In fin di vita nella sala di rianimazione di un ospedale, Paul Rivers, uno dei personaggi principali della pellicola cinematografica 21 grammi - Il peso dell"anima (2003) del regista Alejandro Gonzales Inarritu, si interroga sul senso ultimo della vita e della morte, mentre progressivamente le sue forze vengono meno: Quante vite viviamo? Quante volte si muore? Si dice che nel preciso istante della morte tutti perdiamo ventuno grammi di peso, nessuno escluso. Ma quanto c"e in ventuno grammi? Quanto va perduto? Quando li perdiamo quei ventuno grammi? Quanto se ne va con loro? Quanto si guadagna? Ventuno grammi: il peso di cinque nichelini l"uno sull"altro, il peso di un colibri, di una barretta di cioccolato [...] Quanto valgono ventuno grammi?
Come mette bene in luce Umberto Curi, il film summenzionato, attraverso un inestricabile groviglio di flashback e mediante continue sovrapposizioni di immagini e di sequenze temporali volutamente prive di senso logico, sembra intento a voler percorrere in maniera radicale la via antileibniziana della totale mancanza di relazione causale necessitante tra gli eventi. La realta messa in scena all"interno dell"opera cinematografica, in toto estranea a qualsivoglia prospettiva meccanicistica conforme a un principio di ragion sufficiente tale da fornire un nesso razionalmente vincolante tra due avvenimenti, e impietosamente dominata dalla piu insondabile casualita dei fatti; incline, quindi, a barattare ogni speranza ottimistica nel libero arbitrio umano o in una giustizia divina, in grado di riequilibrare imperscrutabilmente gioie e disgrazie, con la pessimistica constatazione dell"impassibilita spietata della sorte, regista inclemente delle tragedie che travolgono tutti i protagonisti del racconto.
All"interno di un contesto narrativo accentuatamente drammatico e caliginoso, la morte rappresenta di per se il fil rouge che tiene precariamente assieme il diniego delle capacita volitive umane, l"assenza di Dio e le incontrovertibili sentenze del fato nelle singole vite dei personaggi, ciascuna delle quali e profondamente segnata dall"esperienza della morte, pur secondo modalita differenti. Ora, il monologo finale summenzionato relativo alla perdita da parte del corpo umano di ventuno grammi nel momento del decesso – perdita scientificamente non provata o, comunque, ipoteticamente giustificata con la cessazione dell"ultimo respiro – se, a un livello per cosi dire letterario, mira a stabilire secondo un semplice artificio narrativo il possibile peso dell"anima che socraticamente si distacca dalla sua prigione corporea, dal punto di vista del significato intrinseco all"opera cinematografica intende invece evidenziare la vulnerabilita organica della vita umana, come bene emerge dalla corrispondenza tra il peso perduto nel trapasso e quello di oggetti apparentemente insignificanti (i cinque nichelini posti l"uno sopra l"altro e la barretta di cioccolato) o di esseri viventi di piccola consistenza fisica (il colibri).
In quei ventuno grammi, i quali stabiliscono il confine che separa la vita dalla morte, su cui si concentrano gli interrogativi di Paul Rivers, e racchiusa tutta la fragilita biologica di un"umanita che, nonostante i progressi della scienza e l"ostentazione tronfia delle proprie peculiarita intellettive e razionali, non puo fare a meno di riconoscere – spaesata – i limiti ontologici delle proprie potenzialita. La mortalita, quindi, come testimonianza dell"indisponibilita della vita e come attestazione di quanto siano ridotte le capacita spirituali dell"uomo nei confronti dell"imperturbabile corso della natura.
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