Cultura, società  -  Redazione P&D  -  12/10/2021

La giustizia ai tempi di Carlo Magno: un tentativo di lotta alla corruzione - Monica Castello

Le problematiche inerenti alla giustizia non sono certo una novità. Tra l’ottavo ed il nono secolo D.C. Carlomagno, durante il suo regno e poi il suo impero, tentò, ed in parte riuscì, il contenimento dei soprusi ponendo regole chiare e precise.

L’amministrazione della giustizia non spettava ad un potere separato, bensì era parte dei compiti propri dei funzionari pubblici. I conti ed i vescovi dovevano tenere, per i territori di competenza, tre sessioni giudicanti all’anno, coadiuvati da una giuria formata da probi viri locali; le cause minori venivano delegate a funzionari di grado inferiore, ma tutte quelle che riguardavano la proprietà o la libertà di una persona dovevano essere giudicate direttamente dal funzionario superiore indipendentemente dal valore. Tutti potevano ricorrere in giudizio indipendentemente dalla condizione sociale od economica e la sentenza doveva essere emessa nella sessione in cui la causa veniva affrontata. Inoltre era vietato ai giudici di indire sessioni dopo mangiato, al fine di evitare che prendessero decisioni ubriachi, e, visto che le sessioni giudicanti erano onerose per la popolazione, nessuno che non avesse una causa in corso era obbligato ad assistervi. Era fatto divieto ai magistrati di accettare doni di qualsiasi tipo, il loro lavoro veniva controllato periodicamente dai messi dominici, funzionari provenienti da altre regioni, ed il giudice che emetteva una sentenza iniqua doveva pagare un adeguato risarcimento alla parte lesa.

L’onere della prova spettava alle parti, e la prova scritta era quella che portava alla soluzione immediata della vertenza; considerato però che spesso si ricorreva a falsi, essa doveva essere accompagnata da due copie che oggi definiremmo autentiche, fatte da un cancelliere di comprovata serietà. In mancanza di prove scritte si poteva ricorrere ai testimoni, chiamati dalle parti, oppure al giuramento, che oggi definiremmo decisorio, che doveva però essere convalidato dalla testimonianza giurata di un congruo numero di persone stabilito per legge. Tale pratica avveniva frequentemente in caso di delitti irrisolti o vertenze particolarmente gravi, in cui il giudice locale veniva sostituito da un messo dominico. L’uso dell’ordalia, che  consisteva spesso in prove di resistenza od in duelli con bastoni, andò progressivamente in disuso, vista la frequente disparità fisica dei contendenti.

Inoltre le parti potevano ricorrere al giudizio di un arbitro scelto da loro e di cui si impegnavano ad accettare il responso, sgravando così il lavoro dei tribunali.

Esisteva inoltre il tribunale del Palatium, cioè la possibilità di ricorrere direttamente all’imperatore quando si riteneva che la sentenza fosse ingiusta, anche in questo caso indipendentemente della stato sociale della persona: anche un servo della gleba doveva essere ascoltato, purché non fosse uno schiavo e si recasse  presso l’imperatore ad Aquisgrana o nelle sedi distaccate dell’Italia e dell’Aquitania dove egli periodicamente andava per amministrare la giustizia. Le cause minori erano gestite dal conte di palazzo, incaricato anche di predisporre la documentazione da sottoporre all’imperatore, e le sentenze venivano emesse immediatamente. Carlomagno però in un editto diffidò chiunque, nobili e popolo, dal ricorrere a lui solamente con intenti dilatori. Quando una vertenza coinvolgeva un nobile od un esponente del clero la sua soluzione era di esclusiva competenze dell’imperatore, per evitare quelli che oggi chiameremmo “conflitti d’interesse”.

Questa funzione di suprema corte permetteva a Carlomagno di verificare quali fossero i problemi più frequenti, per i quali cercava una soluzione emanando nuove norme volte ad escludere occasioni di conflitto. Esse dovevano essere illustrate in tutto l’impero alla popolazione dai messi dominici, e la presa d’atto avveniva con la sottoscrizione del documento, con la firma od una croce per gli analfabeti, da parte dei presenti.

Le pene più dure erano riservate al furto, considerato un crimine premeditato, mentre per l’omicidio,  valutato prevalentemente delitto d’impeto, frutto spesso di risse o commesso in stato d’ubriachezza, la pena era un congruo risarcimento, in quanto una condanna a morte avrebbe scatenato una serie infinita di vendette.

Occorre sottolineare come Carlomagno fosse in linea di massima contrario alla pena di morte anche nei casi alto tradimento o nei confronti dei nemici sconfitti,per cui ricorreva ad essa solo quando riteneva non fosse possibile fare altrimenti, preferendo in genere la messa al bando o la chiusura in convento.

Nell’802, visto il dilagare della corruzione nonostante le misure prese, attuò una riforma della giustizia, trasformando i messi dominici, che dovevano comunque essere inviati appositamente in territori non di loro appartenenza, in organo giudicante con l’obbligo di tenere quattro sessioni l’anno, coadiuvati da una giuria permanente formata da uomini con provata competenza giuridica. Tutta la normativa civile, penale e procedurale, venne rivista e racchiusa in una serie di leggi scritte, di cui tutti dovevano essere messi a conoscenza.

Certo non si è di fronte ad un sistema perfetto, certo queste poche righe non possono rendere appieno il tentativo di creare un sistema equo posto in essere dall’imperatore, ma indubbiamente l’avere dato vita ad una giustizia pubblica ed alla possibilità di ricorrere all’autorità suprema a favore qualsiasi uomo libero, così come la continua lotta alla corruzione, non possono dirsi cosa da poco.

Purtroppo però alla morte di Carlomagno, come quasi sempre accadde per i grandi da Alessandro in poi, il sistema da lui creato si sfaldò rapidamente, lasciando all’epoca nuovamente il posto alla corruzione ed all’ingiustizia ed in noi un’immagine di grande modernità.  Il biondo barbaro di manzoniana memoria, alla luce degli eventi che la storia racconterà poi, tanto barbaro non era.

Monica Castello 




Autore

immagine A3M

Visite, contatti P&D

Nel mese di Marzo 2022, Persona&Danno ha servito oltre 214.000 pagine.

Libri

Convegni

Video & Film