Diritto, procedura, esecuzione penale  -  Redazione P&D  -  09/01/2023

La Corte d’appello di Venezia e la Commissione Femminicidio al Senato - E.Reale, C. Arcidiacono, A.Bozzaotra, G.Ferrari Bravo, E. Ricciardelli

Convergenze e divergenze

Accogliamo con soddisfazione il decreto della Corte d’appello di Venezia, terza sezione civile, del 12.12.22 che, diversamente dal decreto di primo grado, si apre alle considerazioni e raccomandazioni che la Commissione Femminicidio al Senato (XVIII legislatura) ha posto sul tavolo, e inoltre si mostra in linea con le ultime ordinanze di cassazione e con le sentenze CEDU dell’ultimo anno (1).

Mettiamo a confronto in questo decreto i due percorsi giurisprudenziali seguiti dal primo grado e dall’appello per valutare come oggi si fronteggino due strade: una che azzera il tema della violenza contro le donne e/o contro i minori, ed un’altra che raccoglie il tema o che ripudia teoremi indimostrati per accusare le donne di comportamenti pregiudizievoli contro i minori. In particolare in questo decreto di appello troviamo in primo piano l’interesse dei minori a non subire traumi, come quello dell’allontanamento dalla loro madre e dal loro contesto di vita, di contro l’interesse del genitore, non collocatario, ad avere accesso ai figli minori(2).

Il fatto: la donna, madre di due figli minori di 4 e 5 anni, lascia la casa coniugale quando si rende conto di comportamenti anomali di tipo sessualizzato nei bambini accompagnati da manifestazioni di disagio psicologico e da riferiti che riguardano il padre come autore di pratiche di lavaggio o ‘giochi intrusivi’. La donna, incredula e disorientata, lascia la casa coniugale in modo improvviso e trova rifugio presso la casa dei genitori. Su quanto accaduto non c’è un discorso chiarificatore tra i partner e l’uomo la denuncia per sottrazione dei figli, mentre la donna denuncia il partner per abusi sessuali sui minori in seconda battuta, avendo preso tempo per decidere sulla strada da intraprendere. 

Prima di entrare nello specifico dei due percorsi e ragionamenti giurisprudenziali del tribunale di primo grado e d’appello, valutiamo anche il percorso penale, menzionato nel decreto, che costituisce un prototipo di come il penale si avviti intorno al civile con un rimando dall’uno all’altro senza che emerga da nessuno dei due un vero e proprio accertamento dei fatti secondo le diverse logiche procedurali dell ‘oltre ogni ragionevole dubbio’, nel penale e del criterio del ‘più probabile che non’, nel civile. 

Sulla scorta della denuncia materna (del febbraio 2020, due mesi dopo aver lasciato l’abitazione familiare novembre 2019) che riporta i riferiti dei minori e l’osservazione di comportamenti anomali nei minori, si avvia un procedimento penale volto a verificare le allarmanti dichiarazioni rese dalla madre. 

Cosa succede alla denuncia della madre? Quanto succede nei casi rilevati dalla Commissione Femminicidio: “Questi casi sono particolarmente complessi e delicati anche sul piano della procedura giudiziaria. Le denunce di abuso sono spesso archiviate per una ritenuta incapacità a testimoniare del minore a seguito di consulenze ad hoc disposte nel procedimento penale o a seguito di analoghe valutazioni contenute nelle consulenze tecniche svolte nei giudizi civili e acquisite nel procedimento penale (spesso in questi casi le consulenze parlano di alienazione). Tali consulenze veicolano in taluni casi pregiudizi sulla insussistenza dell’abuso e sulla suggestionabilità del minore soggetto a manipolazione materna. È proprio l’archiviazione di queste denunce che spesso induce le madri ad essere ancora più protettive nei confronti dei minori alle cui parole credono incondizionatamente. Colpisce pertanto il fatto che le denunce delle madri per abusi sui figli abbiano avuto scarsa considerazione per la presunta inattendibilità delle dichiarazioni dei bambini” (3).

Per prima cosa a giugno 2020 il PM rigetta la richiesta di incidente probatorio, perché i bambini di 4 e 5 anni vengono considerati troppo piccoli: “Ad avviso dello scrivente Pubblico Ministero, l'assunzione della testimonianza dei minori appare al momento recessiva rispetto alla salvaguardia dell'integrità psichica degli stessi, trattandosi di bambini molto piccoli” e “anche in ragione del fatto che i minori, secondo quanto riferito dalla madre, paiono aver appena ritrovato un loro equilibrio presso l'abitazione dei nonni materni”. In questo modo si perde una buona occasione, forse l’unica, che avrebbe potuto cristallizzare una prova, visto che sarà proprio il GIP a dire che ciò che rende il processo non praticabile è l’assenza delle dichiarazioni dei minori.

Un mese dopo a luglio 2020 vi è la richiesta di archiviazione del PM che è così motivata: “Alla luce di quanto sopra esposto, le accuse mosse dalla signora C. all'ex compagno sono da ritenersi totalmente destituite di fondamento, essendo frutto di un travisamento della realtà, essendo maturate in un contesto di elevatissima conflittualità”. L’accertamento condotto e presentato è costituito dall’interrogatorio diretto dell’ex partner, mentre non viene effettuato altro ascolto di testi né della denunciante la cui testimonianza è limitata alle sommarie informazioni raccolte dalla polizia giudiziaria. Dall’interrogatorio dell’indagato il PM riporta la considerazione seguente: “Il signor... si presentava dinanzi alla scrivente per rendere interrogatorio, fornendo la propria versione dei fatti in maniera assolutamente pacata e credibile”. Le conclusioni dopo la trascrizione di tale interrogatorio sono: “La notizia di reato risulta infondata. Le propalazioni accusatorie rese da C. nella denuncia e nel corso del procedimento sono apparse fin da subito scarsamente convincenti e derivanti da un travisamento di comportamenti - assolutamente normali ed obiettivamente neutri - tenuti dai suoi figli; travisamento che non appare riconducibile ad intenti calunniatori (in assenza di inequivoci elementi in tal senso), ma che si inserisce nel clima di elevatissima conflittualità e di generalizzato sospetto nei confronti dell'ex compagno”.

Un anno dopo il GIP (ottobre 2021) conferma la richiesta di archiviazione lamentando che “a fugare definitivamente i dubbi su quanto accaduto si dovrebbero sentire le due vere persone offese, i due bambini. Si ritiene, tuttavia, che in questo caso non si possa ricorrere ad un incidente probatorio, ormai definitivamente compromesso dai comportamenti della madre. Le ossessive domande, gli interrogatori a cui la madre, nei suoi plurimi atti di denuncia ammette di aver sottoposto i suoi figli, ne ha compromesso per sempre la genuinità, divenendo impossibile procedervi” (Ndr: la donna infatti ha riportato in successive denunce altri riferiti dei minori su ricordi che, man mano, affioravano alla memoria dopo l’allontanamento dal padre). La conclusione comunque non è decisiva per l’insussistenza dei fatti, ma il GIP si limita a evidenziare che: “non è sostenibile l'accusa in giudizio”. 

Il GIP inoltre nella sua ordinanza raccoglie e fa propria la relazione del perito del procedimento civile e le relazioni dei servizi sociali: “Infatti, le conclusioni cui sono pervenuti gli assistenti sociali ed anche il perito nominato dal Tribunale civile di Venezia hanno univocamente concluso che non vi è traccia - di tipo psicologico - di tali abusi nei due minori”.

Appare quindi singolare che un GIP riporti le rassicurazioni di un perito del tribunale civile sul punto dell’insussistenza di un abuso, materia che doveva essere accertata nel penale. Anzi il GIP sostenuto da questa certezza acquisita nel civile (non si sa con che tipo di strumenti accertativi) si meraviglia che la madre invece non ne sia stata convinta e pacificata nelle sue angosce “All' esito di queste decisioni, la madre, anziché rasserenarsi dopo aver appreso che non vi era traccia di abuso nei suoi figli che si dimostravano sereni e che tutto era frutto di un travisamento, ha denunciato tanto gli assistenti sociali quanto il CTU del Tribunale”.

L’esito di questa vicenda penale mostra sicuramente una disparità di trattamento tra la donna e l’uomo, visto che l’interrogatorio dell’uomo con la sua versione dei fatti è l’unico atto istruttorio che viene riportato direttamente dal PM (la madre viene infatti sentita solo a sommarie informazioni dalla PG). Inoltre il mancato ascolto dei minori, deciso dal PM, ricade come colpa sulla madre che nel tempo ha reiterato altre denunce e secondo i giudici ‘sottoposto ad interrogatori impropri i bambini’. Infine si accolgono nel procedimento penale, come sostegno alle proprie decisioni, le valutazioni psicologiche del perito civile sulla non sussistenza di abusi sessuali, incorporandole nel proprio ambito di giudizio.

Successivamente a distanza di un altro anno, nel settembre 2022, il tribunale civile sulla base della CTU, delle relazioni dei servizi sociali e della curatrice speciale, dispone, anche con l’intervento della forza pubblica, l’inserimento dei minori in una comunità con l’affido ai servizi sociali e il recupero dei rapporti con i genitori: per la madre con modalità protetta, per il padre in spazio neutro con la gradualità di visite tese a ripristinare i contatti e, diversamente dalla madre, in regime libero. 

L’8 novembre del 2022 l’ordine di prelievo dei bambini da casa viene eseguito, i mass media ne danno notizia testimoniando anche con un video come esso sia avvenuto con dispiegamento di forze: “vigili del fuoco, servizi sociali e sanitari, forze dell’ordine in borghese, mentre i piccoli spaventati urlavano e tentavano di scappare da una stanza all’altra” (Dire it, 14.11.2022).

In questo quadro si inscrive il decreto della Corte d’appello di Venezia che ribalta le ipotesi assunte dal tribunale di primo grado che hanno portato al prelievo coattivo dei minori.

La Corte di appello accoglie il reclamo della donna relativamente alla fondatezza di un terzo motivo: “col terzo motivo censurava l’errata valutazione delle risultanze istruttorie con l’erroneità del collocamento extrafamiliare dei minori”.

Su questo punto la Corte valuta in premessa:

  • che il padre non aveva fatto ricorso contro la decisione del tribunale per avere l’affido dei figli minori in alternativa alla casa di accoglienza e
  • che i bambini in tenera età, una volta separati dalla madre decaduta, non avevano come prospettiva un breve rientro in un contesto familiare.

“La statuizione non parrebbe corrispondere all’interesse dei minori solo a considerare che per l’età il collocamento avrebbe dovuto essere presso la madre (Cass. n. 18087 del 14 settembre 2016 cit. e Cass. n. 21425 del 2022) o almeno con la prospettiva in tempi brevi di un collocamento presso l’altro genitore accudente. Occorre ora indagare, come il motivo di censura afferma, se il comportamento della madre possa dirsi talmente grave e pregiudizievole per i minori da aver giustificato la misura del collocamento degli stessi, in tenera età, presso un Istituto di accoglienza non solo lontano dalla residenza abituale (posta nel territorio della provincia di Brescia) ove erano sino ad ora vissuti, ma senza la presenza della madre (oltre che del padre) con chiara opposizione manifestata in sede di esecuzione”. 

Nel passo successivo la Corte d’appello si allinea ai criteri emergenti, presenti anche nella relazione della Commissione Femminicidio già citata, che fanno chiarezza della misinterpretazione giuridica del principio della bigenitorialità, statuendone il valore recessivo rispetto all’ interesse superiore del minore, come affermato di recente anche dalla corte EDU (4). 

“Occorre poi accertare se la C. per propri comportamenti possa o meno dirsi decaduta dalla responsabilità genitoriale come assunto sostanzialmente nel decreto. Specularmente deve esaminarsi se possa dirsi conforme all’interesse dei minori, una volta provate le violazioni della bigenitorialità in capo alla C., la brusca e definitiva sottrazione dalla relazione familiare con la madre stessa, con la lacerazione di ogni consuetudine di vita. Questo perché (Cass. 9691 del 2022) il diritto alla bigenitorialità disciplinato dalle norme codicistiche è, anzitutto, un diritto del minore prima ancora che dei genitori, nel senso che esso deve essere necessariamente declinato attraverso criteri e modalità concrete che siano dirette a realizzare in primis il miglior interesse del minore: il diritto del singolo genitore a realizzare e consolidare relazioni e rapporti continuativi e significativi con il figlio minore presuppone il suo perseguimento nel miglior interesse di quest’ultimo, e assume carattere recessivo se ciò non sia garantito nella fattispecie concreta… Il principio del superiore interesse del minore, disciplinato dagli artt. 337 ter, c.c., e 8 Cedu, è altresì un principio cardine della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, ratificata dall’Italia con l. n. 176/91.Quindi la Corte è chiamata ad una delicata interpretazione ermeneutica di bilanciamento la cui specialità consiste nel predicare in ogni caso la preminenza del diritto del minore e la recessività dei diritti che con esso possano collidere”.(5)

La Corte d’appello allora, per valutare se la decisione di allontanare il bimbo dalla madre sia giusta e corrispondente all’interesse del minore, esamina tutte le affermazioni contenute nelle relazioni del perito, dei servizi sociali e della curatrice speciale, tutti confluenti in un giudizio di genitorialità negativa della madre tutti concordi nel richiamare a loro sostegno anche le argomentazioni del PM e del GIP in sede penale.

In particolare riportiamo lo stralcio della relazione del CTU perché la critica della Corte è particolarmente severa rispetto ad essa: l’indagine peritale aveva acclarato che F. C. si era rivelata “più attratta dai propri egoici scopi e bisogni, dimostrandosi da tempo disempatica rispetto ai bisogni affettivi dei bambini, per mesi e mesi interdetti al padre’ ed aveva segnalato ‘l’ostatività messa in atto dalla madre nei confronti della figura paterna, dissimulata da declamate necessità apparentemente tutelanti nei riguardi dei figli, ma invero motivate da intenti malevoli e punitivi finalizzati ad egoico fine e protesi a ribadire il personale potere, disposto in privilegiata attenzione, a fronte della reale relazione sussistente tra la prole e il padre, priva di carenze di rilievo o indicative in senso disfunzionale”; che “l’artefice di tale patogena condizione relazionale sia individuabile nella figura materna, soggetto sul piano strutturale e personologico portatrice di quelle allarmanti caratteristiche connesse a Falso Sé, intrise di ambivalenza e contraddittorietà, di narcisismo e onnipotenza è dato di fatto sul piano clinico incontrovertibile e incontestabile”. 

Così poi relazionano i servizi sociali: che la signora C. sia “tesa alla completa e definitiva elisione della figura paterna dalla vita dei figli, a prescindere da ogni contraria indicazione proveniente dal tribunale, dai servizi sociali e a dispetto della definitiva archiviazione dei provvedimenti penali (21 ottobre 2021) a carico del partner per le asserite condotte di violenza e abuso”.

Così afferma la curatrice speciale: “i minori devono essere allontanati dalla madre (e dal nucleo familiare materno) che li sta pesantemente condizionando perpetrando come evidenziato nella relazione peritale del dott. De Nicola, una forma di vero e proprio abuso psicologico finalizzato a indurre negli stessi il rifiuto della figura materna”. Inoltre “ i minori necessitano di un percorso di riavvicinamento al padre…è quindi opportuno la collocazione in una comunità educativa prima di essere collocati dal padre”.

I servizi sociali ribadiscono inoltre la necessità di un invio in comunità: “l’inserimento dei minori in una comunità educativa che permetterebbe loro un contesto che li preservi dai potenti condizionamenti materni e dal contesto allargato”,

Le affermazioni del perito e dei servizi sono apodittici e non sostenuti da prove. Questo in sintesi il giudizio della Corte che rinvia ad un lavoro istruttorio autonomo nel civile come dovrebbe avvenire anche nel penale.

Afferma la Corte come sintesi del processo decisionale del tribunale di I grado: “Da quanto sopra si trae che la decisione dell’allontanamento dei minori col collocamento presso una struttura individuata dal Servizio, è stata assunta in quanto la C. avrebbe e aveva nel tempo assunto comportamenti preclusivi ed ingiustificati (posta l’archiviazione in sede penale per presunti reati compiuti dal padre) ad impedire ai figli minori di incontrare il padre. Parallelamente, in termini minori, il comportamento della madre è stato censurato per aver impedito ai figli la frequenza a scuola, per aver posto ostacoli all’esecuzione del provvedimenti giudiziali ed all’espletamento delle attività istruttorie e per aver in un certo qual modo escluso ai minori il contatto col mondo esterno”.

A fronte di queste giustificazioni del provvedimento di allontanamento, la Corte d’appello non trova invece prove certe di mal accudimento da parte della madre: “Non si trae e non risulta alcuna allegazione inerente profili di mal accudimento o di trascuratezza ed altro in capo alla madre”. 

La Corte lamenta quindi la mancata indagine sulle modalità di cura espletate dalla madre nel corso del tempo fino alla richiesta di allontanamento. Non emerge infatti alcun danno diretto provocato ai minori se non il fatto che la madre avrebbe ostacolato il diritto alla bigenitorialità. Ma questo diritto non è stato bilanciato con altri diritti né è stato posto in maniera recessiva rispetto al superiore interesse dei minori costituito dal diritto alle cure, alla stabilità, alla salute e al non essere traumatizzati. 

Spiega la Corte a questo proposito: “La violazione del diritto alla bigenitorialità da parte del genitore che ostacoli i rapporti del figlio con l'altro genitore (anche ponendo in essere condotte che integrino gravi forme di abuso psicologico) e la conseguente necessità di garantire l'attuazione di tale diritto, non impongono necessariamente la pronuncia di decadenza del genitore dalla responsabilità genitoriale e l'allontanamento del minore dalla sua residenza, quali misure estreme che recidono ineluttabilmente ogni rapporto, giuridico, morale ed affettivo con il figlio, essendo necessaria la verifica, in applicazione del principio del superiore interesse del minore, della possibilità che tale rimedio incontri, nel caso concreto, un limite nell'esigenza di evitare un trauma, anche irreparabile, allo sviluppo fisico-cognitivo del figlio, in conseguenza del brusco e definitivo abbandono del genitore con il quale aveva sempre vissuto e della correlata lacerazione di ogni consuetudine di vita".

E ancora: “L’accertamento della violazione del diritto del padre alla bigenitorialità, nonché la conseguente necessità di garantire l’attuazione del diritto, di per sé, non possono comportare automaticamente, ipso facto, la decadenza della madre dalla responsabilità genitoriale, quale misura estrema che recide ineluttabilmente ogni rapporto, giuridico, morale ed affettivo, con il figlio”.

Sul merito della CTU da cui sarebbero scaturite anche le valutazione di una genitorialità negativa in capo alla madre e le richieste di allontanamento, così si esprime la Corte:  

“Quanto riportato nel decreto, che ha richiamato la c.t.u. dr. De Nicola, ai punti 1, 2, 4 e 5 di cui sopra (paragrafo vii. lett c) costituisce asserto generico e lato in quanto frutto di mera valutazione psicologica, non rapportata a fatti ed elementi concreti idonei a giustificare il preteso abuso della madre ai danni del padre in violazione della genitorialità e come tale evanescente, inconducente e privo di rilievo.”

Generici anche altri elementi di giudizio alla base del decreto di I grado: “Gli ulteriori elementi di giudizio sopra enucleati nel decreto (punti 3, 6, 7 e 8 paragrafo vii. lett. c.) risultano sostanzialmente generici in quanto non fanno riferimento a circostanze concrete e di fatto anche se dal tutto traspare il motivo fondante la decisione, ovverossia il comportamento escludente della madre”.

Se la condotta ostativa è dimostrata con fatti concreti, non emergono i comportamenti che provocano danno diretto ai minori: “Dagli elementi di prova e indiziari di cui sopra, gravi precisi e concordanti, valutati nello specifico e nell’insieme (Cass. n. 23279 del 26 febbraio 2020 – in generale sulla valutazione delle presunzioni) la Corte trae il ragionevole convincimento che effettivamente la C., per un periodo non indifferente di tempo, abbia ostacolato in modo ingiustificato il diritto di visita dei figli minori da parte del padre. Non risulta invece in termini chiari la prova di comportamenti pregiudizievoli assunti dalla madre, in sé stessi, ai danni dei minori e del rapporto degli stessi con la scuola o terze persone”.

Dalla mancanza di condotte pregiudizievoli contro i minori e dagli esiti traumatici del provvedimento di allontanamento, a cui i bambini in sede di esecuzione si sono strenuamente opposti, la Corte di appello ha ritenuto che la misura dell’allontanamento dei minori non sia condivisibile: “(La Corte ritiene che ) con la perdita del rapporto con la madre con la quale erano sempre vissuti negli ultimi anni e per di più in area lontana dalla zona di residenza,  (l’allontanamento) costituisca misura non condivisibile soprattutto in quanto lesiva degli interessi dei minori – e fonte di possibile trauma – come emerge indirettamente anche dalla relazione del Servizio del 14 novembre 2022 in occasione della forzosa esecuzione della misura con l’opposizione dei minori stessi legati alla madre ed alla famiglia della medesima. Infatti tale misura – ammesso il comportamento della C. – costituisce espressione di brusca, traumatica e definitiva rottura del rapporto dei minori con la madre, con la lacerazione di ogni consuetudine di vita lesiva del diritto degli stessi minori quale diritto di rilievo ancor prima che di quello dei genitori, il quale ultimo che deve ritenersi recessivo rispetto al primo se non garantito in concreto”.

Ne consegue quindi: “Non resta che accogliere in parte il reclamo e riformare il decreto prevedendosi, fermo il collocamento dei minori presso la madre con il monitoraggio come in essere da parte dei Servizi Sociali, la revoca del collocamento dei minori presso la struttura indicata dai Servizi Sociali con conferma dell’affidamento dei minori al Servizi Sociali con i relativi poteri attribuiti”.

Valutazioni di sintesi

  1. Convergenze

La Corte di appello dà un contributo chiaro all’interpretazione del diritto alla bigenitorialità che non può prevalere rispetto all’interesse dei due minori rappresentato in questo caso da un lato, dal mantenere il legame con la figura materna presso cui hanno chiesto di restare nelle ore drammatiche del loro prelievo forzoso da casa, dall’altro lato dal contesto abituale di vita, che non era mai stato foriero di danni per loro. 

Nella stessa direzione si è mossa la Commissione: “Deve infatti essere sottolineato come il principio o il diritto alla bigenitorialità debba essere sempre subordinato all’interesse superiore del minore, diritto quest’ultimo di rango costituzionale, che in ogni bilanciamento di interessi deve essere riconosciuto e tutelato quale preminente rispetto agli altri. L’articolo 30 della Costituzione (unitamente agli articoli 2, 3 e 29) impone prima il dovere e riconosce poi il diritto dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli”(6) .

La Commissione rammenta anche, alla luce della CEDU, come l’interesse del minore sia sovraordinato a quello dei genitori o a quello di mantenere le relazioni paritetiche con loro.  La Corte EDU ha assunto il superiore interesse del minore a parametro nell’applicazione dell’articolo 8, sia quanto agli obblighi negativi, sia quanto agli obblighi positivi. Nella valutazione dell’interesse del minore assume un ruolo determinate l’opinione del figlio, che discende dal suo diritto ad essere ascoltato. Se la Corte EDU ha affermato che è diritto del minore avere piene relazioni con entrambi i genitori stabilendo tra gli obblighi positivi a carico degli Stati aderenti l’adozione di misure che assicurino le relazioni tra genitori e figli e le rendano effettive, ha comunque puntualizzato che il bilanciamento tra i contrapposti interessi deve garantire l’equilibrio tra il diritto del minore a vivere in modo sereno e il diritto del genitore a mantenere rapporti con il figlio”(7). 

La Commissione ricorda poi che l’articolo 8 non costituisce una difesa ad oltranza del diritto alla bigenitorialità: “Va precisato, rispetto all’applicazione dell’articolo 8, che l’affermazione che la Corte EDU condanna lo Stato quando non riesce a garantire contatti tra genitori e figli non è corretta, la condanna avviene solo quando non sono spiegati i motivi del rifiuto del minore, quando vengono cioè adottati provvedimenti stereotipati, quando non si compie un bilanciamento tra l’interesse del minore (sempre prevalente) e quello del genitore che insiste per la frequentazione. Per compiere questo bilanciamento la Corte EDU attribuisce un ruolo preminente all’ascolto diretto del minore”(8).

La Corte d’appello condivide con la Commissione le valutazioni sul rigetto di provvedimenti traumatici per i minori finalizzati a garantire il rapporto con i due genitori. Su questo la Commissione nella sua relazione ha indicato come questi provvedimenti traumatici e nocivi per i minori, ispirati dalle relazioni dei consulenti tecnici, non sono altro che l’attuazione del programma di trattamento della PAS (Parental Alienation Syndrome) rigettata dalla comunità scientifica ma presente appunto in relazioni di CTU, come nel caso attuale, attraverso categorie diagnostiche di stampo psicologico applicate alla madre, indicata come madre malevola e/o ostativa: “La PAS, pur non riconosciuta dal mondo scientifico come sindrome, compare esplicitamente solo in casi limitati nelle consulenze esaminate; più diffusamente compaiono invece gli indicatori che ad essa si riferiscono più o meno direttamente (ad esempio: condizionamento, alienazione, conflitto di lealtà, ostruzionismo, mancato accesso al padre, ecc.). E così, pur non utilizzando espressamente la parola « sindrome », talune consulenze consigliano comunque al giudice il cambio di collocazione del bambino secondo uno schema che ricorre in modo analogo nel programma terapeutico elaborato da Gardner (ndr: ideatore della PAS). Si tratta, nella maggioranza dei casi, dell’applicazione del «Transitional Site Program » (R. Gardner, Recommendations for Dealing with Parents Who Induce a Parental Alienation Syndrome in Their Children, Journal of Divorce & Remarriage, Volume 28(3/4), 1998, p. 1-21.) ripreso, pur partendo dall’affermazione che l’alienazione parentale non costituisce una sindrome, anche da alcuni psicologi forensi. Tale pratica è contraria all’interesse del minore in quanto non valuta gli effetti traumatici di una sottrazione improvvisa del bambino non solo dal rapporto con la madre (genitore di riferimento fino a quel momento) ma dalla relazione con un intero ambiente sociale e scolastico”(9).

Su questo punto la Commissione è intervenuta anche nelle sue raccomandazioni finali: “In particolare nell’esame dei casi emblematici si sono riscontrati prelievi coattivi con il ricorso alla forza pubblica. Poiché tale procedura si rivela molto traumatica per madri e i bambini, che spesso rifiutano l’altro genitore, è indispensabile introdurre delle norme e delle prassi che riducano l’impatto di tali procedure. Come confermato da una recente ordinanza della Corte di cassazione, infatti, tali modalità di prelievo potrebbero causare rilevanti e imprevedibili traumi per le modalità autoritative che il minore non può non introiettare: tali procedure pongono problemi ‘ anche in ordine alla compatibilità con la tutela della dignità della persona  (cass. 9691/22; Ndr: nonché  contrarie ad uno stato di diritto)”(10).

La Commissione sempre sul punto dei prelievi coattivi raccomanda di:

“ - introdurre disposizioni che disciplinino l’esecuzione dei provvedimenti di affidamento e collocamento dei minori con espresso divieto di disporre il prelievo forzoso dei minori al di fuori delle ipotesi di rischio di attuale e grave pericolo per l’incolumità fisica del minore stesso (esempio: abbandono del minore in situazione di imminente pericolo per la vita e la salute); 

- disciplinare le modalità di esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori con esclusione di interventi traumatici. Tali interventi, da vietare nella generalità dei casi, risultano vieppiù traumatici se effettuati in strutture particolarmente sensibili per la dignità e la salute del minore come la scuola o l’ospedale”(11).

2. Divergenze

Se la Corte d’appello di Venezia si è dimostrata sensibile al tema dell’intervento traumatico sul minore, segnalando come doverosa una scala gerarchica tra diritto alla bigenitorialità e altri diritti inerenti l’interesse superiore del minore, ha mostrato invece minore sensibilità su altri temi.

Innanzitutto rimane nell’ombra l’ascolto dei minori, grande assente in questa vicenda giudiziaria. Da un lato, l’ascolto è stato inesplorato nel procedimento penale (in quanto i minori sono stati in modo apodittico e a priori qualificati come condizionati e quindi non attendibili) e dall’altro lato nel civile, sono state espunte le loro ragioni del rifiuto verso il padre, sulla base di una perizia che ha attestato il condizionamento dei minori da parte della madre (condizionamento dei minori che sottende la teoria della PAS; confermata poi dal tipo di trattamento -proposto dal perito- di allontanamento immediato e totale del minore dalla madre).

In particolare la Corte mantiene una posizione acritica sul tema che i comportamenti della madre erano “preclusivi ed ingiustificati” solo per il fatto che vi era stata l’archiviazione in sede penale per presunti reati compiuti dal padre. 

La Commissione sul punto del rapporto tra penale e civile indica al contrario che: “L’assenza di accertamenti preliminari (nel civile, Ndr) in merito all’esistenza di condotte di violenza, rinviati alla fase istruttoria, ovvero non compiuti in presenza di accertamenti peritali o indagini dei servizi sociali sulle capacità genitoriali delle parti (valutazioni spesso ritenute sufficienti per giungere alla decisione), produce forme di vittimizzazione secondaria ancora più evidenti nell’adozione dei provvedimenti che regolano l’affidamento del minore”(12) .

E ancora: “Prima ancora di valutazioni e accertamenti psicologici, tutti gli operatori coinvolti a vario titolo nel ciclo della violenza devono « riappropriarsi dei fatti », interrogandosi e accertando, ad esempio, le ragioni per cui un minore rifiuta di incontrare un genitore… In ogni caso, se risultano pendenti procedimenti penali occorre acquisire gli atti utili (sommarie informazioni testimoniali, registrazioni delle deposizioni dei testi nel dibattimento penale) e non solo gli atti indicati nell’articolo 64-bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale (sentenze, ordinanze che hanno disposto misure cautelari, archiviazioni)… É infatti da chiedersi perché invece di indagare su cosa di sbagliato ha fatto il genitore « alienato » ci si concentri su quello che avrebbe fatto o che dovrebbe fare il genitore « alienante »… Se il bambino è in grado di esprimersi (non necessariamente dodicenne ma anche molto più piccolo) non si può prescindere da quello che dirà del rapporto con il genitore rifiutato: e questo nell’immediatezza della separazione o della cessazione della convivenza… (Ndr, importanza del fattore tempo) Se il giudice non è rapido nel comprendere cosa è accaduto in quella famiglia, per capire chi ha fatto cosa, chi ha tenuto condotte disfunzionali, il rischio è che si decida su sensazioni o su vaghe valutazioni come quelle di « relazione simbiotica o « rapporto fusionale » suggerite dai consulenti tecnici; diversamente, occorre accertare perché quel bambino si è legato un genitore ed ha deciso di rifiutare l’altro. È chiaro che il bambino preferirà il genitore che lo ha accudito, che è stato presente quando ha chiesto aiuto, che lo ha accolto e non denigrato... Premesso che nel nostro ordinamento il reato di plagio è stato espunto dalla Corte costituzionale perché sostanzialmente « imponderabile », non appare ragionevole reintrodurlo nella sostanza nei giudizi di famiglia attraverso la teoria del condizionamento”(13).

In mancanza di un’adeguata istruttoria del giudice dell’affidamento, come rilevato dalla Commissione, tutto si poggia sulle affermazioni del perito. E il perito attesta, in questo caso, che i minori erano stati sottoposti a una: “vera e propria forma di abuso psicologico perpetrato con l’aiuto dei nonni nei riguardi dei minori, sottoposti a condizionamento costante finalizzato ad indurre negli stessi il rifiuto nei riguardi della figura paterna, forma di abuso da cui i bambini, bisognosi di tutela immediata a causa dell’importanza rivestita, sia sul piano tecnico che etiopatogenetico dal fattore tempo costituisce verosimile rischio di sviluppo, nella prole della cosiddetta sindrome di Munchausen, a causa delle indebite strategie messe in atto, strumentalmente e con malizia dalla madre che continua ad usare discutibili e probabilmente inesistenti motivi sanitari al fine di interdire l’accesso della prole al padre, figura genitoriale a cui entrambi i bambini sono legati da insindacabile e autentico affetto, e sottratta per troppo tempo alla sfera affettiva dei figli”.

Se la Corte ha messo fuori gioco tali affermazioni del perito qualificandole come generiche, non dimostrate da fatti, prive di rilievo, non si è poi soffermata sulla circostanza che da quelle affermazioni e dall’ipotesi del condizionamento materno è derivata la messa fuori campo dell’ascolto dei minori e delle loro ragioni del rifiuto verso il padre. Senza ascolto dei minori, il rifiuto è stato comunque addebitato dalla Corte al condizionamento materno, desumendolo in maniera contraddittoria da una perizia considerata inconcludente e priva di attendibilità.

La Corte quindi non ha dato sufficiente peso all’ascolto diretto del minore come anche la cassazione in molte sentenze o ordinanze ha indicato, mettendo in chiaro la differenza tra l’ascolto diretto da parte del giudice e l’ascolto del minore tramite delegati o consulenti tecnici: Cass. 21425/22; Cass. 9691/22; Cass. 23804/21; Cass. 1474/21; Cass.13274/19; Cass. 10784/19; Cass.12957/18.

Anche nel nuovo DECRETO LEGISLATIVO 10 ottobre 2022, n. 149 in attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, l’ascolto del minore si conferma come attività preminente del giudice e quale insostituibile mezzo per arrivare ad una decisione nell’interesse del minore(14). 

Sarebbe stato opportuno quindi che la Corte d’appello, oltre che considerare priva di rilievo la CTU, si fosse pronunciata sull’inaccettabilità dell’ipotesi del condizionamento dei minori che ha determinato il non ascolto degli stessi. Su questo la Commissione Femminicidio ha chiarito il proprio punto di vista: “In alcuni casi l’ascolto del minore viene eluso, a causa di una presunta situazione psicologica di condizionamento che renderebbe lo stesso incapace di esprimere le sue opinioni, le sue esperienze, le sue richieste. Ed è proprio la diagnosi psicologica di « alienazione », adottata frequentemente nelle consulenze tecniche d’ufficio, a contenere implicitamente un giudizio di condizionamento del minore che renderebbe le sue parole inattendibili e l’ascolto delle sue opinioni superfluo. Così il minore o non viene ascoltato dal giudice o, quando ascoltato attraverso i consulenti, vede le sue parole interpretate in chiave di apodittica adesione alle opinioni della madre, ritenendosi sussistenti forme di condizionamento e plagio della madre in danno del figlio. Rilevante è il rischio che il ricorso alle teorie del condizionamento o del plagio nei procedimenti aventi a oggetto la disciplina della genitorialità sia frutto di pregiudizi. (fondamentale punto di riferimento, a questo proposito, è costituito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 96 del 1981 in tema di plagio)”(15).

Tra le raccomandazioni finali della Commissione, segnaliamo sul punto dell’ascolto del minore: “il giudice debba (e non possa) procedere personalmente all’ascolto del minore, anche alla presenza di ausiliari, procedendo alla videoregistrazione, nei casi di allegazioni di violenza o quando il minore sia presuntivamente vittima di violenza assistita, salvo che ciò sia contrario al suo interesse, con espressa impossibilità di motivare il « non ascolto » con presunti condizionamenti psicologici ad opera di uno dei genitori”(16);

In sintesi la Corte d’appello, non dando seguito alle sue censure sulla perizia, di fatto sembra aderire in modo contraddittorio alle valutazioni psicologiche sul condizionamento materno e conclude il suo iter ponendo sulle spalle della sola madre la responsabilità del rifiuto dei bambini nei confronti del padre. Le conclusioni infatti della Corte rinviano ad una penalità pecuniaria da infliggere alla madre, ogni qualvolta non si realizzino gli incontri previsti tra padre e figli: “dispone l’applicazione della sanzione giornaliera di €. 150 per ogni violazione a carico della C. nel caso in cui la stessa non accompagni o non faccia accompagnare i figli per la visita al padre”.

La Corte ha mancato di disporre, in linea con la sua analisi sugli effetti traumatici dei provvedimenti del tribunale di I grado, che i Servizi a monte delle visite padre -figli valutino l’opportunità di effettuazione delle stesse, sulla base delle reazioni concrete dei minori onde evitare coercizioni e conseguenti traumi come quelli verificatisi all’atto della loro collocazione in struttura. 

Tutto ciò che è costrizione infatti, non solo il collocamento in una struttura, ma anche la sola visita prescritta senza un consenso del minore e con il suo esplicito rifiuto (contrassegnato anche da evidenti malesseri psichici, testimonianza di un trauma), costituisce una lesione alla loro dignità, salute e al loro sviluppo equilibrato. 


1) Reale, E. (2022) La svolta della CEDU: la bigenitorialità recede di fronte alla violenza domestica, Persona e danno, Key editore 23/12/2022. https://www.personaedanno.it/articolo/la-svolta-della-cedu-la-bigenitorialita-recede-di-fronte-alla-violenza-domestica

2) In questo rifacendosi all’Ordinanza di Cassazione N. 21425/22

3) Commissione femminicidio, Relazione "Sulla vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l'affidamento e la responsabilità genitoriale".  Senato della Repubblica, Doc. XXII-bis n. 10. 11 Maggio 2022 https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/1349605.pdf

4) Sentenza del 10 novembre 2022 - Ricorso n. 25426/20 - Causa I.M. e altri c. Italia

5) Vedasi su questo punto anche Cass. civ., sez. I, ord., 6 luglio 2022, n. 21425

6) Commissione femminicidio, Relazione "Sulla vittimizzazione secondaria delle donne che subiscono violenza e dei loro figli nei procedimenti che disciplinano l'affidamento e la responsabilità genitoriale".  Cit. pag. 21

7) Ibidem, pag. 23

8) Ibidem, pag. 23, nota 30

9) Ibidem, pag.80

10) Ibidem, pag.99

11) Ibidem, pag.100

12) Ibidem, pag. 19

13) Ibidem, pag. 95

14) Art. 473 -bis .45 (Ascolto del minore) “Il giudice procede personalmente e senza ritardo all’ascolto del minore secondo quanto previsto dagli articoli 473  -bis .4 e 473 -bis .5, evitando ogni contatto con la persona indicata come autore degli abusi o delle violenze”.

15) Relazione Commissione, Doc. XXII-bis n. 10,  pag. 25

16) Ibidem, pag. 98


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