-  Gasparre Annalisa  -  12/09/2013

LA GUERRA E' INIZIATA: SPARI, MORTI E ALTRI ILLECITI NELLA CAMPAGNE DEL BEL PAESE - Annalisa GASPARRE

Settembre è mese di tanti inizi, tra cui l'inizio della caccia, pratica arcaica, decisamente preistorica che, grazie a tali radici storiche, viene difesa come tradizione, ma è bene dire che è difesa e foraggiata soprattutto dagli interessi che all'attività venatoria (in uno con l'utilizzo di armi) sono collegati.

Spari all'alba, invasioni di campo, animali morti e anche qualche cacciatore morto ammazzato da compagni di battuta.

Niente di nuovo, come ha intitolato il suo intervento l'Associazione Vittime della caccia che ha ricominciato, come ogni anno, a contare le vittime. Morte, ma anche arroganza, come ricorda Daniela Casprini, presidente dell'Associazione Vittime della caccia dichiara: "...Perchè a casa nostra questa gente armata viene e spara ma sempre più rari sono i controlli effettuati sui cacciatori da parte della vigilanza venatoria preposta che non abbia un palese conflitto d'interessi, come invece le guardie volontarie delle associazioni venatorie evidentemente hanno. Ai controlli stradali bastano la Polizia Municipale e i Carabinieri, mentre la Polizia Provinciale durante la stagione venatoria dovrebbe vigilare prevenendo e reprimendo i reati di caccia a garanzia della sicurezza pubblica e privata". Solo nella stagione 2012-2013 ci sono state 118 vittime (umane), di cui 3 morti e 16 feriti tra chi con la caccia non c'entra e non ci vuole entrare, bambini compresi (2 i bambini morti fucilati e 1 ferito). Considerando poi nello stesso arco di tempo (1 settembre/31 gennaio) anche cosa combinano fuori dalle battute venatorie i cacciatori (ambito extravenatorio) con le loro armi, ai precedenti numeri si aggiungevano vergognosamente altre 33 vittime, di cui 24 tra la gente comune (8 i morti e 16 i feriti, tra questi 6 i bambini colpiti: 3 morti e 3 feriti) per il ludribio sanguinoso di una minoranza armata, tracotante, sempre più vegliarda e incontrollata", conclude la Casprini.

L'occasione nefasta si rivela combinata alla lettura di una sentenza in tema di uccellagione, pratica venatoria vietata costituente reato, e furto venatorio. Tra i reati comuni commessi nel contesto venatorio, ve ne sono infatti taluni previsti specificamente dalla legge sulla caccia, accanto alla previsione di illeciti amministrativi.

Con la sentenza Cass. n. 25728/2012 la V sezione penale ha avuto modo di affermare che solo l'attività venatoria di frodo esercitata da soggetto in possesso di licenza - essendo ipotesi diversa dal bracconaggio (assenza di licenza) - consente di escludere l'ipotesi del furto. Fuori da questa ipotesi, rimane l'apprensione illecita di fauna, bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato a norma dell'art. 1, e quindi si configura il reato di furto aggravato di fauna selvatica quando la caccia sia esercitata da soggetto privo di licenza. La licenza è dunque il discrimine per la configurabilità del furto perchè il possesso della licenza rende lecito l'impossessamento della fauna.

Il ricorso in Cassazione scaturiva da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Campobasso in danno di un imputato cacciatore tratto in giudizio per i reati di furto aggravato, maltrattamento di animali e uccellagione. La Cassazione ha infatti evidenziato che il caso oggetto di disamina riguardava una pratica di uccellagione, cioè pratica attuata con l'impiego di dispositivi fissi e/o con l'ausilio di richiami vivi vietati e finalizzata alla cattura indiscriminata e di massa della selvaggina.

L'uccellagione è pratica punita dagli artt. 3 e 30 co. 1 lett. e) ed h) e non prevede una differenza tra chi è munito di licenza e chi ne è privo.

Sul tema, volendo, VOLTEGGIANDO NEL CIELO (PIOMBATO) DEI REATI CONTRO LA FAUNA SELVATICA, 7 febbraio 2012 http://www.personaedanno.it/animali/volteggiando-nel-cielo-piombato-dei-reati-contro-la-fauna-selvatica-app-trieste-5-4-2011-annalisa-gasparre

 

 

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 aprile – 3 luglio 2012, n. 25728

Presidente Grassi –Relatore Sabeone

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Campobasso, con sentenza del 1 marzo 2011 emessa ai sensi dell'articolo 444 cod.proc.pen., ha applicato a C.C. la pena di mesi quattro e giorni dieci di reclusione ed Euro 300,00 di multa per i reati di furto aggravato, maltrattamento di animali ed abusiva uccellagione.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando esclusivamente il mancato proscioglimento, ex articolo 129 cod.proc.pen..

3. La Settima Sezione Penale di questa Corte, cui gli atti erano stati trasmessi ai fini della valutazione sull'inammissibilità del ricorso con provvedimento del 24 gennaio 2012 ha disposto rimettersi gli atti a questa Sezione per la discussione.

4. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato.

2. Deve preliminarmente osservarsi, pur non essendo oggetto di specifico motivo di ricorso, come secondo una corrente interpretazione dei Giudici del merito la legge sulla caccia 11 febbraio 1992 n. 157 non escluda in via assoluta l'applicabilità del cosiddetto "furto venatorio"; in realtà al contrario prevede tale esclusione solamente in relazione ai casi specificamente previsti dagli articoli 30 e 31, che non esauriscono tutti quelli di apprensione della fauna da ritenersi vietati in base ad altri precetti contenuti nella legge stessa ed infatti la norma che proibisce l'applicazione del "furto venatorio" è l'articolo 30 n. 3 il quale recita: "nei casi di cui al comma 1 (dell'art. 30) non si applicano gli articoli 624, 625 e 626 cod.pen." ed analoga previsione è contenuta nell'articolo 31 per le sanzioni amministrative.

Si deduce, quindi, che il reato di furto sia stato espressamente escluso soltanto nei casi circoscritti dalla prima parte dell'articolo 30 e da tutto l'articolo 31 in questione e cioè quelli riguardanti il cacciatore munito di licenza che violi la stessa e cacci di frodo, mentre il bracconiere senza licenza non rientra in questa prima parte dell'articolo 30 ed in tutto l'articolo 31 e non rientra in nessun'altra previsione specifica e dunque il furto venatorio appare ancora applicabile a suo carico, perché la fauna resta pur sempre patrimonio indisponibile dello Stato (articolo 1 l. cit.) e restano dunque intatti i vecchi presupposti giuridici del "furto venatorio".

Il reato di furto aggravato di fauna ai danni del patrimonio indisponibile dello Stato sarebbe, dunque secondo la suddetta tesi, ancora oggi applicabile nel regime della legge n. 157 del 1992 con riferiménto al caso in cui l'apprensione o il semplice abbattimento della fauna sia opera di persona non munita di licenza di caccia.

Tale interpretazione, oltre che sui dati testuali sopra riferiti, risulterebbe anche alla luce del complessivo impianto normativo della legge 157 del 1992, il cui articolo 1 testualmente stabilisce l'appartenenza della fauna selvatica al patrimonio indisponibile dello Stato e con le norme successive regola le modalità attraverso le quali (concessione da parte dello Stato, articolo 12) è consentito l'esercizio dell'attività venatoria, specificando luoghi, tempi, modi e oggetto della stessa e prevedendo, correlativamente, agli articoli 30 e 31 sanzioni penali e amministrative per i comportamenti difformi ivi specificamente ed analiticamente elencati, per i quali è espressamente esclusa la possibilità di applicare le norme di cui agli artt. 624, 625 e 626 cod.pen..

Mentre, dunque, sono regolate minuziosamente le conseguenze dell'inosservanza della disciplina positiva dettata per l'esercizio della caccia, manca del tutto all'interno della legge la previsione delle conseguenze che derivano dall'esercizio della caccia in assenza della stessa licenza, e cioè del presupposto - la licenza appunto - che rende lecito un comportamento altrimenti non consentito.

Ora, proprio l'impianto complessivo della legge, fondato sul principio che è il possesso della licenza a rendere lecita l'appropriazione da parte del cacciatore di una fauna appartenente allo Stato, porta a ritenere che la mancanza della abilitazione faccia scattare la responsabilità per furto secondo le regole generali del codice penale, la cui esclusione è dalla legge stessa prevista solo con riguardo ai comportamenti di cui agli articolo 30 e 31 che, per il loro stesso contenuto di dettaglio, presuppongono il possesso da parte di chi li pone in essere della licenza di caccia.

Il dianzi indicato orientamento interpretativo, espresso nell'unico precedente noto di questa Corte di legittimità (v. Cass. Sez. IV 24 maggio 2004 n. 34352) non è, però, applicabile alla fattispecie sottoposta all'esame di questo Collegio.

Nella specie, alla luce del contestato capo d'imputazione, si verte in ipotesi di c.d. "uccellagione" (articolo 30 comma 1 lettere e) ed h) legge 157/92), attività rispetto alla quale non può operarsi l'indicata distinzione tra attività di frodo compiuta dal cacciatore e attività di bracconaggio e che, pertanto, non si presta ad una interpretazione dell'articolo 30, comma 3 della citata legge foriera di conseguenze diverse da quelle della non applicazione delle norme in tema di furto ordinario (articoli 624, 625 e 626 cod.pen.).

3. In definitiva, avendo l'impugnata sentenza di applicazione della pena su richiesta, ex articolo 444 cod.proc.pen,, irrogato al ricorrente una pena in contrasto con quella di legge ecco che il relativo accordo deve ritenersi viziato, con la necessaria caducazione dell'impugnata sentenza e trasmissione degli atti al Tribunale a quo per nuovo giudizio.

P.Q.M.

La Corte, annuita senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Campobasso per nuovo giudizio.




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