducibile alle norme processuali. Chiunque può verificare la semplicità e la celerità del rito: ricorso introduttivo con allegazione di tutte le deduzioni probatorie e di merito; termine breve per la fissazione dell'udienza di comparizione delle parti e della costituzione del convenuto; tentativo di conciliazione a iniziativa del giudice, obbligatorio; eventuale fase istruttoria con audizione dei testi o CTU e infine udienza di discussione orale. Non si riesce a immaginare una procedura più semplificata, si deve anche rammentare che in realtà il legislatore del 1973 aveva deciso di applicarla temporaneamente al solo rito del lavoro e, finita una fase sperimentale, estenderla all'intero processo civile. I ritardi e le storture del sistema risiedono quindi nella procedura? Ovviamente no. E' vero che il rito del lavoro non vieta memorie scritte intermedie o in vece della discussione orale, ma tale prassi è contraria all'intento del legislatore che voleva un processo celere e essenzialmente orale.

Il rito introdotto con la l. 92 del 2012 ha del surreale: le modalità stesse di stesura dei testi legislativi  degli ultimi anni lasciano sconcertati. La complessità del costrutto letterale degli articoli è degna della massima censura. Le difficoltà interpretative sempre più spesso nascono dal mancato uso corretto di terminologie tecniche corrette, dall'incapacità di coerenza intrinseca del provvedimento e estrinseca con l'insieme delle norme, dall'assenza di strategia legislativa o, meglio, dalla presenza di una volontà dissimulatoria di dare un fine alle norme che è solo apparente mentre in realtà lo scopo finale è altro. Si lascia al lettore di decidere se è incapacità, incompetenza, sciatteria del legislatore o studiato metodo per introdurre raffiche di provvedimenti innovativi che in realtà non modificano nulla, o forse, sistematicamente peggiorano ciò che esiste.

L'iniziativa di abrogare il rito Fornero forse è condivisibile ma sposta l'attenzione dal vero problema. Oggi il Governo sta attuando una modifica strutturale del lavoro, anzi del diritto al lavoro, eliminando i diritti conquistati in anni di riforme e crescita culturale mostrando uno specchietto per le allodole. Il risultato che si vuole raggiungere è la precarizzazione totale, estendere a tutti i lavoratori la situazione di instabilità lavorativa che già esiste ormai da circa venti anni, in aperta violazione dell'art. 1 della Carta Costituzionale e con una ribaltamento dello stesso ordine costituito: repubblica democratica fondata sul lavoro. Questo è il principio che informa la vita comunitaria e al quale, come a un faro, lo sguardo di tutti, in primo luogo del legislatore, dovrebbe essere rivolto. Lavoro per tutti che è libertà e dignità.

Leggevo qualche settimana fa un articolo su un quotidiano nazionale a firma del prof. Zaghebresky sulla dignità. Dissento con l'illustre giurista: non è la dignità il valore da salvaguardare. L'unico valore che è veramente umano e che solo può consentire a tutti gli altri di essere rispettati è la verità, perché solo la verità consente di essere liberi e di liberamente scegliere. E solo quando sarà possibile affermare che due più due fa quattro (e dunque dire il vero) saremo liberi come ci ricorda il grande George Orwell. Solo quando sarà possibile affermare che la riforma del lavoro, il così detto Job Act, ha come scopo l'annientamente sistematico dei diritti dei lavoratori, potremo considerarci liberi.




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