Cultura, società  -  Redazione P&D  -  30/03/2022

La guerra in Ucraina. Io sto con Piero Calamandrei - Mario Iannucci

Il 7 dicembre 1952 venne affissa, nell’atrio del Municipio di Cuneo, la lastra di marmo che costituì il degno “monumento” reclamato agli italiani dal camerata Kesserling. Kesserling era il capo delle forze di occupazione tedesche in Italia che, condannato a morte per crimini di guerra, era stato poi graziato ed era tornato libero in Germania. Il Governo Tedesco protestò per l’affissione della lapide di Cuneo e il Ministero degli Esteri del Governo De Gasperi definì ufficialmente come “non molto felice” l’iniziativa di appendere la lapide, presa in autonomia dal Comune di Cuneo. La lastra di marmo porta incise le parole della splendida poesia di Piero Calamandrei che tutti conosciamo. Non tutti sanno come la poesia inizia: «Lo avrai/ camerata Kesselring/ il monumento che pretendi da noi italiani/ ma con che pietra si costruirà/ a deciderlo tocca a noi...». Tutti sanno però come la poesia finisce: «Su queste strade se vorrai tornare/ ai nostri posti ci troverai/ morti e vivi collo stesso impegno/ popolo serrato intorno al monumento/ che si chiama/ ora e sempre/ resistenza».

Resistere all’altrui violenza, a chi minaccia di ucciderti e uccide i tuoi familiari e i tuoi compagni inermi, a chi uccide e imprigiona i dissidenti, significa affrontare la prospettiva della prigionia e della morte. Resistere è talora indispensabile e, in talune circostanze, resistere significa uccidere per legittima difesa. A volte, per resistere, è indispensabile armarsi e sparare.

Non ho seguito con grande attenzione il dibattito che è sorto attorno alla guerra che si sta combattendo attualmente in Ucraina, ma due voci mi hanno colpito.

La prima voce è quella di Dacia Maraini. La scrittrice, in un programma televisivo della mattina, ha espresso in proposito la sua opinione. Ha riconosciuto fortunatamente che l’Ucraina era stata invasa e si è rammaricata, come è comprensibile, per le molte vittime della guerra. Ha riconosciuto come lecita la resistenza del popolo ucraino, ma ha segnalato come, a suo parere, più della resistenza delle armi sarà la resistenza della informazione quella che dovrà e potrà sortire un effetto positivo sull’esito dello scontro. Debbo riconoscere che, siccome sono un uomo pragmatico, di fronte a certi eventi ci sono ragionamenti che non comprendo. Mi pongo infatti la domanda: “Se in Ucraina non ci fosse stata e non ci fosse una resistenza armata, di quale resistenza dell’informazione staremmo ora a parlare?”. Aleksej Naval'nyj è stato avvelenato ed è in prigione. Magari non condivido tutte le sue idee, ma in ogni caso, al momento, io sto con Naval'nyj. Probabilmente, senza la resistenza del popolo ucraino, i carri armati russi, come accadde non molti decenni fa in Ungheria, sarebbero già a Kiev, dove, in uno stadio stracolmo di gente, qualche bandierina giallo/blu sventolerebbe festosa ad osannare lo tsunami di bandiere bianche/blu/rosse. Tutti gli ucraini rimasti nel loro Paese si dichiarerebbero filorussi, con l’olio di ricino che scorrerebbe a fiumi come il gas liquido. In certi casi la resistenza con le armi è lecita e forse debita. Se ci sono persone disposte a rischiare la loro vita per opporsi alla violenza, alla prepotenza e alla sopraffazione illecita, io sto con loro.

La seconda voce è quella di Luigi Manconi. Non condivido tutte le idee di Luigi Manconi, il quale però su La repubblica, il 14 marzo scorso, ha scritto un articolo molto bello. Molto bello anche nel titolo: “Se nel dibattito spariscono le vittime”. Manconi, nel suo articolo, ha commentato l’opinione di Luciano Canfora, filologo classico e abituale “opinionista”, che sulla Gazzetta del Mezzogiorno, il 10 di marzo, aveva preso posizione sulla guerra in Ucraina, affermando che “il torto sta dalla parte della potenza che vuole prevaricare”: cioè l’Ucraina. Non solo Canfora aveva sostenuto questa posizione, ma aveva aggiunto, a proposito delle vittime del conflitto, che “la storia di una Irina che perde il bambino è un caso particolare e basta”.

Manconi, nel suo articolo, dichiara di avere la sensazione che l’opinione e l’atteggiamento di Canfora, rispetto alla guerra scatenata dalla Russia in Ucraina, sia largamente condivisa da molti rappresentanti della cosiddetta “sinistra”, i quali però scotomizzano completamente, assumendo questo atteggiamento, le vittime di una aggressione armata nei confronti di un Paese autonomo. Già: appare infatti un po’ troppo cinico trattare le vittime di una invasione armata, specie se civili, come delle tarme da sterminare. Fa piacere che anche coloro che molti anni addietro si schieravano in difesa degli assassini del commissario Calabresi, ora difendano in maniera convinta le vittime di un terrorismo su larga scala.

L’articolo di Manconi mi ha fatto venire in mente mia madre. Quando ero un giovane studente ho partecipato non poche volte alle manifestazioni del “68”. Accanto a me c’erano gli amici di Lotta Continua, talora anche quelli di Potere Operaio e del Movimento Studentesco. In qualche circostanza è capitato che la Polizia si opponesse a quelle manifestazioni, come tutti sappiamo. Io, allora, ritenevo debito manifestare contro determinate cose e a favore di altre. Non ho mai usato violenza nel manifestare, ma non avevo paura nello scendere in piazza, per difendere civilmente quelli che ritenevo e che ritengo dei diritti inviolabili della persona. Mia madre però, persona egualmente civile e rispettosa, era molto preoccupata per me e per la mia incolumità. Era cattolica e anche democristiana. Temeva che io fossi un po' troppo avventato e un po’ troppo “comunista”. Nonostante non avessi mai manifestato alcuna simpatia per la CCCP, per alcuni anni, durante la mia adolescenza, ha ripetutamente proposto di pagarmi un viaggio nella Unione Sovietica: “Così potrai vedere con i tuoi occhi come si sta in quel Paese e farti un giudizio diretto sul comunismo”. Non andai in Unione Sovietica nella mia adolescenza. Ho invece visitato volentieri la Russia molti anni dopo. Non ci tornerei oggi.

In uno dei rarissimi gruppi social di cui faccio parte -un gruppo che sta dalla parte dei fragili e delle vittime- un avvocato, quando ho osservato che il Tolstòj della battaglia di Borodino (detta anche della Moldova), quella persa dai russi invasi da Napoleone, si sarebbe rivoltato nella tomba di fronte all’attuale invasione dell’Ucraina da parte della Russia, si è scagliato contro di me, invitandomi, non so perché, a leggere Dostoevskij invece che Tolstòj. Non ho capito il perché di questo invito, considerando che io leggo con lo stesso grande piacere Calamandrei, Tolstòj e Dostoevskij, con quest’ultimo che rischiò di pagare con la vita la sua opposizione ai violenti e illiberali diktat dello zar di tutte le Russie e che trascorse ben quattro anni in un penitenziario siberiano (traendone il bellissimo scritto Memorie da una casa di morti). Non so se l’avvocato che intendeva redarguirmi stia in quella “sinistra” nostalgica di cui parla Manconi.

Spero davvero che tutti coloro che ingiustamente uccidono, avvelenano, imprigionano e privano gli altri di ogni libertà di comunicazione/informazione, abbiano prima o poi, come Kesserling che lo reclamava dagli italiani, il loro “monumento”. Spero che sia una lapide come quella di Calamandrei nel comune di Cuneo. Un inno alla libertà e non una lapide funeraria, anche perché, come Dostoevskij graziato sul patibolo, sono e sarò sempre contro la vendicativa e cinica pena di morte. Il che non mi impedirà di resistere a chi tenterà di uccidere me, i miei cari, i miei concittadini e le loro libertà.




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