-  Redazione P&D  -  19/02/2013

LA CASA CONIUGALE NELLA SEPARAZIONE E NEL DIVORZIO. COMMENTO AL TESTO di G. RITORTO BRUZZONE – Marino MAGLIETTA

La sintesi che Ritorto Bruzzone ci offre delle problematiche dell'assegnazione della casa coniugale suscita non secondari motivi di perplessità proprio sul fondamentale aspetto della "ratio legis", e di conseguenza sulla sua corretta interpretazione e applicazione, in tutti coloro che abbiano seguito il lungo iter della legge 54/2006 (chi scrive è l'estensore dei relativi testi base) o l'abbiano ripercorso successivamente, volendosi documentare. L'affidamento condiviso, infatti, viene ideato e formulato ed entra in Parlamento fin dal gennaio 1994 mantenendo in ogni successiva stesura alcuni essenziali punti fermi, come il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori e a ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi. Questo taglia fuori immediatamente la possibilità che il legislatore abbia voluto "favorire la continuazione della convivenza" dei figli " con il genitore affidatario o con quello con il quale abbiano deciso di continuare a vivere". Anzi, la stonatura di questa affermazione è evidenziata e appesantita anche dal riferimento al "genitore affidatario", che si ritrova costantemente nell'opera, mentre per il legislatore la sua esistenza è ipotesi del tutto residuale. La legge sull'affidamento condiviso prevede due, non uno, genitori affidatari e intende liberare il figlio da qualsiasi odioso e sofferto compito di "scelta" fra di essi e conseguentemente tra le abitazioni da ciascuno occupate.

 

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Né è diverso il giudizio se ci si sofferma ad analizzare il testo dell'art. 155 quater. Significativo, anzitutto, è il fatto che nella presentazione dei contenuti dell'opera si riporti al primo posto la vecchia formulazione del codice civile "L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli (art. 155, 4° co., c.c.)"; al secondo quella della legge sul divorzio "L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età... (art. 6, 6° co., l. divorzio)"; mettendo solo al terzo e ultimo posto le prescrizioni attuali: "Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli". Affermazione, quest'ultima, che segnala al lettore attento il radicale mutamento di approccio del legislatore. Difatti, il soggetto centrale e logico dei primi due testi è l'adulto e di quello di oggi è il figlio. Così come si nota immediatamente che, assegnando la casa, all' "interesse del minore" nei vecchi testi neppure si accenna: non esiste proprio.
L'assoluta, costante e indiscutibile coincidenza tra permanenza dei figli nella casa familiare e loro vantaggi, di cui Bruzzone a lungo disserta, è solo una mera illazione di natura giurisprudenziale, che non ha alcun riscontro in ciò che il legislatore fornisce. E', anzi, vero il contrario. Il legislatore sta affrontando il problema della scelta tra due modelli: quello antico monogenitoriale, che protegge il figlio dagli "sballottamenti" tra due case, e quello nuovo, bigenitoriale, che assume come minor danno per il minore dividersi tra due riferimenti abitativi (con tutti gli svantaggi, logistici e non, che ciò comporta, che il legislatore ha conosciuto perfettamente in 12 anni di audizioni) piuttosto che veder impallidire e svanire la figura di uno dei genitori. Affronta, dunque, il problema e lo risolve con la scelta di due genitori e due case. Questa è la ratio legis, che dunque ridimensiona drasticamente l'importanza dell'habitat domestico.

Qual è allora il vero senso dell'art. 155 quater? Se è stato rispettato il diritto indisponibile del minore all'equilibrio nella frequentazione dei genitori, dovendo di conseguenza trascorrere comunque circa metà tempo fuori della casa familiare il problema della sua assegnazione non esiste più, nel senso che, salvo diversi accordi, resterà al proprietario, senza bisogno di applicare il 155 quater, eliminando così senza colpo ferire una gigantesca spina di conflittualità. Questo, invece, interviene, allorquando motivi di distanza tra le abitazioni, impegni lavorativi dei genitori o altra circostanza del genere impediscano una simmetria nella frequentazione e pongano un problema di scelta abitativa per il minore. E' questo, dunque, il caso in cui si deve sicuramente privilegiare nell'assegnazione della casa il genitore con cui il figlio passerà più tempo? Assolutamente no. L'art. 155 quater non dice questo. Dice, nella sostanza, che si deve guardare se al figlio conviene restarci: perché può darsi di no! Si pensi, in ipotesi, alla distanza che avrebbe dall'istituto scolastico che dovrà frequentare; alla presenza di alberi nelle vicinanze che come si è scoperto, gli provocano allergia; si pensi, ancor più probabilmente, al fatto che quell'abitazione è anche il luogo di memorie tristi e sgradevoli, il luogo delle liti dei suoi genitori e del fallimento del loro matrimonio, per cui non vede l'ora di voltare pagina.

E' di questo che si è preoccupato il legislatore alludendo alla necessità di tenere conto dell'interesse del minore, quale esso sia, di rimanere come di allontanarsi. E quindi ha ragionato in modo completamente diverso dall'antico. Purtroppo, ancora una volta, pochi se ne sono accorti, come il testo esaminato dimostra: la riforma del 2006 per molti è arrivata e "passata" senza lasciare traccia.




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