-  Redazione P&D  -  21/02/2015

LA DISCIPLINA DELLAUTOTUTELA Padova, CEDAM, 2010 A cura di Pasquale Gianniti - RECENSIONE DI M. MARINARI

La trattazione del tema dell"autotutela, che è oggetto del volume a cura di Pasquale Gianniti, costituisce, per le specifiche caratteristiche della ricerca, un tentativo estremamente ambizioso di sistemazione della materia, e, prima ancora, di definizione dei suoi confini.

Si tratta, del resto, di un obbiettivo esplicito dell"opera, come dichiara immediatamente, nelle sue considerazioni introduttive, lo stesso curatore Pasquale Gianniti, quando afferma, richiamando la disposizione generale esistente in materia nell"ordinamento tedesco, che, al contrario, nell"ordinamento italiano, "…spetta dunque alla dottrina cercare di effettuare un inquadramento sistematico, classificando sotto la definizione di autotutela una serie di riferimenti normativi frammentari ed occasionali…" (Considerazioni introduttive, p. 2), un inquadramento che, in concreto, incontra notevoli difficoltà, non solo nel rapporto tra autotutela privata ed autotutela pubblica, ma anche all"interno della prima, come lo stesso curatore riconosce apertamente.

A mio giudizio, qualunque sia la conclusione che si ritenga di raggiungere sul problema classificatorio e compilatorio, nel senso della possibilità di individuare o meno uno o più profili di omogeneità, il valore e l"importanza di questo tentativo non diminuiscono, perché, se anche si giungesse alla conclusione che l"autotutela pubblica e l"autotutela privata non hanno nulla in comune, e sono anzi antitetiche, si tratterebbe comunque di una conclusione rilevante, sul piano tecnico giuridico e culturale, e sarebbe stata resa possibile proprio dalla loro trattazione contestuale.

La stessa struttura dell"opera riflette l"obbiettivo del quale ho parlato, articolandosi su ben 15 capitoli, dei quali i primi 12 sono dedicati ai settori del diritto interno, mentre i capitoli 13 e 14 si occupano della materia internazionale e l"ultimo capitolo tratta dell"autotutela nella filosofia del diritto, anche se, malgrado il titolo suggerisca un approccio globale, questo capitolo appare in realtà dedicato agli sviluppi più recenti della disciplina, ed in particolare al tema dell"obiezione di coscienza, mentre la trattazione dei profili storici e di carattere generale del diritto di resistenza e della libertà di coscienza è collocata all"inizio dell"opera, nei primi tre capitoli, e, prima ancora, in quella che mi sembra una delle parti più riuscite e convincenti, vale a dire l"introduzione di Pasquale Gianniti.

L"introduzione, in realtà, esordisce già con una conclusione, vale a dire l"affermazione che nel nostro scenario giuridico, in crisi tanto nel settore della giustizia civile che in quello della giustizia penale, si diffida dell"autotutela privata, che potrebbe contrastare efficacemente l"inefficienza del sistema, mentre viene in qualche modo valorizzata l"autotutela della P.A., che è peraltro rivolta nei confronti del privato, e non a suo favore, tanto che l"autore si chiede problematicamente se l"autotutela pubblica e quella privata siano naturalisticamente diverse, richiamando l"opinione contraria di Bigliazzi Geri, ma affermando, sulla scorta di Basso, che l"autotutela rappresenta una forma avanzata di protezione delle posizioni giuridiche soggettive.

Mi è capitato recentemente di studiare un"importante decisione di una Corte Inglese, relativa ad un caso che coinvolgeva anche una pubblica amministrazione italiana, e nella vicenda si inseriva incidentalmente, con riflessi sulla causa inglese, il ricorso all"autotutela, con l"annullamento di ufficio di un provvedimento adottato dall"Ente territoriale italiano, alla quale le parti avevano ripetutamente fatto riferimento.

Mi sembra interessante notare, a questo proposito, che il Giudice inglese traduce autotutela con SELF HELP, e l"uso di questo termine (aiuto), che non coincide perfettamente con il nostro concetto di tutela, mi sembra già significativo per comprendere come l"istituto viene percepito da un interprete inglese, come noterebbe uno studioso dei problemi della traduzione, e, nel caso specifico, della traduzione giuridica.

Il riferimento all"aiuto che un soggetto fornisce a se stesso qualifica molto efficacemente l"autotutela della P.A., e ciò proprio nel senso indicato da Pasquale Gianniti, dando all"istituto, in questo caso, una connotazione ben diversa da quella che ha quando l"autotutela si rivolge contro l"atto di un soggetto diverso da quello che, appunto, si "autotutela".

Naturalmente, sul piano strettamente teorico, si può anche riuscire a configurare l"autotutela amministrativa, ad esempio nel caso di autoannullamento di un provvedimento, in modo che si accordi con l"autotutela privata, descrivendo l"auto annullamento di un provvedimento come un modo di reagire alla "nullità" (e più in generale ad una violazione della legge), come ad eventi esterni, o forse, meglio, estranei al perseguimento di un interesse pubblico, unico fine istituzionale del soggetto pubblico, che mettono in pericolo la correttezza dell"azione amministrativa, di fronte ai quali, pertanto, l"ente pubblico ha l"obbligo di attivarsi per rimuovere la causa della nullità, proteggendo in questo modo, ed in questo senso, se stesso, in quanto Pubblica Amministrazione, dagli effetti di un atto illegittimo, senza che sia rilevante in senso contrario, almeno in questa prospettiva, che sia stato lo stesso soggetto pubblico ad adottare l"atto nullo.

Ma è evidente che questa ricostruzione, o anche altre più sofisticate, che pure non sono mancate nello sviluppo del diritto amministrativo moderno, non potrebbe comunque far venire meno, sul piano pratico, la sostanziale diversità tra i due tipi di autotutela, salva la possibilità di esplorare l"esistenza di analogie, sia pure parziali, nell"ambito dell"autonomia contrattuale dei privati.

Pasquale Gianniti, dopo avere riconosciuto, come ho già ricordato, che spetta alla dottrina "… cercare di effettuare un inquadramento sistematico, classificando sotto la definizione di autotutela una serie di riferimenti normativi frammentari ed occasionali…", ne passa in rassegna le più autorevoli posizioni, soffermandosi in particolare su alcuni punti particolarmente significativi, come quelli relativi all"articolo 392 cp, ed alla possibilità di estendere la portata della legittima difesa ai diritti reali ed a quelli di credito.

Particolarmente importante, a mio giudizio, anche per l"attualità del dibattito in materia di mediazione e di supposti pericoli per il monopolio pubblico della decisione delle liti, è il richiamo all"autotutela giudiziaria, per così dire, ed alla piena legittimità dell"arbitrato, così come anche recentemente affermata dalla stessa Corte Costituzionale, e tenendo conto anche dei più recenti sviluppi della Giurisprudenza della Corte, con l"equiparazione della giurisdizione privata a quella pubblica, attraverso il riconoscimento della natura di questione di competenza in relazione ai rapporti tra le due, e della possibilità di translatio iudicii.

A mio giudizio, questo punto meriterebbe uno specifico ed ampio approfondimento, nell"ambito di uno sviluppo della ricerca.

L"approfondimento potrebbe riguardare, in particolare, non solo l"arbitrato, nelle sue varie forme che si sono andate sviluppando in molti ordinamenti, ma anche la mediazione, per meglio precisare i confini della giurisdizione nel nostro quadro costituzionale e gli spazi di autonomia lasciati al privato.

A mio giudizio, il dibattito sulla mediazione, ed in genere sugli strumenti della risoluzione alternativa delle controversie, nel nostro paese, ha risentito e risente ancora di una accentuata banalizzazione, una banalizzazione che si è anzi approfondita con il diffondersi della conoscenza e della pratica di questi istituti, visti sostanzialmente come un rimedio al "sovraffollamento" giudiziario, ed all"eccessivo numero di controversie giudiziarie, un rimedio che viene quasi sempre configurato, anche quando se ne riconosce l"utilità, come una scelta che implica una rinuncia, in sostanza come un rimedio di serie b.

Questa banalizzazione nasce anche dalla mancanza di consapevolezza delle radici storiche della giustizia "non giurisdizionale", vista invece, partendo dalla sua versione moderna, rappresentata dall"ADR statunitense, come una novità assoluta.

In questa prospettiva, una ricerca come questa, in materia di autotutela, potrebbe utilmente approfondire il tema, cercando di illustrare tali radici storiche, almeno in linea generale, partendo dal pensiero giusnaturalistico del "600, più direttamente connesso agli sviluppi moderni, anche senza andare a ricercare ed approfondire precedenti ancora più antichi.

Credo che, in effetti, le radici di questi aspetti dell"autotutela, che riguardano la possibilità per i cittadini di risolvere consensualmente le controversie di carattere civile ed amministrativo che li riguardano, senza necessità di ricorrere alla giurisdizione statale, si debbano ricercare nel pensiero del liberalismo giuridico e politico del XVII secolo.

Si tratta di un approfondimento che, in effetti, il volume non ignora, con specifico riferimento al contributo dei Davide Rossi, nella prima parte dell"opera, con la contrapposizione dell"individuo al sovrano, dal "600 fino al contrasto sempre più marcato con l"ideologia illuministica, e con l"atto amministrativo come "atto d"imperio", ma che si potrebbe utilmente estendere anche al settore specifico della risoluzione delle liti.

A questo scopo credo che potrebbe rivelarsi estremamente utile e fruttuoso il richiamo alla lezione di Spinoza, così come esposta, in particolare, nel Trattato teologico-politico, e mi riferisco in particolare alla configurazione dello Stato come ente che trova la sua giustificazione nella necessità di fornire ai cittadini un quadro di certezza e di sicurezza all"interno del quale gli individui possano autoregolamentare la loro vita, un tema che mi sembra estremamente attuale, per la crescente e sempre più dettagliata regolamentazione della vita privata che si è sviluppata nel corso dell"ultimo secolo, restringendo in modo drastico la possibilità di autoregolamentazione, in una crescente affermazione di quello che Paolo Grossi ha definito come assolutismo giuridico.

In questi ultimi decenni, invece, mi sembra che si possano cogliere in molti paesi, anche a prescindere, in qualche misura, dai sistemi giuridici ai quali appartengono, i segni di un progressivo cambiamento, nella direzione di una diversificazione dei percorsi per la risoluzione dei conflitti, all"interno della quale il sistema giurisdizionale statale conserva, ed anzi aumenta, la propria centralità, seppure non la propria esclusività, governando la selezione dei casi.

Ugualmente, quale completamento e fondamento stesso dei principi di libertà e di autodeterminazione in questa materia, ritengo che sarebbe molto importante allargare il discorso al tema della sussidiarietà, a partire dall"opera di Althusius, e passando per quelle di Locke e Pufendorf, per giungere all"insegnamento della Chiesa alla fine dell"800, il cui ruolo nello sviluppo del principio di sussidiarietà è largamente ignorato, malgrado sia oggi divenuto un principio costituzionale, oggi sancito dal nuovo testo dell"articolo 118, ultimo comma, Costituzione.

Si tratterebbe di uno sviluppo ed un completamento di un"analisi che il volume affronta già, peraltro, in modo ampio ed approfondito nei primi due capitoli, che mi sono sembrati particolarmente interessanti, sia per quanto riguarda la dimensione storico-giuridica del rapporto tra singolo e potere costituito (Davide Rossi, Capitolo I, per il quale il concetto stesso di autotutela non sarebbe concepibile senza lo Stato Moderno) sia per quanto riguarda il diritto di resistenza (Pasquale Gianniti), temi che possiedono un indubbio valore politico, oltre che giuridico, e che Pasquale Gianniti sviluppa anche sul versante dell"obiezione di coscienza, che verrà ripreso nell"ultima parte del libro, giungendo anche ad affermare, con una presa di posizione fortemente impegnativa sul piano culturale, che la legittimità della resistenza non è discutibile anche in mancanza di una norma costituzionale espressa che la tuteli.

Come ho già detto, l"introduzione di Pasquale Gianniti coglie, a mio giudizio, la visione di insieme dell"autotutela, almeno nell"accezione ampia che ne da l"autore, che in qualche modo la configura come la sfera dei diritti individuali naturali, oggi generalmente denominati diritti dell"uomo, ma, in quest"ottica, individua un elemento di supremazia logico-concettuale di tali diritti non solo collocandoli in una posizione esterna e precedente, sul piano storico e logico, rispetto all"ordinamento positivo, anche costituzionale, ma facendone il fondamento dello stesso diritto positivo, in quanto fondamento dei valori costituzionali.

Mi sembra molto importante, in un"epoca ed in un contesto, come quello italiano contemporaneo, nel quale la riflessione giuridica, almeno nell"esperienza della pratica, tende a specializzarsi in settori sempre più limitati, la cui conoscenza, sempre più dettagliata, è considerata la più ambita qualificazione professionale di un avvocato, di un giudice, di un docente, continuare ad interrogarsi ancora sul rapporto tra legge e diritto, o addirittura tra legge, diritto e giustizia, come fa Pasquale Gianniti.

Penso che sarebbe utile, proprio partendo dalle considerazioni di Gianniti sul sistema di Godel e la sua applicazione al campo dei sistemi giuridici, richiamarsi anche alla teoria giuridica contemporanea statunitense, ed in particolare al pensiero di John Rawls e di Ronald Dworkin, che hanno lottato per tutta la vita contro le varie forme di neopositivismo, o di analisi economica del diritto, senza peraltro volerne minimamente sminuirne l"utilità, e senza dimenticare, prima ancora del neopositivismo, la lezione di Kelsen, che ha dedicato un saggio intero al concetto di giustizia.

I due filosofi americani peraltro, hanno affermato con forza la necessità di fondare le scelte giuridiche, comprese quelle dei giudici, su consapevoli scelte ideali che vengono prima della legge, e che si formano nella società, scelte che il giurista deve attentamente considerare e rispettare, traendone addirittura legittimazione per la sua attività interpretativa.

Dworkin, in particolare, ha analizzato a lungo i temi della bioetica e dell"aborto, ad esempio, per smascherare in qualche modo la illusorietà del ricorso ad improbabili analogie, e chiamando i giuristi ad assumersi le proprie responsabilità, fino al punto di ipotizzare il non liquet come possibile esito di un giudizio di legittimità costituzionale.

Ugualmente rilevante potrebbe essere, anche se in tutt"altra direzione, un accenno all"analisi di Walter Benjamin, in particolare nel suo saggio sulla violenza, che, benché condotto in termini filosofici astratti, ci fornisce un"immagine della legge intesa come regolamentazione "violenta" dei rapporti tra gli uomini che, quale che sia il grado di possibile condivisione di una simile analisi, costringe a riflettere su temi che possono avere poi una ricaduta molto concreta, quando pensiamo, ad esempio, alla visione della composizione di un conflitto "non violenta", secondo la concezione di Benjamin, che richiederebbe la totale accettazione da parte dei protagonisti in un modo talmente spontaneo e convinto che un"esecuzione coattiva dell"accordo non sarebbe neppure ipotizzabile.

Mi sembra che la riflessione di Pasquale Gianniti, nel capitolo II, sull"obiezione di coscienza, che lo stesso tende a svincolare da un"analisi puramente ideologica e di collocare in una cornice di certezza, per evitare abusi di comodo, sia molto importante e si ricolleghi alla trattazione che ne fa Claudio Tagliapietra nel capitolo XV, dedicato interamente all"obiezione di coscienza.

Ugualmente significativo mi sembra l"inquadramento dell"obiezione di coscienza, distinta dalla opzione di coscienza, con un lungo excursus sui lavori preparatori della Costituzione, per approfondire il rapporto tra autotutela e diritto di resistenza, e con l"affermazione che la resistenza, per essere legittima, non ha necessità di essere esplicitamente affermata da una norma costituzionale, così introducendo nuovamente un argomento fondamentale, in questa trattazione, vale a dire il riconoscimento dei diritti naturali.

Si tratta di temi che sono ripresi e completati, con riferimento al dettato costituzionale, da Andrea Bettetini, che mette in rilievo, in particolare, il riconoscimento dei diritti naturali inviolabili ed il rapporto tra legge e coscienza.

Uno sviluppo ulteriore di questa riflessione potrebbe toccare il tema della tutela della dignità dell"uomo, particolarmente trattato anche negli ultimi scritti di Jurgen Habermas, come nuovo terreno di lotta per assicurare in concreto quella tutela universale dei diritti dell"uomo, di connotazione neokantiana, che è oggi particolarmente importante, in tempi di migrazioni e di globalizzazione.

Non sarebbe infatti estraneo a questi temi l"analisi dei rapporti tra dignità dell"uomo e tutela della libertà di coscienza.

Un profilo specifico e di grande rilievo del diritto di resistenza, quello della resistenza legittima agli atti dell"autorità, è trattato invece nel capitolo IX da Francesco e Pasquale Gianniti che, benché inquadrato nella parte dedicata all"autotutela nel diritto penale, presenta, a mio giudizio, aspetti di carattere trasversale, non direttamente assimilabili a quelli trattati da Roberto Puccione nel capitolo VIII in relazione all"autotutela nei confronti dei privati, sempre con riferimento agli aspetti penalistici, considerando la specificità dell"autotutela nei confronti dello Stato, che tocca inevitabilmente la sfera dei diritti di libertà dell"individuo anche in una dimensione politica.

Segnalo per la sua importanza, innanzitutto, la trattazione dell"evoluzione storica dell"istituto, una trattazione che parte dalla constatazione della correlazione tra legittima resistenza e libertà politica, esaminandone l"evoluzione nel diritto romano, in quello canonico, nel diritto dello Stato patrimoniale, nello Stato assoluto, e nel diritto moderno, passando poi ad esaminare le teorie dell"obbedienza passiva, del diritto condizionato di resistenza e quella del diritto di resistenza, in alcune legislazioni straniere ed infine, in particolare, in quella italiana, a partire dagli Stati preunitari.

Nell"ambito della trattazione di quella che è classificata come l"autotutela nel diritto civile assume una particolare rilevanza, a mio giudizio, il contenuto del capitolo VI, nel quale Gabriele Grande, con una classificazione originale ed innovativa, specie per quanto riguarda la sistemazione delle forme di autotutela consensuale accertativa e satisfattiva, esamina quella che definisce come autotutela consensuale, e che, in qualche parte, tocca il tema della risoluzione alternativa delle controversie, al quale ho già accennato, anche se non tratta della mediazione, vale a dire di quella che ormai si definisce come "giustizia consensuale".

In questa prospettiva, anche la giustizia consensuale può rientrare a pieno titolo nella disciplina dell"autotutela, così come vi rientra l"arbitrato, ed anzi l"indagine potrebbe utilmente estendersi alle nuove prospettive della giurisdizione come prospettive di creazione di un sistema di risoluzione integrata, nel quale gli strumenti decisionali attribuiti alla giurisdizione statale si possono combinare, anche all"interno di uno stesso procedimento misto, con quelli alternativi, secondo uno sviluppo che si sta già verificando in molti paesi occidentali, in misure diverse.

Mi sembra notevole anche lo sforzo della ricerca nel campo, più tradizionale, dell"autotutela civile, penale ed amministrativa, oltre che esecutiva e tributaria (capitoli V, VII ,IX, X, XI, XII).

Ho già notato come lo sforzo di riduzione all"unità sia certamente problematico, in questi settori, in particolare, per quanto riguarda l"autotutela della P.A., perché in questo caso, a differenza di quanto avviene negli altri settori di regolamentazione, si tratta di una forma di autotutela rivolta verso gli atti dello stesso soggetto che la attua, così da farle assumere la fisionomia di un potere aggiuntivo, più che di una reazione ad un abuso.

Tuttavia, si deve apprezzare la ricerca di terreni comuni di confronto, ed in ogni caso il pregio della trattazione, oltre che nell"intrinseca accuratezza tecnica, risiede nella possibilità che una trattazione unitaria possa condurre ad individuare caratteri innovativi anche della autotutela amministrativa, improntati, ad esempio, alla ricerca di una attribuzione di tali poteri ad autorità o soggetti indipendenti, e non allo stesso ente che ha adottato il provvedimento.

Stanno invece necessariamente a parte i due rimanenti capitoli, XIII e XIV, che trattano l"autotutela nel diritto comunitario ed internazionale, ambiti nei quali la nozione di autotutela assume connotati particolari, specie per quanto riguarda il diritto dell"Unione Europea.

In conclusione, l"opera rappresenta, come ho detto all"inizio di questo breve commento, un tentativo ambizioso di fornire una trattazione unitaria di un tema complesso, composito, molto articolato e che raggruppa settori di disciplina certamente non omogenei.

In questo senso si pone anche come una ricerca non solo di carattere compilativo (comunque originale), ma con un contenuto anche e soprattutto innovativo, e quindi necessariamente destinata a produrre anche contrasti interpretativi, tenendo anche conto del fatto che la materia della cd "autotutela"è materia politica per eccellenza, anche se sarebbe superficiale una sovrapposizione automatica tra il favore per l"autotutela ed una determinata e specifica posizione ideologica di carattere politico.

Il mio augurio è che la ricerca curata da Pasquale Gianniti sia destinata a proseguire nel tempo, come una ricerca permanente, per cogliere e sviluppare le nuove prospettive del tema dell"autotutela.

 

Marcello Marinari

 

 

Marcello Marinari, Magistrato dal 1978, ha svolto funzioni giudiziarie in materia civile e penale in numerosi sedi, nonché funzioni extragiudiziarie presso il Ministero, operando nel settore delle relazioni internazionali della giustizia.

Dal 2008 al 2010 è stato Presidente del Tribunale di Montepulciano.

E" attualmente iscritto all"ordine degli avvocati.

Cultore di diritto processuale comparato, con particolare riferimento ai sistemi processuali civili dei paesi anglosassoni, è autore di oltre 50 pubblicazioni in varie materie giuridiche.




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