-  Redazione P&D  -  24/06/2016

La famiglia di fatto e le unioni civili. Apunti sulla recente legge – Francesco Gazzoni

l. La famiglia di fatto. - La L. 16/76 disciplina, all"art. 1 n. 36 ss., la convivenza tra persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile.

Ferma restando la sussistenza degli altri presupposti, per il solo accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all"art. 4 e alla lettera b) del comma 1 dell"art. 13, D.P.R. 89/223 [già così Cass. 2005/8976, Giur. it. 2005, 2273]. A prescindere da tale dichiarazione la legge non si applica, per impossibilità di dare la prova della stabilità, coelemento costitutivo della fattispecie.

Sennonchè la dichiarazione anagrafica di costituzione di una nuova convivenza deve essere resa dal responsabile di cui all"art.6, cioè da colui che normalmente dirige la convivenza stessa, formula di certo non riferibile alla famiglia, salvo riesumare il pater familias e la potestà maritale, ma nemmeno alla convivenza more uxorio.

Poiché dunque la direzione non è di un singolo convivente, se ne deduce che ciascuno di essi potrebbe dichiarare all"anagrafe la costituzione della nuova famiglia di fatto, pur ad insaputa dell"altro. In tal modo il convivente, anche se non dichiarante e quindi possibilmente ignaro, in caso di cessazione della convivenza, dovrebbe, come si dirà, corrispondere, se del caso, gli alimenti ex art. 1 n. 65, con palese violazione del principio di libertà, su cui la famiglia di fatto poggia. E" evidente, allora, che la dichiarazione anagrafica, al fine di permettere l"applicazione della legge, dovrà essere congiunta.

Peraltro la legge, anche a prescindere dalla dichiarazione anagrafica, non si applica nel caso in cui uno o entrambi i conviventi siano separati legalmente, e quindi ancora legati da vincolo matrimoniale.

Si tratta di una limitazione in contrasto non solo con la realtà sociale, ma anche con quella giuridica, frutto di lunghi anni di elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale, anche ad opera della Corte costituzionale. Non si dubita più, infatti, che la condizione di separato legalmente non osti alla stabile convivenza con altra persona, posto che quella con il coniuge è cessata. Semmai l"ostacolo potrebbe essere ravvisato nella separazione meramente di fatto.

Di conseguenza la legge ha dato luogo ad una dicotomia, perché le convivenze di fatto prive di risultanza anagrafica o con partner separato continueranno ad essere disciplinate dal diritto vivente giurisprudenziale.

La L. 16/76 disciplina i rapporti tra i «conviventi di fatto», ma la convivenza si svolge secondo modalità sostanzialmente identiche a quella coniugale (onde l"espressione convivenza more uxorio), con l"unica eccezione dell"obbligo di fedeltà, non richiamato dall"art. 1 n. 36, in esito al carattere libero e non formalizzato del rapporto, e dà vita ad una formazione sociale ai sensi dell"art. 2, Cost., in quanto autentico consorzio familiare [Corte cost. 2009/140, Foro it. 2010, I, 796; Cass. 2015/17971, Foro it. 2016, I, 1229]. Ciò vale anche per le coppie dello stesso sesso, le quali hanno pari diritto alla vita familiare, ai sensi degli artt. 2 e 3, Cost. (art. 1 n. 1).

Il presupposto è quindi il riconoscimento della formazione sociale al cui interno i rapporti si svolgono. E" allora la famiglia ad essere «di fatto» e non già i conviventi [Franceschelli, Enc. dir. agg., VI, 365; Dogliotti, Dig. IV, agg., II, 2, 705; Gazzoni, Giust. civ. 1981, II, 260; Cass.2015/6855]. Del resto l"art. 1 n. 45, prevede che i «conviventi di fatto» godono della stessa causa di preferenza dei nuclei familiari nelle graduatorie per l"assegnazione di alloggi di edilizia popolare.

A conferma, vale ricordare che la famiglia di fatto, quando formata da una coppia eterosessuale, rileva, senza soluzione di continuità, se sopravviene il matrimonio, ai fini non solo del triennio necessario per poter adottare (art. 6, L.A.), ma anche dell"accertamento per la responsabilità dell"intollerabilità della vita coniugale, in sede di separazione [Cass. 2013/15486, Giur. it. 2014, 2401], nonché dei criteri di fissazione del quantum del relativo assegno, con riferimento alle circostanze di cui all"art. 1562 [Cass. 1996/5024, Fam. dir. 1997, 307], e di quello divorzile, in punto di contributo dato alla conduzione domestica [T. Milano 22.4.80, Dir. fam 1980, 116] o di durata del matrimonio [Cass. 1981/4853], posto che tale ultimo criterio ha riguardo alla esistenza di una comunità di vita affettiva, che inizia con la famiglia di fatto e prosegue con quella di diritto. Si discute per la ripartizione della pensione di reversibilità (art. 93 L.D.) [difformi, con il medesimo presidente del collegio, Cass. 2012/1348 e 17636, Giur it. 2012, 2220 e 2525].

Come sono regolati i rapporti all"interno di questo nucleo di tipo familiare, caratterizzato dal fatto di poter venir meno in ogni momento senza alcuna formalità ? E" necessario distinguere diversi aspetti del problema.

a) Il primo aspetto riguarda la filiazione, ovviamente fuori del matrimonio, con applicazione degli artt. 74, 315 e 315 bis.

L"art. 3164 prevede che se il riconoscimento del figlio è fatto dai genitori, l"esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi. Peraltro la convivenza non implica, di per sé, il riconoscimento ad opera del padre, che è invece automatico in caso di fecondazione artificiale (art. 8, L. 04/40).

Se la convivenza cessa, si applica la disciplina della separazione tra coniugi per l"affidamento, che trae con sé, di regola, l"assegnazione della casa ex art. 337 sexies [Cass. 2015/17971, Foro it .2015, I, 1229], e l"esercizio della responsabilità genitoriale ex art. 337 ter o quater [Cass. 2011/10265, Corr. giur. 2012, 91].

In ogni caso vale ricordare che i rapporti con i figli nati fuori del matrimonio prescindono dall"esistenza di una famiglia di fatto. Detta disciplina troverebbe dunque applicazione pur se non fosse ravvisabile una comunità di tipo familiare, in difetto di una convivenza more uxorio.

Per le coppie dello stesso sesso il problema della filiazione è ovviamente diverso, non solo rispetto alle coppie eterosessuali, ma anche a seconda che la coppia stessa sia omosessuale maschile o lesbica.

La coppia lesbica, infatti, potrebbe accedere alla fecondazione artificiale, essendo palese l"impossibilità di generare, se non ricorrendo alla fecondazione eterologa, ma l"art. 5, L. 04/40, rafforzato, sul piano sanzionatorio, dal collegato art. 12 n. 2, prevede, tra i requisiti soggettivi, che la coppia di maggiorenni possa essere bensì anche solo convivente, senza nemmeno il carattere stabile more uxorio, purché però di sesso diverso.

Potrebbe pertanto porsi un problema di disparità di trattamento e quindi di incostituzionalità, atteso che, da un lato, la disciplina della convivenza prescinde ora, per legge, dalla eterosessualità della coppia, e, dall"altro, il diritto alla vita familiare ex art. 2 Cost. potrebbe giustificare l"aspirazione della coppia alla genitorialità.

Il problema sarebbe quello, da un lato, della genitorialità della donna non madre biologica e, dall"altro, del concepturus, il cui interesse programmatico (rilevante ai sensi dell"art. 1 n. 1, L. 04/40) potrebbe ravvisarsi nell"avere un padre e una madre, secondo il modello genitoriale (ancora) dominante [ma v. Cass. 2016/12962; Cass. 2013/601, cit.], almeno considerando che non si tratta di decidere in merito allo status di un già nato, il cui interesse può essere, all"occorrenza, opposto.

L"interesse del figlio già nato, infatti, è alla base di sentenze che hanno risolto un problema di diritto internazionale privato. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso, come si dirà, non è ammesso in Italia, ma lo è, ad esempio, in Spagna. Pertanto è possibile che due lesbiche sposate, di cui una spagnola e l"altra italiana, risultino, all"anagrafe spagnola, entrambe madri dello stesso figlio (madre una e madre due), concepito con fecondazione eterologa dalla spagnola. L"italiana, quale madre, benché non biologica, può dunque ottenere, ex art. 33, L.95/218, la trascrizione dello status filiationis, con acquisto per il figlio della cittadinanza italiana, sussistendo l"interesse del figlio stesso e non ostando l"ordine pubblico [A. Torino 29.10.14, Giur. it. 2015, 1344].

Egualmente è a dirsi in caso di riconoscimento di un provvedimento del giudice spagnolo di adozione legittimante di un minore da parte della partner della madre biologica [A. Milano 10.12.15, Foro it. 2016, I, 338].

Per quanto riguarda il diritto italiano il problema è pur sempre quello dell"adozione del figlio della convivente madre, da parte della partner, ricorrendo alla disciplina dell"adozione in casi particolari, di cui all"art. 44, L. 83/18. La previsione di cui alla lettera b) è certamente inapplicabile pur se la coppia fosse sposata all"estero, perché è pacifica l"impossibilità di equiparare coniuge e convivente. Viceversa è possibile ricorrere alla previsione di cui alla lettera d), sul presupposto ermeneutico che la constatata impossibilità di affidamento preadottivo del minore possa anche essere una impossibilità giuridica, visto che in punto di fatto egli non è in stato di abbandono, fermo peraltro l"accertamento ad opera del giudice dell"eventuale esistenza di un conflitto di interessi tra minore adottando e genitore biologico, con nomina di un curatore speciale [Cass. 2016/12962].

Il problema dell"adozione all"interno di una coppia omosessuale maschile è reso più difficile dal fatto che, in tal caso, il figlio non nasce, ovviamente, a seguito di una fecondazione eterologa, pienamente lecita anche in Italia, ma, di necessità, a seguito di un contratto con il quale una donna si presti ad essere fecondata artificialmente, per poi consegnare alla coppia committente il nato, contratto che, nella modalità della maternità surrogata, non solo è vietato, ma anche penalmente sanzionato (art. 12 n. 6, L. 04/40). Le due fattispecie sono dunque diverse e indipendenti l"una dall"altra [Corte cost. 2014/162, Nuova giur. civ. comm. 2014, I, 802].

Si tratta allora di stabilire se, esclusa la possibilità di concludere un tale contratto in Italia, sia delibabile la sentenza straniera di un Paese dove esso è lecito, che abbia riconosciuto, quale figlio del convivente committente, il minore così nato, in modo poi da permettere all"altro di chiedere l"adozione ex art. 44, L.83/184, oppure abbia direttamente dichiarato la duplice paternità (padre uno e padre due).

L"ostacolo è costituito dall"ordine pubblico, che dovrebbe prevalere anche sull"interesse del minore, ove si ritenga che detto contratto violi comunque la dignità della donna, usata alla stregua di una macchina per procreare, e violi anche l"istituto dell"adozione ove la donna fosse fecondata da un terzo, con conseguente inesistenza di legami biologici del nato con nessuno dei due conviventi. Questo contratto, pertanto, cozzerebbe contro principi che caratterizzano la stessa struttura etico-sociale della comunità nazionale e contro regole inderogabili e fondamentali, distinte e preminenti rispetto alle norme imperative, anche tenuto conto del contesto europeo, internazionale e convenzionale, nel quale principi e regole sono da collocare [Cass. 2014/24001, Foro it. 2014, I, 3408, per la maternità surrogata eterologa]. Resterebbe però aperta l"ipotesi in cui la donna fosse stata fecondata con gameti di uno dei conviventi, perché allora ex art. 8, CEDU dovrebbe essere tutelato il diritto del minore all"identità personale, sotto il profilo del legame di filiazione [CE 26.6.2014, Foro it. 2014, IV, 561], anche in chiave di responsabilità genitoriale [Corte cost. 2012/31, Foro it. 2012, I, 1992; Corte cost. 2013/7, Foro it. 2014, I, 1402], pur se si ritenesse applicabile l"art. 12 n. 6, L. 04/40 e a prescindere dal fatto che il reato fosse poi perseguibile ex art. 92, c.p.

Ciò è tanto più vero in presenza di una giurisprudenza penale molto benevola, che, quando la maternità surrogata avviene all"estero, ha, di fatto, abrogato l"art. 12 n. 6, L. 04/40, applicando la scriminante dell"esercizio putativo del diritto, con riguardo all"errore relativo alla c.d. doppia incriminazione, nazionale e straniera [Cass. pen. 2016/13525, Foro it. 2016, II, 286].

b) Il secondo profilo di rilevanza è quello dei diritti e dei doveri dei conviventi.

Sul piano personale la legge non prevede obblighi, ma, in assenza di un profilo formale quale è quello matrimoniale, di certo non paragonabile alla dichiarazione anagrafica ai fini della prova della stabilità, sposta sul piano dei coelementi costitutivi della fattispecie l"affectio e la reciproca assistenza morale e materiale di cui all"art. 1432 , con esclusione, come detto, della fedeltà.

Sul piano patrimoniale è necessario distinguere.

Durante la convivenza l"assistenza materiale si risolve in attribuzioni patrimoniali non coercibili, quali sono invece quelle tra coniugi ex art. 1433, le quali sono insuscettibili di estensione analogica [erra T. Savona 10.6.02, Nuova giur. civ. comm. 2003, I, 905], sicché si tratta di obbligazioni non già civili, tanto meno riconducibili ai diritti fondamentali [erra Cass. 2013/ 15481, Nuova giur. civ. comm. 2013, I, 994], ma naturali ex art. 2034, ivi comprese quelle di solidarietà, quale è quella di estinguere i debiti del convivente [Cass. 2016/1266; Cass. 2014/1277, Giur. it. 2014, 244]. A sé stante è l"ipotesi di cui all"art. 342 ter2, là dove il pagamento dell"assegno ha la funzione di evitare che l"allontanamento si risolva per il convivente in un danno.

Esulano dalle attribuzioni naturali le donazioni o liberalità d"uso [Cass. 1998/11894, Corr. giur. 1999, 54; Stella Richter, Riv. dir. civ. 2003, II, 143], le opere di cui all"art. 936 [Cass. 2003/3713, Giur. it. 2004, 530] ed anche le prestazioni lavorative, che rientrano tra quelle di cortesia, gratuite e sfornite, di per sé, di valore contrattuale, fatta salva la prova di un contratto di lavoro subordinato o di un rapporto societario o di impresa familiare [Cass. 2006/995].

Il convivente non proprietario è detentore qualificato dell"immobile adibito ad abitazione parafamiliare, di proprietà dell"altro convivente, onde il suo diritto, che trae origine da un negozio di diritto familiare, è del tutto equiparabile a quello del comodatario [Cass. 2015/17971, cit.; Cass. 2014/7, GI 14, 31].

In base all"art. 1 nn. 50-64, i conviventi possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune, sottoscrivendo un contratto di convivenza, il cui eventuale termine si considera non apposto, al pari delle condizioni. E" stato così tipizzato quel contratto già ammesso dalla dottrina con ricorso all"art. 13222 [Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, p. 150 ss.].

Il contratto può prevedere l"indicazione della residenza, le (specifiche) modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo, nonché il regime della comunione dei beni, modificabile nel corso della convivenza (art. 1 n. 54) ed altre disposizioni, quale quella sulla destinazione dei beni ex art. 2645 ter.

Il contratto è affetto da nullità assoluta e insanabile se non ricorrono i presupposti della convivenza di cui all"art. 1 n.36, se sussiste vincolo matrimoniale, di unione civile o di altro contratto di convivenza, se un convivente è minore, interdetto o è stato condannato per omicidio del coniuge dell"altro (art, 1 n. 57).

Il contratto si risolve per accordo delle parti, per libero recesso unilaterale, per matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e altra persona, per morte di uno dei conviventi (art. 1 n. 59).

La risoluzione determina lo scioglimento della comunione dei beni, ove pattuita, con applicazione della relativa disciplina, in quanto compatibile. Gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza pretendono la forma pubblica.

La forma del contratto, per la conclusione, modificazione o risoluzione per accordo o recesso unilaterale è, a pena di nullità, quella dell"atto pubblico o della scrittura autenticata da notaio o da avvocato (art. 1 n. 51).

Ai fini dell"opponibilità ai terzi, il contratto, le modifiche e la risoluzione per accordo o recesso unilaterale devono essere iscritti all"anagrafe ai sensi degli artt. 5 e 7, D.P.R. 89/223 (art. 1 n. 52).

In caso di cessazione della convivenza per causa diversa dalla morte, esclusa, in favore del convivente abbandonato senza giusta causa, qualsivoglia forma indennitaria analoga a quella prevista dall"art. 20411 [Cass. 2016/1266; Cass. 2015/18632, Giur. it. 2015, 2036] ed esclusa, a maggior ragione, qualsivoglia assurda ipotesi risarcitoria da lesione di fantasiosi diritti fondamentali della persona [bizzarra Cass. 2013/15481, cit.], l"art.1 n. 65 prevede che il giudice stabilisce il diritto del convivente, qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, di ricevere gli alimenti per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ex art. 4382 , con precedenza sui fratelli e sorelle, per quanto riguarda l"ordine di cui all"art. 433.

Inoltre, in caso di recesso unilaterale, ove l"abitazione parafamiliare sia nella disponibilità esclusiva del convivente recedente, la relativa dichiarazione va notificata all"altro a cura del notaio o dell"avvocato che autentica e deve contenere, a pena di nullità, il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso per lasciare l"abitazione (art. 1 n.61).

E" peraltro possibile, con il contratto di convivenza, disciplinare, ex art. 13221, i rapporti patrimoniali per il caso di cessazione della convivenza, al di là del regime suddetto, che costituisce solo l"esito legale, inderogabile in peius.

La notifica è dovuta anche in caso di matrimonio o unione civile, con trasmissione del relativo estratto, mentre in caso di morte l"estratto va inviato dal convivente superstite o dagli eredi al notaio o avvocato che ha autenticato, affinché la risoluzione sia annotata a margine del contratto di convivenza (che evidentemente l"avvocato deve conservare secondo modalità analoghe a quelle notarili) e poi notificata all"anagrafe (artt. 1 nn. 62-63).

Per quanto riguarda i rapporti mortis causa, il convivente non può essere assimilato ex art. 3 Cost. al coniuge [Corte cost. 1989/310, Foro it. 1991, I, 446], anche se potrebbe porsi un problema rispetto a quello putativo, che, nella realtà del rapporto, nullo il matrimonio, è stato un convivente more uxorio e, non a caso, succede solo se il de cuius non è sposato al momento della morte (art. 5842 ). D"altra parte, però, è ben vero che la famiglia di fatto può essere ricompresa nella previsione di cui all"art. 2 Cost., ma è anche vero che il diritto a succedere mortis causa non rientra tra quelli inviolabili, in presenza di una riserva di legge ordinaria (art. 424 Cost.).

Escluso, ai sensi dell"art. 458, che la materia possa essere fatta oggetto di disciplina pattizia con il contratto di convivenza, le attribuzioni post mortem seguiranno le regole ordinarie [Bonilini, Riv. dir. civ. 1993, I, 240], salvo il diritto di abitazione nella casa di proprietà del convivente de cuius in favore del convivente superstite (secondo quanto già a suo tempo auspicato dalla Corte costituzionale [Corte cost. 1989/310, cit.]) per due anni o per un periodo pari alla convivenza, se superiore, e comunque non oltre cinque anni, ma non meno di tre se coabitano figli minori o disabili, fermo però quanto disposto dall"art. 337 sexies. Il diritto viene meno se il convivente cessa di abitare nella casa o in caso di matrimonio, unione civile o nuova convivenza di fatto (art.1 nn. 42-43).

c) Nei rapporti con i terzi, i conviventi hanno gli stessi diritti dei coniugi in punto di ordinamento carcerario; hanno diritto di visita, assistenza e accesso alle informazioni in caso di malattia e ricovero; possono essere nominati tutore, curatore o amministratore di sostegno; possono designarsi reciprocamente, con scrittura autografa o, in caso di impossibilità a redigerla, alla presenza di un testimone, rappresentanti per le decisioni in materia di salute, se sopravviene incapacità naturale, donazioni di organi, modalità di trattamento del cadavere e celebrazioni funerarie (art. 1 nn. 38-41).

Per quanto riguarda la casa parafamiliare, il convivente ha diritto di succedere nel contratto di locazione, se l"altro convivente conduttore muore o recede (art. 1 n. 44), mentre in caso di cessazione della famiglia di fatto, l"eventuale comodato della casa prosegue, in presenza di figli minori o non autosufficienti, salvo l"art. 18092 a tutela del comodante [Cass. 2011/13592, Contratti 2011, 1103].

Se il convivente è obbligato a versare un assegno di separazione al coniuge, dovrà tenersi conto di quanto versa per il figlio della propria famiglia di fatto [Cass. 2012/4551, Corr. giur. 2012, 1052], mentre se è creditore di un assegno divorzile, creandola, lo perde [difformi Cass. 2015/6855, Giur. it. 2015, 2078 e Cass. 2012/1789, Foro it. 2012, I, 1445], così come decade dall"assegnazione della casa familiare, salvo controinteresse dei figli (art. 337 sexies1) [Corte cost. 2008/308, Foro it. 2008, I, 3031].

Il convivente è equiparato al coniuge in caso di lesione alla salute o di uccisione del partner [Cass. 2011/12278, Corr. giur. 2011, 906] (art. 1 n. 49).

d) Taluni problemi posti dalla convivenza non possono, peraltro, risolversi se non nel quadro di ulteriori leggi, come nel caso della sospensione della prescrizione [Corte cost. 1998/2, Foro it. 1998, I, 313], della normativa sul ricongiungimento familiare e sull"espulsione dello straniero convivente [Corte cost. 2000/313; Cass. 2009/6441, Foro it. 2009, I, 2076], o di un"interpretazione adeguatrice di quelle esistenti, come nel caso di favoreggiamento personale, omessa denuncia, maltrattamenti in famiglia, assistenza familiare, non punibilità ex art. 649 n. 1 c.p., circostanze aggravanti (art. 5772 c.p.), ammissione al gratuito patrocinio [Cass. pen. 2013/22915 e 2009/40727, Foro it. 2014, II, 450 e 2010, II, 132; Cass pen. 2007/8121; Cass. pen. 2008/20647, Giur. it. 2008, 2005; Corte cost. 2009/140, Foro it. 2010, I, 796; Corte cost. 2004/121, Fam. dir. 2004, 330; Corte cost. 2000/352, Corr. giur. 2000, 1378]. Risolto è invece il problema della facoltà di astensione dall"obbligo di deporre (art.1993 c.p.p.) e quello della protezione contro gli abusi nella convivenza (art. 342 bis e ter).

 

2. Le unioni civili. I conviventi di fatto eterosessuali possono sposarsi tra di loro, mentre quelli dello stesso sesso non possono, perché il matrimonio, più che inesistente o invalido, sarebbe inidoneo e quindi privo di effetti. Pertanto non può nemmeno essere trascritto un matrimonio contratto all"estero [Cass. 2015/2400, Nuova giur. civ. comm. 2015, I, 649; Cons. St. 2015/4889, Foro it. 2016, III, 6]. E" vero, infatti, che il concetto di famiglia e quello di matrimonio di cui all"art. 29 Cost. non sono cristallizzati con riferimento all"epoca in cui la Costituzione entrò in vigore, perché sono dotati della duttilità propria dei principi costituzionali, in relazione anche alla evoluzione della società, ma non è possibile incidere sul nucleo della norma, modificandola in modo tale da includere in essa fenomeni e problematiche non considerati in alcun modo quando fu emanata [Corte cost. 2010/136, Foro it. 2010, I, 1361].

L"art. 1 nn.1-34, L. 16/76 disciplina dunque, alla stregua di una sorta di matrimonio di serie B, l"unione civile tra due maggiorenni dello stesso sesso, certificata dal relativo documento, che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l"indicazione del loro regime patrimoniale (la comunione dei beni, salvo diversa convenzione patrimoniale ai sensi dell"art. 1, n. 13), nonché della loro residenza ed è formato, alla presenza di due testimoni, mediante dichiarazione di fronte all"ufficiale di stato civile, che provvede alla registrazione nell"archivio dello stato civile.

La disciplina dettata dalla legge speciale è dunque essenzialmente quella stessa del matrimonio, ricalcata con il sistema del taglia e cuci, o richiamata espressamente, con scelta, di volta in volta, di singoli articoli del codice civile, dall"art. 1, nn. 5, 33, che rende superfluo il n. 8 (nullità dell"unione civile), 13 (regime patrimoniale), 14 (ordini di protezione), 17 (indennità dovute al dipendente), 19 (alimenti, straniero, allontanamento dalla residenza, trascrizione), 21 (indegnità a succedere, legittimari, successione legittima, collazione, patto di famiglia), 23 e 25 (divorzio, nei limiti della compatibilità).

Più in generale, salvo per il codice civile, là dove vige la regola del richiamo espresso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e quelle contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrano in atti legislativi e amministrativi o in contratti collettivi si applicano anche ad ognuna delle parti dell"unione civile (art. 1 n. 20).

Per l"adozione se, in base all"art. 1 n. 20, vale parimenti il richiamo espresso, che nella legge speciale manca, lo stesso art. 1 n. 20 precisa che resta fermo quanto previsto e consentito dalle norme vigenti, sicché vale quanto già detto a proposito della adozione ad opera dei conviventi di fatto omosessuali.

I diritti e doveri delle parti (art. 1 n.11) sono gli stessi previsti dall"art. 143 per i coniugi, salvo l"obbligo di fedeltà, come per i conviventi, ma, trattandosi di una unione formale, per un motivo diverso e cioè che la fedeltà, nel matrimonio, esprime, sul piano dei principi, l"esigenza di rendere certa la paternità, inconcepibile nell"unione. La infedeltà del resto non è incompatibile con solidarietà e affetto, tant"è che l"adulterio non è di per sé causa di addebito nella separazione tra coniugi [Cass. 2013/27730, Giur. it. 14, 5]. E" dunque comunque esclusa l"azione risarcitoria, che più che la fedeltà vorrebbe tutelare un antistorico onore coniugale rispetto ad un preteso discredito sociale per i pettegolezzi che all"adulterio conseguono [Gazzoni, Amore e diritto, Napoli, 1994, p. 147 ss.]. La collaborazione nell"interesse della famiglia è poi sostituita dalla coabitazione. Egualmente è a dirsi per l"art. 144, là dove sono omessi i riferimenti alla famiglia, ma è confermata l"espressione «indirizzo della vita familiare», evidentemente sfuggita alla censura (art. 1 n. 12).

Con dichiarazione all"ufficiale di stato civile le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell"unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro, ma la parte il cui cognome non è stato scelto può anteporre o posporre il proprio (art. 1 n. 10).

La parte dell"unione civile è preferita nella scelta dell"amministratore di sostegno e può promuovere l"interdizione, l"inabilitazione e la loro revoca (art. 1 n. 15).

L"art. 1 nn. 16 e 18 detta poi una disciplina identica a quella valida per i coniugi ex artt. 14361 e 2941 n.1.

Le condizioni ostative al matrimonio previste dagli artt. 85, 86, 87, 88, sono, con taluni aggiustamenti, cause impeditive per la costituzione dell"unione civile, a pena di nullità ad iniziativa delle parti, degli ascendenti prossimi, di qualsivoglia interessato e del P.M. Anche la disciplina della nullità è in larga parte quella relativa al matrimonio (art. 1 nn. 4 e 5).

Parimenti, l"unione civile può essere impugnata dalla parte, in caso di violenza, timore, errore, negli stessi termini previsti per il matrimonio dall"art. 122 , ad eccezione, per quanto riguarda il terzo comma e l"errore essenziale sulle qualità personali, del n. 5 (che presuppone l"eterosessualità e comunque rinvia all"art. 233, ora abrogato) e del n. 1, riscritto non solo sostituendo, alla vita coniugale, quella in comune, ma anche omettendo il riferimento alla anomalia o deviazione sessuale, quasi che l"omosessualità potesse essere considerata tale e quindi aprioristicamente incompatibile con l"unione, così da renderla nulla de iure, perfino a prescindere dalla conoscenza, con conseguente inconfigurabilità dell"errore, e dalla irrilevanza, ai fini dell"art. 122, dei rapporti anali tra coniugi [Cass. 1983/7020, Dir. fam. 1984, 449; Cass. 2013/3407, Foro it. 2013, I, 1145; T. Milano 13.2.13, Nuova giur. civ. comm. 2013, I, 782] (art. 1 n. 7).

Questa imbarazzante riserva mentale legislativa comporta ora una bizzarra disparità di trattamento, perché la parte dell"unione, a differenza del coniuge, non potrà far valere l"errore, se l"altra si riveli sessualmente deviata (ad esempio, sadismo, masochismo, coprofilia, urolagnia, agonofilia, chelidolagnia, ipossifilia ed altro [Krafft-Ebing, Psychopathia sexualis, Pgreco, 2010]), così da rendere il rapporto sgradito e quindi impossibile, o presenti anomalie sessuali, intese come organiche o funzionali (ad esempio, impotentia coeundi [Cass. 2005/9801, Giust. civ. 2006, I, 93]) [Tommasini, in Comm. del cod. civ. Gabrielli, sub art. 122].

Sono causa di scioglimento dell"unione civile la morte o la dichiarazione di morte presunta; i casi previsti per il divorzio, salvo l"art.3, lett. b,f,g; la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso; la manifestazione, anche disgiunta, innanzi l"ufficiale dello stato civile, della volontà di scioglimento (art. 1 n. 22-23-24-26).

Il giudizio per lo scioglimento (che in quest"ultimo caso può essere iniziato solo dopo tre mesi) è, nei limiti della compatibilità, quello stesso del divorzio (art. 1 n. 25). 

 




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