-  Redazione P&D  -  01/12/2014

LA DISEREDAZIONE: EVOLUZIONE GIURISPRUDENZIALE E PROBLEMATICHE - Luigi TRISOLINO

- Diseredazione
- Nei percorsi logici della giurisprudenza di legittimità
- Ammissibilità della clausola testamentaria meramente diseredativa, superamento della tesi dell"istituzione implicita; diritto di rappresentazione e posizione del legittimario


Gli approcci gnoseologici emersi nella giurisprudenza.
Da oltre un secolo, ormai, la giurisprudenza italiana è stata più volte chiamata a pronunciarsi sulla questione dell"ammissibilità o non ammissibilità della clausola diseredativa, ossia della clausola testamentaria in cui il testatore dispone di voler escludere, dal quadro dei propri successibili, uno o più soggetti che altrimenti sarebbero ex lege vocàti a succedergli mortis causa nella titolarità dei rapporti patrimoniali. Le sentenze, sia di merito che di legittimità, invero, forniscono nel tempo soluzioni di diverso orientamento e di differente impianto logico, facendo della problematica diseredativa una vexata quaestio, in seno alla quale possono individuarsi tre tesi, la tesi c.d. positiva o dell"ammissibilità, la tesi c.d. negativa o della inammissibilità, e la tesi dell"istituzione implicita. Ciò, nel nostro ordinamento giuridico di Civil law a base positivistico-codicistica, risulta essere il riflesso della mancanza di una specifica menzione normativa sulla diseredazione, che ne disciplini i presupposti di validità e il raggio di efficacia.Il legislatore del codice civile previgente (del 1865), infatti, escluse volutamente l"istituto in commento perché da un lato ritenuto immorale dalla allora dominante dottrina del perdono, e, d"altro canto, poiché riteneva che a farne le veci fosse l"istituto della indegnità a succedere, confondendo evidentemente il carattere tutto privato del regolamento negoziale ablativo-destitutivo della diseredazione, con la matrice pubblicistica e tassativamente tipizzata della indegnità. L"esclusione della diseredazione dal codice del 1865 tracciò la strada all"altra omissione, quella del codice del "42, attualmente in vigore.Si sono susseguite numerose pronunce dalla fine del XIX secolo fino ai giorni nostri; l"ultimo rilevante arresto giurisprudenziale in materia è quello della Sezione II della Corte di Cassazione con la sentenza n. 8352 del 25 maggio 2012.Oggetto di questa pronuncia è la dibattuta validità di un testamento olografo alquanto rudimentale, in cui la testatrice aveva disposto "Io sottoscritta Taldeitali, scrivo le mie volontà sana di mente. Escludo da ogni mio avere i miei cugini Tizio, Caio e Sempronio. Nella tomba con i miei altrimenti compramene una".La Corte, in conformità ad alcuni trascorsi pretori di merito degli anni "50, "60 e "70, ha riconosciuto la validità e l"efficacia della disposizione testamentaria meramente, puramente diseredativa di cui trattasi (non riferita ai legittimari), individuando il riferimento normativo nella stessa definizione di testamento data nel codice vigente, al primo comma dell"art. 587. Quest"ultimo, appunto, dipinge il testamento quale atto revocabile con cui taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutti o parte dei propri beni. La lettera del codice del "42 non menziona, come il precedente codice Pisanelli, la formula normativa di disposizione "in favore di" ma semplicemente il verbo "disporre" presentato in modo qualitativamente neutro. In siffatta neutralità il Supremo Collegio ha individuato un ampio genus concettuale idoneo ad accogliere tanto le espressioni volitive negoziali di natura positivo-attributiva, quanto le disposizioni di carattere ablativo-destitutivo, quindi negative. Per i successibili non esclusi, poi, si aprirebbe la successione legittima, venendo a costituire così, la diseredazione, un peculiare ponte di passaggio verso l"apertura della successione ex lege. La Corte, inoltre, afferma che la mancanza in un testamento di una disposizione attributiva non equivale all"assenza di una valida manifestazione di volontà, bensì ad una specifica espressione volitiva, idonea ex se ad integrare la funzione negozialtestamentaria di regolamentare e orientare la successione post mortem del disponente.  Un tal modo di intendere la questione giova a confutare l"ormai trascorsa dogmatica, che instaurava una ermeneutica restrittiva intorno alla formula dispositiva dell"art. 587, e che propugnava un tassativo dualismo claudicante nella lettera del combinato disposto degli artt. 587-588 del codice. L"art. 588, infatti, trattando delle disposizioni attributive a titolo universale che istituiscono eredi (anche pro quota), e delle disposizioni a titolo particolare che istituiscono legatari, non fornisce una summa divisio nel cui entroterra concettuale blindare il contenuto testamentario tipico, ma ha semplicemente la funzione di distinguere l"istituzione di erede da quella di legatario, essendo ben lontano appunto da una tassativa nonché esaustiva tipizzazione delle disposizioni del volere del testatore. Vengono, così, del tutto censurati gli ultimi corollari del principio romanistico espresso nel brocardo heredis institutio est caput et fondamenti totius testamenti. L"ultima pronuncia della Cassazione in tema di diseredazione, conformemente ad una precedente e marginale giurisprudenza di merito, ha considerato la clausola diseredativa non come atipica, bensì come tipica del potere dispositivo riconosciuto in capo al testatore; la clausola in questione, quindi, sarebbe soltanto innominata, poiché non espressamente menzionata in una norma. Secondo buona parte della giurisprudenza precedente alla sentenza del 2012, invece, la clausola diseredativa costituiva una disposizione atipica; e si aprivano, di conseguenza, discussioni parallele sull"ammissibilità, nella peculiare sfera testamentaria, del principio di autonomia negoziale contrattuale nella creazione di figure atipiche, consacrato codicisticamente nel secondo comma dell"art. 1322. Ciò con riferimento ai dettami legislativi dell"art. 1324, il quale sancisce l"applicabilità delle norme generali della contrattualistica, in quanto compatibili, e salva diversa disposizione di legge, anche nella sfera effettuale degli atti unilaterali inter vivos di natura patrimoniale; per una parte della dottrina ciò varrebbe anche per gli atti unilaterali mortis causa a contenuto patrimoniale, testamento in testa, utilizzando un procedimento analogico per alcuni, o di mera interpretazione estensiva per altri. In generale, la Corte di legittimità, nella sentenza n. 8352/2012 tende ad esaltare il principio di conservazione del testamento, sulla scorta del principio ispiratore della libertas testandi, species dell"autonomia negoziale, e includendo nell"a sua volta genus della libertà di testare stessa, la facoltà diseredativa. Si veda pure come la pronuncia del 2012 neghi l"esistenza di un rapporto di necessaria consequenzialità tra il carattere patrimoniale, che riconosce all"atto testamentario, e il carattere attributivo del disporre, poiché un atto dispositivo per essere di natura patrimoniale non deve necessariamente essere teso all"attribuzione. Il rilievo più importante della pronuncia n. 8352/2012, tuttavia, è dato dalla confutazione della teorica dell"istituzione implicita, una teoria inaugurata dalla giurisprudenza di legittimità con la contraddittoria sentenza n. 1458 del 20 giugno 1967. Una teorica che ha nel proprio humus culturale la formula d"oltralpe, tipica dei giuristi francesi del XIX secolo, exclure c"est instituer, secondo cui si avrebbe, attraverso l"espediente di una mera fictio, l"equivalenza tra il concetto giuridico dell"escludere e quello dell"istituire. Una tale visione ha avuto fortuna in successivi arresti giurisprudenziali, e tuttora sembra resistere in certa prassi e prudentia notarile, a fronte di esigenze di tenuta dell"atto notarile nel tempo, in un sistema comunque caratterizzato dalla normatività. La teorica dell"istituzione implicita potrebbe essere salutata, oltre che come terza tesi accanto alle tesi positiva e negativa, anche quale corollario meno radicale e meno negazionistico della tesi negativa.Nel prosieguo si tratteranno, brevemente e più da vicino, i principi espressi nella pronuncia n. 1458/1967 del Supremo Collegio.In quest"occasione la Corte ha affermato che è nulla una clausola testamentaria puramente diseredativa non accompagnata da una disposizione di carattere positivo-attributivo, la quale ultima fungerebbe da presupposto e trave di legittimità della diseredazione. Secondo tale orientamento, infatti, una disposizione destitutiva, per essere valida ed efficace, deve necessariamente essere accompagnata o da una manifesta clausola di carattere positivo, o da un"istituzione di erede o di legatario rintracciabile in modo esplicito e diretto, ovvero in modo implicito e indiretto, dalla trama logica della interconnessione delle parole della singola clausola, nonché dal complesso delle clausole testamentarie, attraverso un lavoro di interpretazione della effettiva volontà di tipo attributivo del testatore, facendo anche riferimento ad ogni utile dato indicativo, persino tratto aliunde. Le successive pronunce di legittimità inquadrabili nell"ottica della teoria della istituzione implicita, come la sentenza n. 6339 del 1982, e pure una successiva del "94, attenuano la rigidità del carattere finzionistico dell"equivalenza tra esclusione e istituzione, tentando di tutelare la effettiva, manifesta volontà del testatore.La teorica dell"istituzione implicita è stata salutata come contraddittoria dalla stessa sentenza 8352/2012, poiché la pronuncia n. 1458/1967, da un lato afferma la nullità di una disposizione meramente destitutiva, e, dall"altro lato, sostiene invece la validità ed efficacia di una scheda testamentaria contenente una disposizione diseredativa ove sia rintracciabile, anche implicitamente e per via indiretta, persino con riferimenti tratti aliunde, una (a questo punto) presunta volontà istitutiva, di tipo positivo-attributivo. Si rischierebbe, così, in questa ricerca, di elevare il giudice, chiamato a interpretare le disposizioni testamentarie, all"illecito podio di giudice-testatore, alterando de facto la effettiva consistenza del dato volitivo del soggetto disponente con delle additività ermeneutiche. Altra contraddizione che la critica ha scorto nella teorèsi dell"istituzione implicita è costituita dal rilievo secondo il quale, da un lato, la pronuncia del "67 afferma che è in seno allo stesso testamento che si deve rintracciare, seppur implicitamente magari, l"elemento della istituzione, e dall"altro lato, tuttavia, ritiene che per i successibili non diseredati (alias, implicitamente istituiti) debba aprirsi la successione ex lege (e non ex testamento). A fronte del rinsaldato riconoscimento di validità della clausola ablativo-destitutiva pura e semplice, dopo la richiamata sentenza di legittimità del 2012 – che pure non costituisce un leading case – l"istituto della diseredazione pare, così, non esser più un istituto negletto del nostro sistema giuridico.
Diseredazione e rappresentazione. 
Ai sensi dell"art. 467 c.c., la rappresentazione fa subentrare i discendenti nel luogo e nel grado del loro ascendente, in tutti i casi in cui questi non può o non vuole accettare l"eredità o il legato. Si ha rappresentazione nella successione testamentaria quando il testatore non ha provveduto per il caso in cui l"istituito non possa o non voglia accettare l"eredità o il legato, e sempre che non si tratti di usufrutto legale o di altro diritto di natura personale. La giurisprudenza maggioritaria, nei decenni, ancor prima di orientarsi per la tesi della ammissibilità della clausola meramente diseredativa, si è espressa in favore della automatica successibilità per rappresentazione dei discendenti del diseredato, affermando che l"incidenza effettuale della clausola destitutiva si arresta in capo al solo soggetto escluso, salva una diversa volontà del testatore, il quale è libero di procedere con una o più sostituzioni ordinarie, oppure con una seconda esplicita esclusione nei confronti dei discendenti del già escluso. Tale automatica ammissibilità si spiega in virtù della negazione dell"esistenza di una presunta seconda esclusione (riferita ai discendenti del diseredato), da aggiungersi alla prima effettiva esclusione. A sostegno della tesi dell"ammissibilità di tale successione per rappresentazione, è stato rilevato che se i discendenti dell"indegno sono chiamati a succedere quali rappresentanti del loro ascendente, non si vede il motivo per cui escludere la successione per rappresentazione in capo ai discendenti del diseredato. Ma, vi è chi apertamente nega questo automatismo successorio, poiché la diseredazione a differenza dei casi di indegnità a succedere e di premorte, dipende non dalla volontà generale e astratta della legge, ma dalla immediata fonte del negozio testamentario, il quale nel caso della diseredazione serve ad escludere, mentre nel caso della indegnità può servire a riabilitare l"indegno. E, ancora, vi è chi richiama il discorso alla coerenza dei concetti, ritenendo che non si può invocare un istituto, e accogliere un concetto, quale quello di diseredazione, se non si accettano anche i suoi corollari e risvolti effettuali, persino quelli più radicali, come la esclusione del diseredato e di tutta la sua stirpe, salvo espresso volere in senso contrario.Dal punto di vista strettamente logico, poi, chi rinunzia all"eredità, nel momento in cui si avvale del potere di scegliere se accettare o meno, è comunque parte dell"iter successorio, mentre al soggetto diseredato viene ex testamento radicalmente negata la stessa posizione di soggetto vocàto alla successione. Quindi i suoi discendenti non potrebbero succedere per rappresentazione, perché l"iter successorio si è già spezzato con l"esclusione del loro ascendente.  Per la giurisprudenza di legittimità del 2012 (sentenza n. 8352), si ammette, comunque, la successione per rappresentazione, salva ovviamente una diversa, espressa volizione del testatore.
Diseredazione e legittimari: tra essere e dover essere del sistema giuridico italiano.
Il nostro ordinamento giuridico presta una tutela forte al diritto del legittimario a succedere nella quota di legittima (o di riserva), in virtù di concezioni novecentesche (l"epoca di entrata in vigore del codice vigente) inerenti al solidarismo di stampo familiaristico, che garantisce loro una vera e propria transtitolatirà necessaria nei beni interessati dalla successione ereditaria del loro congiunto dante causa. Una disposizione testamentaria volta a diseredare un soggetto qualificato quale legittimario non è ritenuta valida ed efficace nel nostro panorama giurisprudenziale, e nemmeno nella più recente nota sentenza n. 8352 del 2012.Per una parte della dottrina, la disposizione testamentaria volta a diseredare un erede legittimario sarebbe nulla (quindi radicalmente e irrimediabilmente invalida) perché contraria a norme imperative, quali l"art. 457, comma 3, c.c., il quale sancisce che le disposizioni testamentarie non possono pregiudicare i diritti che la legge riserva ai legittimari. Tale articolo è stato valutato e ritenuto il prodotto della discrezionalità del legislatore ordinario nell"adempiere alla riserva di legge ordinaria in tema di limiti della successione testamentaria, ex art. 42, comma 4, Cost.Bisogna chiedersi, però, se il terzo comma dell"art. 457 c.c. sia effettivamente una norma qualificabile come imperativa.Ciò avrebbe necessarie implicazioni anche sulla estensione del raggio di incidenza dell"art. 28 della legge notarile (L. n. 89 del 16 febbraio 1913), il quale afferma, al punto primo, che il notaio non può ricevere atti se essi sono espressamente proibiti dalla legge, o manifestamente contrari al buon costume o all"ordine pubblico.Altra norma che, a parere di una parte della dottrina, sembra interessare la specifica questione qui in analisi, è l"art. 549 c.c., il quale vieta in generale al testatore di imporre pesi o condizioni sulla quota spettante ai legittimari. Si è detto, però, che il "peso" è una modalità dell"istituzione, e quindi presume l"esistenza stessa di una istituzione, incompatibile quindi con una disposizione di diseredazione, così pure per la condizione. Tuttavia, se una clausola che dispone la diseredazione di soggetti legittimari fosse davvero nulla, si avrebbe il paradosso di apprestare ai legittimari semplicemente pretèriti in una disposizione riguardante l"intero asse ereditario, la tutela di agire in riduzione ai sensi degli artt. 553 e ss. c.c., entro il termine di prescrizione decennale, per ottenere la quota di legittima; e, invece, i legittimari che il de cujus voleva, nominatim, completamente, radicalmente escludere dalla propria successione mediante la diseredazione, verrebbero ad essere legittimati ad esperire un"azione di nullità, come tale imprescrittibile e pure azionabile ex officio dal giudice, con ciò alterando gli equilibri volitivi della disposizione negozialtestamentaria (Betti, leggendo tale morfologia verbale, forse direbbe, invece, documentaltestamentaria, dato che escludeva i testamenti dalla domus aurea della categoria dottrinale del negozio giuridico), e non ottemperando per giunta ai criteri-guida di giustizia sostanziale e di ragionevolezza, all"insegna della auspicabile corrispondenza scientifica dell"esegesi e dell"ermeneutica al dato fenomenico degli scripta testatoris.   La tutela più adeguata da offrire in capo ai soggetti legittimari diseredati, quindi, risulta essere quella della possibilità di agire in riduzione per garantirsi la quota di legittimità; ma, qualora il legittimario diseredato rispetti e accetti la volontà del de cujus, e lasci prescrivere il termine entro cui agire in riduzione, il testamento diventa inattaccabile anche nella parte ove si palesa la clausola diseredativa. Pare che, in tal modo, il diritto alla quota di legittima, riconosciuto generalmente nel sistema giuridico italiano, attraverso l"inerzia del legittimario legittimato all"azione di riduzione, possa divenire sempre più una rinforzata potestà giuridica.




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