Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Giuseppe Piccardo  -  24/03/2023

La Cassazione e gli stereotipi di genere: una sentenza che va nella giusta direzione

Nei giorni scorsi, e precisamente il  giorno 22 marzo, abbiamo appreso, dalla stampa qualificata (Il Sole 24 ore ), di una decisione della Corte di Cassazione - il cui testo non risulta ancora reperibile-  che censura la decisione dei giudici di merito, con la quale la ricorrente era stata condannata  per aver accusato il suo compagno di molestie nei confronti del figlio minore. Secondo i giudici di secondo grado, le affermazioni della signora erano da ricondurre, con tutta probabilità, al rifiuto del compagno di unirsi in matrimonio con la ricorrente, per regolarizzare una situazione sentimentale da cui erano nati figli.

La Cassazione annulla la condanna per un reato che  ha ritenuto non provato e si esprime nel senso di ritenere censurabile la sentenza d’appello laddove i giudici di secondo grado hanno motivato sulla base di uno stereotipo molto diffuso, vale a dire quello della donna che agisce per vendetta nei confronti dell’uomo reticente al matrimonio, in quanto motivazione gravemente viziata da manifesta illogicità per l’uso di veri e propri stereotipi giudiziari, in contrasto con l’articolo 101 della Costituzione, che sottopone i giudici solamente alla legge.

Gli Ermellini aggiungono, poi, che le motivazioni delle sentenze devono considerare solamente i fatti allegati e il dato normativo, senza essere, in alcun modo, influenzate da convinzioni soggettive e moralistiche, conseguenze di stereotipi o pregiudizi, estranei al diritto.

La sentenza, della quale presto potremo leggere la motivazione integrale, è da salutare con estremo favore, in quanto non solo esprime principi dei quali i giudici di merito dovranno tenere conto, ma anche in quanto riproduttiva di censure già espresse dalla CEDU, con la sentenza J.L.contro Italia del 27 maggio 2021, con la quale, infatti, si evidenziava l’atteggiamento sessista dei giudici che avevano emesso la sentenza impugnata, e come essa fosse il risultato dell’applicazione di stereotipi e di pregiudizi nei confronti della vittima dei reati subiti, con esposizione della vittima a vittimizzazione secondaria, atta a scoraggiare la denuncia di quanto subito.

Peraltro, se a quanto sopra, si aggiunge che proprio nel corso di questo mese, l’Accademia della Crusca, in risposta ad un quesito del CPO presso il Consiglio Direttivo della Corte di Cassazione, ha stilato un parere sul corretto uso, orale e scritto, del linguaggio di genere giuridico, e che la riforma del processo civile ha introdotto diverse norme in tema di violenza di genere, all’interno del codice di rito (artt. 473 – bis da 40 a 46 e 473 – bis da 69 a 71), non si può dire che non vi sia stata un’importante evoluzione, sotto il profilo giuridico e giudiziario, sul tema. E’ la società a rimanere arretrata e a dimostrare, molto spesso, di non essere pronta ad accogliere un concetto di effettiva parità di genere, al di là delle sentenze e dei significativi passi in avanti della legislazione, interna e e sovranazionale, al riguardo.




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