Varie  -  Redazione P&D  -  25/12/2012

LA LIQUIDAZIONE DEL DANNO ALLA PERSONA NELLA RCA - Francesco D. BUSNELLI

L'avvicinarsi della ricorrenza di San Martino non sembra evocare, quest'anno, la stagione dell'estate, almeno per quanto concerne il tema della liquidazione del danno alla persona.
Ai "chiaroscuri d'estate", che avevo ritenuto di intravedere nelle "sentenze gemelle" del 31 maggio 2003 n. 8827 e n. 88281 – mosse dall'obiettivo della (terza Sezione della) Corte di Cassazione di rispondere alla "sempre più avvertita esigenza di garantire l'integrale riparazione del danno ingiustamente subito … nei valori propri della persona (art. 2 Cost.)" -, e alla "estate di San Martino, con le sue proverbiali – e rasserenanti - „schiarite‟ ", che avevo ravvisato, proseguendo nella metafora meteorologica, nelle quattro pronunzie emanate dalle Sezioni Unite l'11 novembre 20082 - categoriche nell'affermare, in risposta al quesito posto dalla terza Sezione della Suprema Corte, che "in presenza di una ingiustizia costituzionalmente qualificata, di danno esistenziale come autonoma categoria di danno non è più dato discorrere" - , non sembrano aggiungersi, nel convulso susseguirsi di sentenze in questi ultimi mesi, ulteriori "schiarite" idonee a scacciare quelle "nubi" che mi erano parse foriere di addensarsi "nel cielo del danno (non patrimoniale) alla persona" proprio a seguito delle sentenze (ormai comunemente chiamate) di San Martino.

E', questo, il tempo del disorientamento.
Disorientante è, in primo luogo, la vistosa e difforme libertà interpretativa dei principi enucleati dalle Sezioni unite, talvolta sconfinante in un criptico travisamento o in un esplicito superamento, da parte sia della giurisprudenza di merito sia di quella di legittimità: quanto alla prima, a fronte di sentenze che tendono a costringere la liquidazione del danno entro tabelle restrittive rispetto a quelle generalmente applicate si riscontrano pronunzie che si mostrano insofferenti dei limiti legislativi contestandone la legittimità costituzionale o andando alla ricerca di nuovi principi liberalizzanti; quanto alla seconda, la Suprema Corte – o, più precisamente, la terza Sezione della stessa - sembra diventata una palestra di sentenze che veicolano dottrine agevolmente ricollegabili alla diversa personalità scientifica dei relatori: per così dire, tot capita, tot sententiae, là dove per sententia deve intendersi sentenza).
Vero è che il legislatore latita da troppo tempo contribuendo, con i silenzi delle sue ultime (ma non recenti) norme in materia e con l'inerzia nell'attuazione delle stesse, al complessivo disorientamento. Ambiguo è il silenzio del Codice delle assicurazioni che, nel dedicare due norme al danno biologico (gli artt. 138 e 139) avocando al legislatore il compito di dettare tabelle di determinazione del valore del punto, non ha riprodotto l' incipit posto all'art. 5 della legge 57/2001 che, come del resto il Decreto legislativo 38/2000 in materia di infortuni sul lavoro, rinviava a una futura disciplina organica del danno biologico (al di là della circolazione stradale e degli infortuni sul lavoro). Semplicemente deplorevole è l'inerzia nell'attuazione dell‟art. 138 Cod. ass., che ha in certo qual modo "costretto" la Corte di Cassazione a fare opera di supplenza con la sentenza n. 12408 del 7 giugno 2011 (v., infra, nn. 4 e 5); né il brusco risveglio agostano, con un Decreto contenente uno "Schema di regolamento" – che, secondo i primi commenti ("Tagliati i risarcimenti delle assicurazioni, dal 40% alla metà in meno rispetto alla prassi": così titola il Sole24Ore del 4 agosto u.s.), ridurrebbe drasticamente i valori di riferimento per la liquidazione del danno; e che, da ultimo, ha suscitato motivate riserve da parte del Consiglio di Stato, chiamato a esprimere il proprio parere -, sembra contribuire alla soluzione delle questioni aperte, ma potrebbe piuttosto rendere inevitabile un intervento della Corte costituzionale: la quale finora, pur essendo stata ripetutamente interpellata in materia di legittimità costituzionale dei criteri di risarcimento predeterminati dal legislatore , non è mai andata al di là di una decisione di inammissibilità della questione, assumendo – come è stato puntualmente osservato – una "posizione astensionista" che certo non giova a diradare l'atmosfera di generale disorientamento.
In questa atmosfera, la dottrina ci ha messo del suo, tornando ad esasperare i termini di una radicale contrapposizione tra i cosiddetti esistenzialisti ("il danno esistenziale riappare") e quanti rispondono che "non c‟è bisogno di appellarsi nuovamente alla figura del c.d. danno esistenziale" 

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